europa-crolla

di Giuseppe Lertora – Dopo  gli ultimi incontri e dibattiti a Bruxelles sul Brexit, la proposta inglese di uscita dall’U. E., il “bastimento Europa” naviga sempre più a vista, con i motori che perdono colpi, in una tempesta che non accenna a diminuire, mentre alcuni macchinisti – fra i 28 membri dell’Unione – cercano di spegnere i focolai d’incendio che ne stanno mettendo a dura prova la galleggiabilità, la sopravvivenza e i passeggeri impauriti  cercano il salvagente pronti ad abbandonare la nave.  E’  lapalissiano: la situazione è diventata critica. Non si può più nascondere che l’Europa si trovi in balia di una deriva inarrestabile, come una barca senza nocchiero, con una troika divisa, litigiosa che non sa fare il punto nave, né tenere insieme la ciurma, e neppure tracciare una rotta di scampo con delle politiche condivise che possano portare la baracca in acque più sicure e maneggevoli. La Concordia (senza alcun riferimento al disastro del Giglio…) fra i Paesi membri  si  è incagliata; i pilastri dell’Unione europea – come i puntali di una nave – della fratellanza, della solidarietà e della cittadinanza comune stanno spezzandosi sotto i colpi ferali degli interessi e dell’egoismo delle singole nazioni.  E’ pur  vero che la barca UE non è mai stata considerata inaffondabile come il Titanic, ed è stata nel tempo rabberciata;  con gli slogan del  “ci vuole più Europa” sono stati superati numerosi ostacoli e fratture, con tante iniezioni di denaro e di fiducia tenendola  a galleggiare abbastanza bene fin quando i membri erano 15, ma con grandi sofferenze quando è lievitata a 28 Stati assai diversi per cultura, tradizioni e lingua:  non si capiscono più e difficilmente condividono i problemi comunitari.
Se avete un problema, non illudetevi mai che, allargando la platea dei decisori, lo risolverete, anzi” diceva un saggio Ammiraglio d’altri tempi ed aveva perfettamente ragione. Per rendere meno traumatico il passaggio, Cameron  da sempre euroscettico – al di là degli attuali mielosi e perfino ipocriti riporti mediatici –  è riuscito a rinviare la decisione sul Brexit  con un referendum da tenersi il 23 giugno in cui il popolo inglese  deciderà se restare in Europa o meno. Gli inglesi, da sempre in prevalenza “no-euro”,  vogliono riprendersi la loro sovranità – indipendente –  come Nazione, dalla UE; nulla di nuovo sotto il sole, e come dargli torto: finora la loro adesione era parziale ed è sempre stata  poco convinta. Tant’è;  la stessa divisa dell’euro non è stata sottoscritta a  Maastricht, né mai adottata in UK; memorabili le loro riserve – talvolta capziose – anche in altri importanti aspetti  come l’approvazione della Costituzione europea e dei diversi Trattati, in cui hanno ribadito “l’opt-out” cioè la loro autonomia nella giurisprudenza e giustizia avendo come riferimento l’antica Magna Charta, senza voler mai spartire nulla con gli aspetti giuridici comunitari, tenendosi ben fuori dallo spazio di Sicurezza e di Difesa europeo. Non solo;  forse per convincere i  British a votare pro-Europa, Cameron, nelle dichiarazioni post riunione a Bruxelles, ha pubblicamente ribadito due aspetti rilevanti:  gli inglesi, anche se il voto  sarà sfavorevole al Brexit, avranno una loro politica estera indipendente, ed in ogni caso non aderiranno mai a costituire le Forze Armate comunitarie! Ci si potrebbe chiedere cosa resterebbe in comune con gli altri membri europei, se non il business e aspetti più marginali; qualora, invece,  l’esito del referendum fosse favorevole al Brexit , la spallata all’Unione già così traballante potrebbe generare un effetto domino con la morte stessa dell’eurogruppo. Già, anche se obiettivamente va detto che l’Unione – con o senza Londra –  si trova oggi in uno stato comatoso, allo stallo, alla sopravvivenza quotidiana, con dei soci che non hanno nessuna voglia  di fare un qualsiasi sforzo per rilanciare l’UE.
C’ eravamo illusi, circa 13 anni fa, che l’Euro fosse la nuova frontiera della crescita economica, del benessere e della prosperità;  in effetti, invece, non ci ha protetti dalla recessione, Italia in particolare, né dalla crisi finanziaria e neppure dalla speculazione in Borsa che hanno divorato le residuali risorse degli stati PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna…) sotto la bandiera dell’austerity e di vessazioni di ogni genere: gli slogan della “stretta unione” e che “l’Unione fa la forza e ci fa  sentire più forti” e della solidarietà sono naufragati di fronte a risultati quasi sempre deludenti.  Anche se i sondaggi spesso lasciano perplessi e sono pilotati, recenti statistiche sembrano confermare che anche l’opinione pubblica italiana abbia le tasche piene (ma… vuote di soldi) dell’Europa; siamo passati dall’euro-entusiasmo all’euro-delusione con tre italiani su quattro pronti a tornare alla vecchia lira, considerata la profonda e crescente disaffezione  all’euro.   L’ambizione della  fase iniziale  e l’ottimismo comunitario hanno lasciato, via, via, il posto alle pretese ed alle forti posizioni dei singoli governi che, in modo sempre meno condiviso, si  regolano da soli nella soluzione dei problemi contingenti. D’altronde è palese che, su  aspetti comuni, la politica comunitaria sia del tutto inesistente: quella dell’immigrazione registra il fallimento di ogni logico coordinamento, prevalendo l’egoismo e la tutela di interessi di parte, senza una minima parvenza di cooperazione, con Grecia e Italia additate al pubblico ludibrio per l’ingresso incontrollato di migranti. Ogni capitale gioca la partita migratoria da sola; soltanto la Turchia è riuscita a essere risarcita con tre miliardi di  euro per l’ospitalità ai profughi siriani, anche a nostre spese; molti Paesi stanno chiudendo le frontiere, innalzando muri o trincee per contenerne il flusso, altri chiudono le porte e non accettano una qualche ridistribuzione degli oneri connessi, altri ancora pongono severe limitazioni agli stessi diritti civili dei migranti, e via dicendo. Ultimamente, dal prolungato letargo, si è svegliata pure la NATO con l’offerta di assetti navali per incrementare la sorveglianza sul mare e l’intelligence, nei riguardi di quei paesi che hanno frontiere esterne, come le acque Greche, Turche e italiane: la musica comunque non cambierà in quanto i migranti recuperati dovranno essere consegnati alle rispettive Guardie costiere e quindi portati, come già accade ora, nei territori di competenza.
Quale valore aggiunto avrà, se non quello di aumentare l’entropia del sistema, poiché i migranti non diminuiranno finchè non si passerà dalla “accoglienza” a uno screening più serio e a quei “respingimenti assistiti” verso la Libia che daranno dei segnali più forti anche a quei criminali e scafisti che lucrano su quei transiti e sulla loro pelle?  Qualche gonzo aveva inneggiato quando, nel 2013, è stato annunciato  e poi varato il progetto dell’Unione bancaria europea; peccato che il fondo per salvare le banche ha avuto inizio solo ora, con calma, nel 2016 e diventerà operativo fra 10 anni, cioè nel 2026 con gli effetti che già ora conosciamo!  Nel frattempo i singoli Stati vanno per conto loro; anche il famigerato “bail-in” (bel-in in genovese), cioè il salvataggio delle banche da parte dei clienti, è diventato l’unico e deprecabile modo ammesso per salvare le banche tossiche. La maggior parte delle Nazioni si è messa a posto dal 2008 in poi, con la BCE che ha elargito 800 miliardi di euro, di cui 238 sono andati per la Germania, 52 per la Spagna e oltre 40 per l’Irlanda: l’Italia ha usufruito – in zona cesarini – e con i contraccolpi ben noti di 4 miliardi! Una “paccata di miliardi di euro” di cui nessun nostro onorevole, nell’arco di oltre un lustro, si è accorto! Evidentemente i nostrani euro-parlamentari erano affaccendati in ben altro, pizzette e tartine, preoccupati solo a godersi le suite di Bruxelles, i lauti compensi e altre prebende: d’altra parte ci hanno sempre detto che le nostre banche erano solide, più solide degli altri (qualcuno lo vada a spiegare ai cittadini truffati dalle varie banche “abbelinate” dell’Etruria e soci). Ma, tranquilli che l’euro è la nostra forza  e le banche sono sicure!
L’Unione bancaria è, senza giri di parole, un fallimento, quasi una presa in giro, come la politica fiscale che non esiste, né quella economica, né quella sull’ambiente, né quella sulla politica estera, né della sicurezza e difesa comune, ecc, ecc.. La libera circolazione del trattato di Schengen sta andando a pezzi; ognuno si organizza secondo i propri interessi nazionali e badando alla propria sicurezza, dimenticandosi della fratellanza e della solidarietà relegate a retorica dai più. Gli effetti della chiusura di Schengen e dei muri avranno effetti disastrosi soprattutto nei confronti di Grecia e Italia che dovranno sostenere da sole la penetrazione dei migranti con  situazioni insostenibili. Di fatto con la chiusura delle frontiere il cerino resterà in mano nostra, ma il fatto più grave, conseguente,  sarà  la perdita della cittadinanza europea da parte dei cittadini degli Stati membri che, se vorranno recarsi in un altro paese europeo dovranno mettere mano al passaporto; vi immaginate se in un vero stato dell’unione, per esempio statunitense, per andare dalla Florida in Georgia, dovreste mostrare il passaporto: assurdo, ma da noi sarà presto una realtà! E allora c’è da chiedersi in quale paradossale unione “stretta” (come recita la Costituzione…) di Stati noi viviamo!!  Che dire poi dell’Esercito  comunitario unico, lo strumento principe per garantire la sicurezza e la difesa dell’Europa? Non esiste: punto! Eppure nel 2000 era stata proclamata la sua nascita, con toni trionfalistici fra fanfare e galloni ma senza voglia di farlo davvero, tant’è che dopo qualche mese già non se ne parlava più soprattutto per le obiezioni sottobanco delle lobby industriali del comparto Difesa che  vedevano gli accorpamenti  comunitari come il fumo negli occhi a causa delle possibili  perdite di rendita nei settori  nazionali. Di fatto le industrie della Difesa indigene producono armi proprie e si fanno concorrenza su tutti i sistemi; continuano a produrre armamenti con standard differenti e spesso incompatibili e che non colloquiano o non sono integrabili fra loro. D’altra parte come si può pensare di mettere d’accordo le numerose linee di produzione di carri armati (in UE ce ne sono oltre 15, mentre negli USA soltanto 2…), per i sistemi missilistici così diversi e le stesse linee di produzione delle Unità navali che, spesso, costituiscono centri di occupazione e di eccellenza con spiccati interessi strategici nazionali? Manca soprattutto la volontà di cooperare sul piano industriale e di trovare dei giusti compromessi, ma quando sono in gioco interessi di bottega tutto va a ramengo come la Difesa comunitaria; illuminante a tal proposito la posizione UK per cui anche se resteranno in Europa, non parteciperanno mai ad una Difesa comune!
Per pudore si tace sulla partecipazione effettiva, con una univoca politica estera europea, ai conflitti nei teatri internazionali; un’Europa che discute molto ma non decide sulle crisi di Iraq e Siria, e neppure sulla Libia, che assiste passivamente alle Primavere arabe, che ha perso la faccia nei confronti della crisi Ucraina e continua bellamente le missioni antipirateria, fregandosene del fatto che l’India abbia arrestato proditoriamente due Fucilieri di Marina italiani, affermando offensivamente che sono problemi bilaterali  italo-indiani:  un’accozzaglia di Paesi senza timone, senza valenza, fatta da indecisi e imbelli.  Nei confronti, poi, dell’imperversante Califfato  e del devastante terrorismo islamico, del Daesh, al di là dei proclami bellicosi del giorno dopo degli attentati, quasi tutti i Paesi procedono in ordine sparso senza un minimo di cooperazione, né di approccio minimale comune, sperando che vadano avanti gli altri piuttosto che farvi fronte comune.  E, ciò, nonostante anche solo qualche giorno fa, il numero Uno di Europol, cui ha fatto da grancassa il nostro Mininterno, abbia lanciato un allarme terrificante “ L’ISIS prepara uno sterminio di massa in terra europea, e può contare su oltre 5000 terroristi pronti a colpire”: avete notato qualche reazione? Abbiamo forse iniziato la pianificazione per rendere più sicure le nostre città e per dargli una sonora lezione in Libia? Nulla: prevale il solito attendismo e fatalismo comunitario, senza una politica e senza una decisione sensata! E, allora, viene da  chiedersi  dove siano finiti quei proclami sullo spazio di sicurezza e difesa a tutela dei cittadini europei, e soprattutto a  che serve davvero questa UE?
Se, infine, si guarda l’UE con un’ottica e un interesse tutto italiano, pur sorvolando su parecchie questioni, è facile farsi prendere dallo sconforto. L’UE ci costa oltre 21 miliardi di euro e noi ne riceviamo di ritorno, in media, poco più della metà; in tema di immigrati noi recuperiamo oltre 150000 elementi  con costi che superano i 3,5 miliardi che sborsiamo dalle nostre tasche senza alcun contributo europeo, anzi! Dobbiamo pure  compensare la Turchia a cui l’UE ha stanziato una cifra analoga per ospitare i profughi  che fuggono dalla Siria; gli altri paesi attraggono i nostri cervelli, i nostri ricercatori, mentre noi recuperiamo i ricercati, i poveracci; l’Italia si distingue per bassa crescita, bassi salari, alta disoccupazione, latente spread, elevatissima tassazione, soprattutto a causa nostra, ma anche con lo zampino UE.  Si confidava che con l’Unione bancaria europea , fossero abolite le nostre italiche storture e furti reiterati, nonché venissimo tutelati almeno alla pari degli altri membri, invece abbiamo preso siluri a destra e a manca, le nostre “sempre solide banche” ci hanno turlupinato senza scrupoli, e col benestare della BCE: grazie, soprattutto da parte dei clienti delle 4 banche fallite. E ora, per parare il tutto, proponiamo un super-Ministro delle Finanze europee che sicuramente riporterà le finanze (almeno le proprie), la borsa  e l’economia dell’Europa  a livelli inusitati, forse col gioco delle tre carte! Mah!
Sotto l’alto patronato comunitario e con il giusto spirito di abdicare alla propria residuale sovranità, l’Italia -da sempre (dis)-attenta al proprio interesse nazionale – è riuscita a cedere parte dei nostri confini marittimi ai cugini francesi; ovviamente sottobanco sono state modificate le linee di confine sul mare, quello più pescoso, a Nord della Sardegna e vicino a Mentone, per donarle alla Francia; i pescatori della zona, ora praticamente disoccupati, se verranno pertanto pizzicati a pescare nelle loro zone storiche saranno arrestati (già successo…):  in nome della superiore fratellanza europea, senza considerare che i nostri padri e nonni si rivolteranno nelle loro sacre tombe, avendo sacrificato in guerra le loro vite -anche con “i cugini”- per mantenere integri i nostri confini.  A carattere più generale, poi, veniamo regolarmente sanzionati su tutto, dalle quote latte, alle arance in esubero, all’olio d’oliva, alle vongole sottomisura ed ai cetrioli ricurvi;  perché non identifichiamo i migranti, e non li assistiamo abbastanza, perché i nostri confini sono un colabrodo, perché non rispettiamo il patto di stabilità, perché si va in pensione solo a  70 anni…: sembra che il paradosso abbia preso casa a Bruxelles, ma non si capisce cosa stia a fare quel nutrito numero di onorevoli italiani, invece di difendere il Tricolore.
L’UE si è rivelato un mostro burocratico e antidemocratico, sempre più lontano dalle esigenze vere dei cittadini, con una quantità di normative astruse e balzane. L’UE si è rivelata una matrigna che pensa solo a riempirsi la pancia e distribuisce ai propri sudditi, imposizioni, diktat e austerity; forse lo meritiamo perché l’italiano ha un sacco di difetti e abbiamo vissuto al di sopra delle proprie possibilità e meriti; ma il costo da pagare è altissimo, insopportabile: l’italiano con la moneta unica e le decisioni comunitarie, oggi si trova con meno soldi in tasca, meno lavoro, meno crescita e meno libertà, e drammaticamente con meno speranze di una vita migliore per i propri figli. Forse, i vari parlamentari europei vivono in un’oasi dorata e di privilegi per pensare seriamente ai propri cittadini; sono alloggiati in una “modesta” neo-struttura che è costata appena 2800 miliardi, con uffici e residenze di estremo lusso, con saune e palestre per curarsi lo stress da superlavoro: come possono capire le istanze dei poveracci che non riescono a pagare le bollette ed arrivare a fine mese? E neppure i nostri sono esenti da quella sindrome stressogena anche se la loro presenza e partecipazione non è proprio esemplare; su 87 onorevoli italiani l’assenteismo è tale per cui il Venerdì in media ne sono presenti circa 15: scappano il Giovedì sera dopo essere arrivati il Martedì, ma ciò che è più grave è la loro perenne assenza nei dibattiti e nella difesa dei bisogni della nostra gente. Per non fare nulla i 626 europarlamentari prendono stipendi e prebendevarie da nababbi; gli italiani in particolare, inspiegabilmente, guadagnano più degli altri (4 volte più degli spagnoli…): 9000 euro di stipendio cui si somma altrettanto per sfamare  gli assistenti, cui si somma altrettanto per le spese di gestione, cui si sommano prebende consistenti, dai gettoni di presenza, dai soldi con cresta per i viaggi, alla divina assistenza sanitaria, e via dicendo. Le nostre battaglie e le riserve sulla Costituzione non hanno riguardato questioni di merito, ma  il numero di europarlamentari da sistemare a Bruxelles (75) che  doveva essere eguale alla delegazione francese: ma per far cosa e con quale rendimento? Per contribuire a legiferare su questioni vitali: un fagiolo non è tale se non misura almeno un cm; le banane devono essere di almeno 15 cm;  le vongole non sono vendibili se non misurano almeno due centimetri e mezzo, i cetrioli devono avere una curvatura prestabilita, altrimenti sono fuori legge comunitaria! Di fronte a tanto duro lavoro e a tante  stravaganze, come si può pretendere che nelle brume di Bruxelles si occupino anche di immigrazione, di politica estera, di sicurezza e di Difesa? Nei dibattiti non difendiamo mai gli interessi nazionali, sempre pronti a passare dalla parte dei più forti; benefattori a fondo perduto, succubi del nostro senso di inferiorità –quali PIGS- nei confronti  dei paesi nordici e della Germania in particolare.
Alcuni anni fa, nel 2009, cercai di fare un’analisi dell’Europa esprimendo il dubbio se fosse un progetto utopistico ovvero una bella realtà e, pur non essendo un euro-entusiasta, insegnavo a discenti abbastanza selezionati che era più che opportuno sposare il concetto globale di una forte aggregazione europea, con i suoi spazi di sicurezza e di Difesa, che era necessario “più Europa”, e – sulla base di dirette e positive esperienze, avendo comandato la Forza Marittima Europea – di un Esercito unico nelle diverse componenti terrestri, navali ed aeree. Inoltre c’erano tutte le premesse per giungere all’Unione delle Banche, quella fiscale, quella giuridica e delle Polizie per una schietta e fattiva cooperazione fra i paesi membri, oltre a quelle delle Forze Armate Europee predette: non bastava avere una divisa unica, l’euro, ma era auspicata e necessaria la spada per la sua difesa.  Il nostro Presidente della Repubblica pro-tempore perorava fin dall’inizio la necessità, riprendendo una battuta di Kissinger, “d’individuare uno specifico ed unico numero di telefono per chiamare l’Europa” in modo che se Obama ne avesse avuto bisogno non doveva fare i 28 numeri dei Paesi europei. Ma, già nel 2013, nelle sue allocuzioni, lo stesso Presidente arrivava ad affermare che “l’Europa stava perdendo importanti consensi…”: ora l’utopia ed il sogno di un’Europa davvero unica ed unita è tramontato.
La barca traballa paurosamente su tutti i fronti; c’è solo una strada per recuperare dignità, sicurezza, benessere e un po’ di speranza: fermare le macchine e scendere dalla barca che sta incendiandosi, dopo aver fatto il possibile per tenerla in galleggiamento, altrimenti ci si ustionerà mortalmente. Non si tratta di pessimismo cosmico leopardiano, ma di prendere atto con pragmatismo di un fallimento, che non deve trasformarsi in un naufragio; non “più Europa”, ma “ basta Europa”: quindi, ripartire con un Progetto Italia, se ne saremo capaci e convinti, con serietà, impegno e rinnovato entusiasmo.