Dopo i tragici avvenimenti di Francia, Belgio e Mali. 5 domande al costituzionalista Professor Cesare Pinelli.

cesare-pinelliProfessor Pinelli, abbiamo già ospitato su Libero Reporter una sua intervista. I motivi per cui torno ad intervistarla sono gli avvenimenti che si sono convulsamente succeduti nel mondo a partire dai tragici attacchi terroristici jihadisti dell’infausto venerdì 13 Novembre 2015 a Parigi. Il Presidente francese François Hollande, che tra l’altro ha rischiato, secondo le ricostruzioni, la propria vita nel corso dell’amichevole Francia-Germania e che si è salvato da una mattanza fortunatamente fallita all’interno dello stadio grazie al fatto di essere stato prelevato per via aerea, all’indomani di questi attacchi, e, dopo aver sigillato tutte le frontiere di Francia, si è appellato prima di tutto al Trattato sull’Unione europea. Perché questa mossa?

In effetti Hollande si è richiamato all’art. 42, par. 7, del Trattato sull’Unione europea, secondo cui “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”. E’ la prima volta che questo accade nella storia dell’Unione, e già questo fatto è indicativo del carattere eccezionale delle circostanze di cui parli. La prima questione da porsi è se gli attacchi jihadisti rientrino o meno fra le “aggressioni armate” contemplate dal trattato. Si potrebbe dire astrattamente che non è così, dal momento che l’autoproclamato Califfato, al quale risale con certezza la paternità degli attentati, non è uno Stato e soprattutto non ha formalmente dichiarato guerra alla Francia. Tuttavia le guerre contemporanee si svolgono ormai con modalità sconosciute al vecchio diritto internazionale, come dimostra del resto già l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle e la reazione degli Stati Uniti, con la differenza che in quel caso il governo americano si appellò all’art. 5 del trattato sulla NATO per legittimare il proprio intervento militare in Afghanistan. Il fatto significativo è che Hollande si sia appellato innanzitutto al trattato sull’Unione e non a quello sulla NATO né alla Carta delle Nazioni Unite. Si tratta probabilmente, a mio modo di vedere, di una scelta politica, considerata la freddezza degli Stati Uniti in merito alla eventualità di una seria risposta militare congiunta sul territorio del Califfato, peraltro confermata in seguito: in effetti è la Russia, insieme alla Francia, che sta ora dispiegando un massiccio potenziale bellico in Siria, dopo l’abbattimento dell’aereo russo nel Sinai.

Nel bellissimo réportage di Corrado Formigli trasmesso giovedì scorso nel programma “Piazza pulita”, il comandante yazida intervistato poco prima dei fatti di Parigi, ha osservato come la strada di collegamento di vitale importanza per la continuità geografica del cosiddetto Califfato, installatosi fra la Siria e l’Iraq, non sia mai stato bombardato dagli americani. Cosa pensa di un simile “errore” strategico?

Penso che questo sia solo uno dei tanti “errori” commessi dagli americani in questa vicenda. Mi sembra che l’impegno americano contro il Califfato sia stato finora poco più di una presa in giro. Risulta pure chiaro che, fino a pochissimo tempo fa, le priorità dell’amministrazione americana erano ben altre (Ucraina). E non escluderei nemmeno che quelle priorità siano sostanzialmente cambiate ora.      

In una delle tante dirette trasmesse da tutti i canali televisivi, e mi riferisco in particolare alle dirette trasmesse in tutto questo periodo da Enrico Mentana su La 7, il Generale Leonardo Tricarico ha definito senza mezzi termini la mossa del Presidente francese “una furbata”, volta a coinvolgere nel conflitto in atto Paesi come l’Italia, che per ora non hanno manifestato alcuna intenzione di farsi coinvolgere.

Non definirei in tal modo l’appello di Hollande all’art. 42 del Trattato sull’Unione. In realtà, se è vero che l’azione militare francese si è notevolmente intensificata sul fronte aereo all’indomani degli attacchi jihadisti, nemmeno essa consiste però per il momento nel dispiegamento di truppe su terra. Non si può dunque dire che, con quell’appello, Hollande intendesse coinvolgere gli altri Stati membri dell’Unione in una risposta che prevedesse i cosiddetti “boots on the ground” (stivali sulla terra). D’altra parte il testo dell’art. 42 parla dell’obbligo degli altri Stati membri di “prestare assistenza con tutti i mezzi  in loro possesso” allo Stato richiedente, con una formulazione, dunque, sufficientemente ampia. Per quanto concerne in particolare l’Italia, la decisione del Governo di non mandare i nostri due Tornado a bombardare il territorio del Califfato, decisione precedente gli attacchi del 13 Novembre, non è stata rimessa in discussione, e a mio avviso giustamente, sia per la scarsa efficacia di un intervento del genere, sia per le conseguenze che ne sarebbero derivate per l’Italia senza che la Francia ne avrebbe potuto trarre giovamento. Tuttavia l’Italia è presente, come sappiamo, soprattutto negli aiuti militari agli eroici peshmerga kurdi e agli stessi yazidi, aiuti che sono stati intensificati negli ultimi giorni.    

Ed eccoci tornati al tema che ci coinvolge più direttamente, e cioè il comportamento italiano nello scacchiere mediorientale. Quando penso ai dissennati traffici militari perpetrati dopo il “lodo Moro” in Asia e in Africa dall’industria bellica italiana – e lo dico non solo perché sono il fratello di Graziella De Palo, che fu la prima giornalista a scandalizzarsene e a denunciarli – mi viene in mente quella famosa frase di Pierpaolo Pasolini che definì l’Italia “un Paese orribilmente sporco”.

Le rispondo con un’altra definizione, contenuta in una lettera scritta da Aldo Moro dal carcere delle Brigate rosse al vicedirettore de L’Osservatore romano: “Così avviene il più delle volte in questo mondo così civile e così incivile insieme”. 

Nel momento in cui ha nominato il giornale ufficiale della Santa Sede non posso resistere alla tentazione di chiederle cosa pensa dell’ostinazione di Bergoglio nel tenere sotto scacco per ben 365 giorni la nostra Roma.

Su questo punto, non sono d’accordo. E’ chiaro che la scelta di confermare il Giubileo dopo quanto accaduto ci espone a rischi enormi. E però è altrettanto vero che la scelta contraria avrebbe avuto il significato davvero disastroso, non solo per i cattolici, di un cedimento della Chiesa alla marea montante della barbarie.

 

Giancarlo De Palo