di Giuseppe Lertora. E’ stato scritto e detto talmente tanto, e non sempre a proposito, nei riguardi dell’ISIS che ogni altra considerazione può apparire superflua; tuttavia per tentare di capire – ben lungi da qualsivoglia giustificazione, anzi –  il feroce fenomeno  fondamentalista islamico che ha scritto numerose  ed efferate pagine di morte sia in Medio Oriente  che nel Mondo Occidentale, instillando nella testa della gente comune una sorta di psicosi sociale, è opportuna una serie di riflessioni  dopo i fatti di Parigi e del Mali, depurandoli per quanto possibile dalle paure che, volenti o nolenti, esistono privandoci di quelle libertà fondamentali tipiche delle nostre democrazie. Niente d’innovativo perché probabilmente tutto è arcinoto, ma un’analisi metodologica impostata secondo i crismi della Scienza dell’Organizzazione privo di autoreferenzialità e della naturale rabbia, ma supportata da obiettività e buon senso che possono aiutare a capire il nefasto fine dell’ISIS, la sua efferatezza, la sua amplitudine e, dunque, quali  i provvedimenti correttivi ipotizzabili per tornare a condizioni sociali di maggiore serenità, sconfiggendo sul piano sociale, oltre che su quello militare, l’ISIS e qualunque derivato di fondamentalismo terroristico.

La prima domanda da porsi è quindi: cos’ è l’ISIS, come è nato e quali le cause che l’hanno generato e fatto sviluppare?
La risposta non può che essere articolata perché si tratta di un fenomeno  poliedrico, con più facce, di radicalizzazione sociale e religiosa che nasce in Medio Oriente, in particolare in Iraq, in sostituzione parziale di Al-Qaeda assumendone  la leadership nella famigerata galassia jihadista internazionale. Poliedrico: un ‘’mostro tentacolare’’ che nasce  e si alimenta in Medio Oriente, con una serie infinita di ramificazioni-tentacoli  che proiettano  i loro nefasti effetti nelle società evolute occidentali.  Parziale contiguità con Al-Qaeda: contrariamente alla rete terroristica impalpabile di Osama bin Laden, ISIS si basa sulla territorializzazione, sulla diretta amministrazione delle terre conquistate, su un sistema di assistenza  e di reclutamento strutturato, e sullo sfruttamento delle risorse petrolifere dei territori medesimi, e non solo (riscatti, contrabbando, droga,vendita di opere d’arte,donazioni di singoli e di alcuni Stati…) per la propria sussistenza. L’End State è tuttavia simile: combattere lo sporco mondo occidentale con l’eliminazione diretta degli infedeli, non islamici, creando le condizioni per l’avvento di quel Califfato, prima auspicato da  bin Laden, e quindi ripreso –un paio d’anni fa- dal nuovo leader al-Baghdadi che arrivava a proclamare  da Bagdad la restaurazione del medesimo, con una propria giurisdizione estesa  dalle province limitrofe al Tigri, da Mosul a Tikrit, verso quelle settentrionali del Kurdistan, fino a  quelle che seguono il corso dell’Eufrate, partendo da Fallujah e percorrendo una vasta area nella direttrice Ovest e Nord Ovest, arrivando oltre il confine siriano, quasi alla periferia di Aleppo, all’autoproclamata capitale di al-Raqqa. L’ISIS è nato da forme di ribellione sostanzialmente sunnite, benedette e aggregate strumentalmente  dalla jihad islamica in quei territori vessati dalle invasioni dell’ultimo decennio, ed abbandonati al loro destino da chi doveva detronizzare i dittatori, ma anche  portare democrazia, libertà ed un migliore tenore di vita che non c’è stato.

Lo Stato Islamico è cresciuto a dismisura perché è riuscito –soprattutto attraverso la vendita al nero del petrolio con proventi dell’ordine di miliardi di dollari-  a garantire certi bisogni primari ai popoli occupati, fino allora negletti,  con una discreta amministrazione, in opposizione agli Stati centrali che nel frattempo si erano insediati,  rivelatisi peggiori, più corrotti e violenti di quelli dittatoriali, lasciando il popolo nel caos, nelle ingiustizie e in balia delle faide religiose contro gli sciiti. La struttura organizzativa è molto centralizzata e gerarchizzata nella persona del Califfo e di pochi oligarchi; l’ordinamento dell’ISIS è basato sulla rigida ed assoluta applicazione della legge islamica, la Sharia.  La sua forza militare è assai ampia e può essere solo ipotizzata; complessa ed articolata, proviene da appartenenti alle esistenti realtà tribali, da ex-soldati degli eserciti nazionali iracheno e siriano, di estrazione sunnita; una stima approssimativa prevede milizie di oltre 100000 unità, a cui debbono aggiungersi i cosiddetti ‘’foreign fighters’’ che provengono da paesi stranieri, dal Golfo Persico, alla Russia, all’Europa e che assommano, secondo recenti  stime ad oltre 20000 individui che,  in larga misura figli di immigrati con cittadinanza e passaporti esteri, sono ammaliati dalla causa terroristica e si recano in Siria o Iraq per combattere la propria jihad col Califfato, e alcuni tornano in Europa per compiere quelle stragi fra la popolazione inerme.

Ma qual è il pericolo maggiore e che incombe sulle nostre teste?
Per noi e per il mondo occidentale il pericolo maggiore, è quello jihadista europeo non solo perchè ci riguarda direttamente ed è entrato furtivamente nel nostro ventre, ma in quanto risulta difficilmente contrastabile perché subdolo, distruttore del nostro modus vivendi e in grado di stravolgere le nostre libertà seminando morte, psicosi e terrore nelle nostre strade, nelle nostre abitudini, nella nostra vita. Costoro rappresentano “i tentacoli del mostro” sparsi nella nostra società; si addestrano nei territori del Califfato, ma poi tornano militarmente più preparati e si muovono nel tessuto europeo nascondendosi fra le pieghe ospitanti-tolleranti  della società mossi da frustrazione, furia omicida e voglia di emulazione: sono pertanto i più pericolosi in quanto imprevedibili, invasati e senza scrupoli. Gli altri, quelli che formano il mostro medio-orientale sono certamente più importanti, anche sotto il profilo strategico, perché rappresentano il corpo e la mente dell’ISIS, ed il foraggio dei tentacoli all’estero, ma sono più visibili ed identificabili nelle loro strutture e nei loro territori, ed il loro obiettivo primario è la rivalsa e l’annientamento degli sciiti nel Medio Oriente: è quindi relativamente più facile combatterli sul campo, ma bisogna farlo e con la massima determinazione, perché solo tagliando la testa del mostro anche i tentacoli europei perderanno di forza e  crolleranno.
Di fatto l’ISIS è un carrozzone che attrae le più diverse anime di sbandati e fanatici, ed è caratterizzato da etnie e tribù assai spesso in contrasto fra di loro, ed ex sconfitti  dalle guerre pregresse spesso appartenenti al regime di Saddam  o contro quello di Assad; divisi in centinaia di diverse brigate sono uniti, si fa per dire, dalla lotta fratricida contro le milizie ed i governi sostanzialmente sciiti in Iraq e in Siria. In tale ottica sussiste uno schieramento di Paesi che li contrastano sul piano religioso come l’Iran, santuario sciita, o che li sostengono in quanto sunniti come l’Arabia saudita ed il Qatar, ma più in generale e a prescindere dal  timbro religioso, sussiste una Coalition – con Russia ed US, ed ora Francia oltre a altri Paesi- che li combatte in quanto terroristi jidaisti pericolosi per la sicurezza, la pace e contro le stesse radici culturali, artistiche e sociali della nostra civiltà.

Quali le linee di azioni, quindi, più appropriate?
Innanzitutto va colpito ISIS, il mostro, nel suo corpo principale, nella sua tangibile territorialità, nei suoi averi, nelle sue linee di rifornimento, per minare la sua  stessa sopravvivenza: bombardare a tappeto cacciandoli dalle loro case e cose e togliergli ogni possibilità di azione, mozzandogli la testa ed il corpo principale, senza attendere che siano loro a dettare le regole del gioco, ma giocare di anticipo e in modo pesante, senza ascoltare le sirene buoniste e le anime belle sparse un po’ dovunque: colpire dall’aria, ma c’è bisogno per sradicarli davvero di costituire una Forza combattente e di Reparti Speciali che li distruggano nelle loro tane, altro che “no boots on the ground”! Assecondare, quindi,  Putin che è l’unico leader oggi sulla piazza internazionale ad avere le idee chiare, le mani libere e degli obiettivi strategici che il resto non ha, per principio o per convenienze del quieto vivere. Ed è l’unico nel panorama attuale, scevro da condizionamenti emotivi ma spinto anche dalla voglia di vendicare la strage dell’aereo russo di Sharm-el-Sheik,  che può decidere in proprio e sorprendere quei lestofanti, usando i metodi  e le risposte al terrore che ritiene più adeguati per conseguire la missione. E vanno trattati alla stregua di terroristi, quindi super-delinquenti da eliminare, senza pigiare sul tasto religioso più di tanto, altrimenti potrebbe sembrare agli occhi dei populisti, una guerra di religione, una crociata contro l’Islam. Bisogna che lo Zar ed una Coalition determinata, fatta di Paesi europei ma anche arabi, formino un forte schieramento di combattenti veri, di truppe ben addestrate, mettendo a sistema  le singole Agenzie di Intelligence, il coordinamento delle forze speciali tra loro e con le forze curde e pashmerga locali per evitare scontri fratricidi. Non sono più sufficienti gli slogans dell’ondivago Obama che un anno fa sosteneva “il containement dell’ISIS”, e oggi a fronte delle recenti stragi dice che “il terrorismo islamico va distrutto”; lui è il responsabile primo del rientro (ritiro…) alla chetichella dei militari US nell’Iraq del Nord, senza preoccuparsi delle conseguenze fatali  con la nascita del terrorismo in quell’area, così come non ha contrastato l’ISIS nella sua espansione in Libia, e nulla ha fatto affinché le Primavere arabe trasformassero quei Paesi in Stati più democratici e civili. C’era forse un disegno perverso  di creare un collasso in un certo numero di Stati, oppure di essere tacciati di non perseguire una politica anti-colonialista, o semplicemente una palese mancanza di visione strategica, e di coraggio e di volontà nell’impegnarsi  nel sostenere quegli Stati in difficoltà? Sta di fatto che mai negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un defilamento così passivo degli statunitensi dalle sorti dei paesi mediterranei, e mai abbiamo assistito a  scenari così frammentati, incontrollati dalla prima potenza mondiale: oggi sono sotto gli occhi di tutti i risultati di quella no-strategy tipica dell’amministrazione Obama. Mentre altri Stati sono caduti con una certa facilità, la Siria si è rilevata un osso più duro del previsto, anche per la partecipazione alla crisi dello Zar Putin, quale leader indiscusso che ha messo in ombra Obama e in luce la sua scarsa leadership.
La netta presa di  posizione di Putin che ha interesse a sconfiggere ISIS, e contestualmente ad essere ospitato nelle coste siriane con la sua flotta, e quindi di essere presente nel Mediterraneo, dimostrerà sul campo senza tentennamenti che le capacità militari del Califfato non sono invincibili e che sia Siria che Iraq possono essere liberati totalmente dal cancro dell’ISIS. Ma non ci si limiti alla sola azione militare; né si pretenda di imporre il nostro modello di democrazia, né si stiano a sentire le sirene dei pro-contro Assad: ora bisogna combattere chi ci ha dichiarato guerra e bisogna distruggerli ma poi non bisogna dimenticare quei popoli; esiste il dovere di aiutarli a riprendersi la vita, la libertà, quindi vanno ri-stabilizzati, anche con l’impegno di anni, con governi sani, magari riciclando una buona parte della nomenclatura precedente per evitare il caos, e permettere cioè alla popolazione di riprendere una vita normale, garantendo i servizi essenziali, facendo così capire di aver guadagnato nel cambio e impedendo il ritorno dei gaglioffi. ‘’”Freedom is not free” e se la si vuole, la libertà con la pace, c’è un costo da pagare, perché nulla è gratis.

Quali le azioni che ci competono sia nel combattere ISIS nel loro territorio, che internamente?
Il terrore islamista che, con i suoi tentacoli, sta sconvolgendo la  vita di numerose città europee è un fenomeno con caratteristiche belliche, ancorché asimmetriche; sul piano nazionale oltre ad assumere un certo numero di provvedimenti tesi ad incrementare la sicurezza delle nostre città e dei nostri cittadini, bisogna incominciare a chiedersi se – sul piano giuridico e del diritto – siano ancora validi nella loro pienezza quei principi garantisti a fronte della minaccia portata da tagliagole o da giustizieri di ragazzi al ristorante o ad un concerto.  Alla paura del popolo che è privato, di fatto, di libertà di circolazione se non a proprio rischio, si contrappongono i soliti furbi che pensano di cavarsela e di continuare a godersi la propria rendita, senza esporsi troppo nei confronti dello Stato islamico, confidando nel solito stellone. Come si combatte allora l’ISIS per evitarne l’espansione e ristabilire un buon livello di sicurezza nei nostri Paesi? Se l’Italia vuole essere ancora una Nazione che conta nel contesto della comunità internazionale deve intervenire con le proprie Forze Armate, concretamente nella Coalition, non solo addestrando i peshmerga  che va detto stanno facendo un lavoro egregio anti-ISIS, ma stando “spalla a spalla” a fianco della Russia, America e Francia per tagliare la testa al Califfato.  Mi sarei aspettato che, insieme alla portaerei De Gaulle ci fosse la nostra Cavour, magari con reparti di volo Harrier misti IT-UK, visto che anche gli inglesi stanno per decidere di partecipare attivamente, e si trovano ora senza piattaforme idonee. Non si tratta di essere guerrafondai, ma se c’è una guerra dichiarata e non si partecipa attivamente, significa perderla in partenza, confidando sempre negli altri… amici.  E ciò senza bleffare perché si scherza col fuoco; né possono essere prese seriamente in considerazione le paradossali indicazioni d’Oltretevere per cui “bisogna fermarli, ma senza combatterli??” e “maledicendo ripetutamente coloro che fanno la guerra..” (quindi anche le nostre Forze Armate??), dimenticandosi che quella gentaglia, e ne abbiamo molta anche nel suolo italico, ci ha già detto che siamo in guerra e che i prossimi disastri li avremo in casa, fra San Pietro e il Duomo di Milano.  Se per il Capo dell’Oltretevere bisogna “aprire le porte a tutti, quindi anche ai terroristi, anche nell’occasione del Giubileo” significa che il Vaticano non vuole controlli di polizia o altro, e quindi risparmiamo le forze dell’Ordine per tutelare il nostro Stato che ne ha bisogno, lasciando che il Vaticano pensi alle proprie necessità secondo le direttive papali. Curiamoci del nostro governo terreno, di un fenomeno così devastante come il terrorismo islamico, e per ora scordiamoci le idee celestiali!

Ne abbiamo abbastanza di questioni aperte, settori da analizzare e migliorare, provvedimenti da adottare
A livello di modifiche e migliorie per garantire una maggiore sicurezza sociale, l’Europa e con essa l’Italia, dovrebbero porre in atto misure preventive,  di approntamento delle forze e di coordinamento fra i vari omologhi assetti nazionali per eventuale contrasto ai terroristi che ormai hanno dimostrato di poter agire in tutti i luoghi della nostra quotidianità.   Le agenzie europee di Intelligence non hanno certo brillato per monitorare i mariuoli ed allertare per tempo chi di competenza;  risulterebbe che circa 15 giorni prima della strage parigina ci fossero degli warnings  per attacchi terroristici in Francia, Spagna e Inghilterra,ecc, ma non sono state adottate misure particolari. Sussiste l’esigenza di intensificare le attività Intelligence  di Humint ed Osint (Umane e strumentali) pretendendo dai responsabili della sicurezza nazionale “interna” AISI di porsi, come suol dirsi, in Primo Grado, ma non basta; si è accertato che mentre i confini fra Stati europei sono osmotici per i terroristi, sussistendo peraltro Schengen, ma impermeabili per le agenzie di Intelligence che troppo spesso conservano gelosamente il proprio know-how, senza scambiarlo con i vicini. Abbiamo visto che alcuni degli artefici della strage di Parigi si muovevano tranquillamente da Bruxelles a Parigi, viaggiando verso la Siria andata e ritorno, alcuni condannati a 20 anni di reclusione senza che fossero mai fermati: va da sé che, per una seria ed efficace prevenzione, le varie Agenzie di Sicurezza debbono scambiarsi tutte le possibili informazioni nei riguardi dei sospettati di terrorismo, a prescindere dalle ben note reticenze storiche, come se esistesse una unica Agenzia di Sicurezza almeno a livello europeo.  E’ altrettanto chiaro che finchè la crisi non esaurisce la spinta nefasta, esiste la necessità di monitorare e controllare il territorio in generale anche con l’ausilio delle Forze Armate per il presidio di alcuni centri sensibili, oggi assai diversificati; anche le attività di ISR (intelligence, Sorveglianza, Ricognizione…) vanno rinforzate utilizzando i droni, non solo per il controllo aereo ma viste le loro alte performance in termini di discriminazione anche nei confronti di assembramenti, nel tener sotto controllo determinate aree e tipi sospetti.  Lo scambio dei dati è essenziale innanzitutto fra le diverse Agenzie europee di Intelligence, ma anche fra i diversi ambiti di Polizia e della Giustizia (si richiamano a tal proposito Europol ed Eurojust che tuttavia non sono mai andati a regime per invidie e gelosie, che vanno smantellate), per stringere le maglie attorno alle attività terroristiche. Bisogna che tutte le Forze dell’ordine siano per strada e non negli uffici; bisogna che i vari gruppi di Forze Speciali, sia dell’Interno che della Difesa, siano impiegate col massimo coordinamento prevedendo distacchi nelle maggiori aree metropolitane a rischio: è inaccettabile che le prime Forze Speciali arrivino sul luogo degli ostaggi con 2/3 ore di ritardo, come occorso a Parigi.  Certo, ora, si auspica un maggiore controllo della totale libertà di circolazione in ambito europeo; qualcuno ha chiuso le frontiere, quasi tutti i partners chiedono controlli rigorosi alle Frontiere Esterne dell’UE: c’è da chiedersi se l’Italia continuerà nell’accettazione senza controlli dei migranti provenienti dalla Libia, facendo orecchie da mercante, o come si auspica, si inizierà ad assisterli “respingendoli” e accompagnandoli di nuovo ai porti di partenza, come già proposto a suo tempo, in tempi non sospetti!
Certo la politica non può essere ondivaga e di corto respiro; né può venir paralizzata dal fuoco di Santantonio  al solo citare della parola guerra, sperando che la non partecipazione ci  garantisca di essere al riparo da iniziative efferate, anzi: forse sarebbe saggia una nostra riflessione sul combinato disposto della massima romana “Se vuoi mantenere la pace, preparati alla  guerra e combatti”, con il richiamato “Freedom is not free“, altrimenti dobbiamo attenderci che la pace e la libertà ci siano – forse – concesse  dalla ben nota “benevolenza” dei terroristi islamici!

A me stesso, ma anche ai nostri concittadini, nonostante tutto ciò che incombe sulla nostra vita, rammento la massima di Falcone sulla paura: “Chi ha paura muore tutti i giorni; chi non ce l’ha muore una volta sola“.  Quindi cercare di buttarsi alle spalle le fobie, le psicosi e le paure immotivate, operando normalmente con buon senso e giudizio, contestualizzandoli  alla pur deprecabile situazione di incertezza che il mondo occidentale sta vivendo oggi. Forse può non essere la  panacea  per sconfiggere il terrore sociale  ma di certo una tecnica “psicologica” per sminuire gli effetti di IS e riappropriarsi della nostra libertà e del nostro vivere.