Quando la giustizia dichiarò guerra alla classe politica: la fine di un’era e l’inizio di un conflitto. Tangentopoli: tanti processi indiziari, poche prove regine, una marea di ipotesi di reato… Quanto basta per ridurre in cenere un’intera Repubblica. Alla fine, chi pagherà veramente in maniera pesante, sarà Craxi, l’uomo forte di Sigonella. Ma la seconda, di Repubblica, sarà ben peggiore della prima.

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C’è un momento esatto nella storia del novecento che segna inequivocabilmente il punto di rottura tra i poteri dello Stato. Era il 16 gennaio del 1994, giorno in cui, Oscar Luigi Scalfaro decide di sciogliere i due rami del Parlamento e mettere la parola fine ai cinquant’anni di Prima Repubblica. Tutto era cominciato due anni prima, con i famosi 7 milioni di vecchie lire trovati a Mario Chiesa, dirigente Socialista e presidente del Pio Albergo Trivulzio, un ospizio milanese. Luca Magni, titolare di una piccola azienda di pulizie, stanco delle continue richieste di Chiesa (detto Mr. 10%) si dirige in procura e confessa, al giovane PM Antonio Di Pietro, tutti i retroscena di un “sistema” nel quale da tempo si era trovato invischiato. E’ l’inizio della fine. Da Milano, dopo decenni di influsso magico degli uomini del garofano, parte un’offensiva “bellico-giudiziaria” di un Pool di giovani promesse, capitanato da Francesco Saverio Borrelli che, di li a poco, scatenerà l’inferno anche su tutto il resto della Penisola. Oltre all’ex leader dell’Italia dei Valori, in quel famoso gruppo di “sceriffi”, vi comparivano i magistrati Davigo, Greco, Colombo, Parenti, Boccassini e D’ambrosio, quest’ultimo, vice di Borrelli. Il mondo politico trema. La signora Laura Sala, moglie di Chiesa,  messa alle strette comincia a snocciolare tutti gli intrighi in cui era coinvolto l’ex consorte e porta gli inquirenti direttamente sulla pista dei conti Svizzeri, denominati in codice (fantasiosamente), “Fiuggi” e “Levissima”. La vicenda viene a galla nel mese di febbraio, in piena campagna elettorale e, Bettino Craxi in corsa per Palazzo Chigi, infuriato, lancia forti accuse nei confronti degli uomini della Procura, rei  di strumentalizzare – con questo atteggiamento – la stagione pre-voto, tramite mandati, avvisi e citazioni notificati ad “orologeria” e proprio nei confronti dei principali partiti di Governo. Ad aprile, in occasione dell’undicesima legislatura – l’ultima prima del crollo totale dei maggiori partiti – si presentano capi lista Arnaldo Forlani (DC), Bettino Craxi (PSI) e Achille Occhetto (neonato PDS). Inizia uno storico botta e risposta a colpi di offese e insinuazioni tra Di Pietro e Craxi che apre una profonda spaccatura tra poteri dello Stato.

Quello “sporco affare” della corruzione, apparso su tutti i canali televisivi, mette a dura prova i vari gruppi parlamentari, nessuno escluso. I risultati parlano chiaro, perdono tutti, dalla Dc che scende per la prima volta sotto il 30%, al Psi, che riduce il consenso di un considerevole 1,2%. Il pentapartito, rappresentato dal CAF (Craxi, Andreotti, Forlani), raggiunge una debolissima maggioranza. Il malcontento dei cittadini per lo scandalo uscito alla luce con Mani pulite, da un lato fa vincere l’astensione, dall’altro fa emergere il nuovo movimento politico presente nel settentrione, fondato da Umberto Bossi, chiamato Lega Nord.

Il 10% dei voti vanno alla compagine del carroccio, un buon risultato ottiene il Movimento Sociale Italiano, mentre deludente il PDS di Occhetto. Il “mariuolo isolato”, la “scheggia impazzita” di nome Mario Chiesa (così lo definì Craxi) trascina giù tutti per la famosa teoria del muoia Sansone e tutti i filistei. Gli italiani sanno ora finalmente su chi puntare il dito, il Pool ha ottenuto un fantastico risultato mediatico, ma è solo l’inizio.

Tra il 1992 e il 1993, in un’Italia martoriata dalle stragi di Capaci e Via d’Amelio, alle prese con le nuove sofferte elezioni del Presidente della Repubblica, e con una delicatissima situazione di Governo nelle mani di Amato, sono tanti gli uomini che crollano sotto la scure di Borrelli e company.

Inutili i discorsi al Parlamento del buon Bettino, rivolti anche ai cittadini, come quello del 3 luglio 1992: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Ormai la macchina da guerra del tribunale di Milano è partita come un rullo compressore. I dati – a fine processo – della famosa inchiesta durata quasi otto anni appaiono impressionanti: dal dopo Chiesa, il Pool indaga oltre 3000 persone, ne rinvia a giudizio quasi 2500 ottenendo 600 condanne di cui un quarto con sentenze passate in giudicato. Un macigno che si abbatte su tutto e tutti. Tra avvisi, arresti e conseguenti dimissioni, sono diversi i nomi noti che finiscono sotto l’ascia degli inquirenti: Claudio Martelli, Ministro di Grazia e Giustizia, il deputato Sergio Moroni, Sisinio Zito e gli ex sindaci della “Madonnina” Carlo Tognoli e Sergio Pillitteri. Nel caso Martelli unitamente a Silvano Larini c’è l’ombra del conto UBS (unione banche svizzere) numero 633369, detto “protezione” da dove pare siano transitate somme di denaro per il Partito Socialista provenienti dall’Istituto Ambrosiano di Calvi.

Il nodo cruciale che mette al muro la politica dell’epoca è il finanziamento illecito, quello di cui parla Moroni nella sua missiva alla Camera prima del suicidio, denunciando l’intera faccenda come “il grande velo dell’ipocrisia”. Dulcis in fundo, per i Socialisti,  – il 15 dicembre ’92 – è il turno anche del loro carismatico leader, Bettino Craxi. Ce n’è per tutti. Vengono arrestati Epifanio Li Calzi, Sergio Soave, Massimo Ferlini del PDS, nonché Primo Greganti detto il Compagno G, l’ex cassiere del PCI Renato Pollini e l’ex tesoriere PDS Marcello Stefanini.

Per i Repubblicani i problemi arrivano con l’avviso al Segretario Giorgio La Malfa – il 25 febbraio ’93 – e poche settimane dopo stessa sorte anche per il capo dei Liberali,  Renato Altissimo. Entrambi si dimettono dall’incarico. Sulla Dc – il partito più importante dell’era post bellica – già nel maggio del ’92,  lo tsunami si infrange sul suo segretario amministrativo e tesoriere, l’eclettico Severino Citaristi e nei confronti di Carlo Bernini ex Ministro dei Trasporti. Accuse e contro accuse, decine di autorizzazioni a procedere del Parlamento e le confessioni “salva vita” si sprecano. Anche per gli imprenditori non va meglio; arrestato Giuseppe Garofano della Montedison, Sergio Cusani per la maxi tangente Enimont, Raul Gardini e l’ex presidente Eni Gabriele Cagliari. Quest’ultimi si suicidano nel mese di luglio ’92; il primo nella sua casa milanese, il secondo a San Vittore. Scalpore anche per l’arresto del Presidente del Tribunale di Milano Diego Curtò, così come clamorose le ammissioni da parte di Altissimo, del socialdemocratico Vizzini e persino di Carlo De Benedetti. Le imputazioni per tutti sono le stesse. Pare sia fisiologicamente inevitabile che dove ci sono molti denari c’è anche corruzione ed illecito. Un meccanismo perverso che è stato parte integrante del sistema Italia per quasi mezzo secolo.

Il potere giudiziario dichiara guerra agli altri poteri dello Stato e sono tanti i responsabili che il Pool individua tra le aule parlamentari, nei consigli regionali e provinciali, così come nel mondo dell’imprenditoria, dell’industria e dell’alta Finanza. C’è però un uomo in particolare che ne paga maggiormente le conseguenze e nell’immaginario collettivo lega per sempre il suo nome al periodo di Mani Pulite: Bettino Craxi. L’immagine del lancio di monetine fuori del Raphael Hotel di Roma rappresenta, più di ogni altro, l’evento eclatante dell’intera vicenda, divenuto – suo malgrado – il manifesto per eccellenza di quell’Italia politica. Il popolo, dopo una breve parentesi con il governo Amato I e con Ciampi, torna ad elezione nel 1994 ma con tutt’altri scenari. I grandi partiti di una volta lasciano il passo alla Lega Nord, alla Rete, al nuovo centro sinistra dell’era moderna e ad un nuovo movimento creato in pochi mesi, Forza Italia, gestito e guidato da un ricco imprenditore milanese di nome Silvio Berlusconi.

“Roma ladrona” è lo spot di quegli anni. Tangenti, corruzione e marcio nelle Istituzioni. I cittadini vogliono cambiare, sono disinnamorati della politica e sembra sia necessario una ventata di rinnovamento. Vent’anni dopo la storia si ripete ancora: ne sono la riprova l’Expo 2015, il ritorno del “compagno G”, il Mose di Venezia, Mafia Capitale, le spese facili e pazze di tutti i gruppi consiliari regionali e provinciali e una serie di vicende giudiziarie che hanno coinvolto la Seconda Repubblica, quella che doveva fare pulizia. E ora – come all’epoca – si parla da un lato di disaffezione, astensione ed assenteismo, dall’altro di voglia di rinascere, di nuovi movimenti che possano dare un colpo di mano al sistema politico, di partiti costituiti da brava gente. Stesse parole sentite vent’anni fa, identica illusione, e l’ipocrisia di cui parlavano Moroni e Craxi persiste ancora, con la differenza che la situazione economica e il tessuto sociale del nostro Paese oggi è all’apice della miseria.

Il cerchio si chiude, ma su chi e su cosa? Ancora non è chiaro né chiarito. Il beneficio del dubbio, soprattutto dopo le ultime vicende di cronaca politica, per l’ennesima volta fatta di corruzione, è quanto mai legittimo. Onestamente sembra più una resa dei conti, soprattutto contro colui che è stato una vera e propria spina nel fianco di tutti. Nel mirino c’è il pentapartito, il CAF, ma nello specifico è il leader socialista ritenuto il male supremo di quella classe politica. Gardini, Cagliari, Moroni e molti altri ci lasciano la vita, e il leader socialista muore lontano dalla sua patria. Vennero tacciati di ruberie, venne infangato un intero sistema dalla A alla Z e con una furia mediatica estremamente violenta. La collettività – nell’immediato – dimentica quanto quegli uomini siano stati anche dei veri Statisti. Sempre tanto facile giudicare a priori. La vicenda Sigonella e il braccio di ferro tra Bettino e la Casa Bianca ne è la concreta riprova. Disse no! Quel tipo di no che oggi non ci si permette di dire né ai tedeschi, né agli F35 statunitensi.

Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Bettino Craxi, Sandro Pertini ed Enrico Berlinguer erano politici veri, gente ormai perduta. Oggi, quelle stesse persone che erano fuori dal Raphael con la monetina in mano, probabilmente, rimpiangono non solo questi nomi, ma l’intero sistema dell’epoca che, seppur corrotto era sicuramente produttivo. Di questa “fabbrica” chiamata Italia che lavorava a pieno ritmo ora vi rimangono soltanto canne fumarie spente. Chiesa, Pillitteri, Citaristi e l’intero periodo della Prima Repubblica spazzato via come cenere al vento. E quanto di bello fatto? La vicenda dell’Mps senese non è da considerarsi meno rilevante rispetto al Banco di Calvi, i tesorieri Lusi, Bel Sito e company non si sono poi dimostrati degli angeli, il disastro dei rimborsi esagerati di tutti i Consigli regionali è alla pari se non peggiore dei finanziamenti illeciti o del conto protezione del PSI. Molti di quei signori che all’epoca erano considerati i “Superman” della giustizia, dopo aver cavalcato l’onda del successo, sono oggi odiati altrettanto quanto quei “piduisti” di un tempo. Allora dov’è la giustizia? Cos’è rimasto di quel terremoto istituzionale e soprattutto a cosa ci ha portato? La storia non solo si ripete ma si aggrava e fa capire con amarezza quanto sia stata profondamente dubbiosa – almeno negli intenti – quell’operazione tanto rivoluzionaria denominata Tangentopoli. Dai grandi applausi di quei giorni siamo passati – con il trascorrere del tempo – agli attuali mugugni collettivi e soprattutto al grosso dilemma sulla buona fede di alcuni esponenti di quel Pool.

Mirko Crocoli