libia_mappaDi Giuseppe Lertora – ‘’Non desiderare la terra d’altri’’ doveva essere l’undicesimo Comandamento da osservare, in particolare da quei Paesi colonizzatori, bramosi di estendere i loro territori oltremare nei secoli scorsi, ma tanto più vale oggi per le smodate ambizioni ed egoismi dello Stato Islamico di occupare territori non propri.  Chi non rispetta tale precetto – ed è la storia, più che la religione a insegnarlo-  è destinato, nel tempo, a disastrosi fallimenti, pagando a caro prezzo quel peccato di vanità ed arroganza, anche con la perdita di numerose vite umane.   L’ISIL, la forma dello Stato Islamico o Daesh presente in Libia, invece, continua imperterrito la sua espansione soprattutto nella zona di Sirte, sconsiderando tali insegnamenti storici, con una strategia analoga a quella adottata in Siria e Iraq: accaparrarsi terreno e consensi nel ventre molle di un Paese instabile ed allo sbando, ma soprattutto mettere le mani sulle ricchezze petrolifere essenziali per autoalimentarsi. Di fronte a tale invasione e alle farneticanti, ma anche preoccupanti minacce di ISIL nei confronti del mondo occidentale, e dell’Italia in particolare, non possiamo più stare alla finestra a guardare passivamente all’evoluzione e espansione di quel ‘’mostro’’ che incancrenisce quella zona a noi così vicina: un grave pericolo ed un tassello importantissimo di quel Califfato universale agognato dagli islamisti. Il crescendo dell’IS in Libia è confermato  dai vari colpi messi a segno nell’area, fra cui i temerari attentati nei confronti della polizia libica, e dalle recenti notizie dell’intelligence americana che evidenzia due aspetti fondamentali: l’esodo attuale verso la Libia dei comandanti e capi fuggiti dalla Siria, ed il  raddoppio delle loro forze portandole così – nel giro di qualche mese- intorno agli 8000 uomini. Di fronte a questa nefanda e fluida situazione, e al fatto che il Governo provvisorio libico di unità nazionale stenti a essere riconosciuto dalle varie fazioni sul territorio (sia da Tobruk che da Tripoli…), le varie agende internazionali europee e d’oltreoceano prefigurano tutte la necessità di una missione di stabilizzazione in Libia (la parola guerra è impronunciabile dai più…): molti tromboni, tanti sermoni e un gran vociare con incontri bilaterali, ma tutti stanno alla finestra con Banki Moon, Obama e la Nato in prima fila, ma nessuno prende alcuna concreta iniziativa.  E’ logico quindi chiedersi: dobbiamo fermare questi scellerati oppure attendere passivamente che triplichino le loro forze e occupino tutti i pozzi petroliferi dell’area, e magari qualche gruppo venga a trovarci in Italia, sfruttando i traffici degli immigrati?  E, inoltre: esiste una corretta e condivisa programmazione dell’intervento militare in Libia con dei piani alternati secondo i diversi scenari ipotizzabili? E, infine: Esiste davvero la volontà politica di intervenire sulla ‘’Quarta sponda’’, prima che sia troppo tardi, con un prefigurato impegno che non si limiti alla sola ‘’mission’’ militare, ma preveda una lunga fase di stabilizzazione e riconciliazione per riavviare quel popolo a un’era storica più stabile e in qualche modo vivibile e civile?  Di certo la situazione è assai complicata e di non facile soluzione, ma non possiamo attendere ancora adducendo scuse puerili e inconsistenti, né assecondare quella fasulla strategia  obamiana del ‘’containement’’ e  ‘’dell’wait and see’’ (cioè del campa cavallo che l’erba cresce..) che ha portato solo disastri sociali universali –in particolare in Medio oriente e nei Paesi mediterranei-  con la nascita o rinascita di forme di terrorismo:  sembra che il ‘’gendarme del mondo’’ USA  abbia abdicato totalmente al suo storico ruolo e ad una politica estera degna di quel nome. Per contro, qualche saggio sostiene una cosa del tutto ovvia: ‘’chi combatte può anche perdere, ma chi non lotta ha già perso’’: meditate gente, meditate cari politici, ma con un po’ di onestà intellettuale e di coraggio, altrimenti è meglio stare a casa…e attendere! Di certo va chiarito che non sarà una missione di peace-keeping, ma di peace-enforcing, cioè di guerra per portare la pace e la sicurezza, ma non di pace! La storia spesso ci viene incontro, ci dà un grosso aiuto nella nostra in-decisione; basta conoscerla o magari ripassarla come si dovrebbe fare prima di un così importante esame.  Si tratta di estrapolare qualche considerazione e capire ‘’i precedenti’’ andando a scavare nella storia della Libia fin dalla fine del 1800 quando, in quella fase di spinta colonizzazione del continente Nero, venne formalizzata e adottata la strategia nota come ‘’Scramble for Africa’’  con modalità e obiettivi certamente assai diversi rispetto a quelli dello scenario attuale.

Le preoccupazioni del popolo libico, allora allo stato brado, e oggi allo sbando, dovrebbero essere molto diverse  perché lo scenario stesso è completamente differente rispetto all’epoca in cui venne coniato quel motto; allora sussisteva una logica e comprensibile preoccupazione da parte dei libici per l’invasione e l’occupazione da parte dei Paesi occidentali europei che intendevano colonizzare vari Paesi africani, con quella ‘’partenza per l’Africa’’: oggi, se mai, si va per liberarli da terroristi.  In effetti, anche allora si attendeva il benestare di un organismo – il Congresso di Berlino del 1878- che oggi potrebbe essere rappresentato dall’ONU; nei fatti, allora, Berlino autorizzava l’intervento delle potenze europee nei territori africani per ampliare i loro possedimenti (la Francia in Tunisia nel 1881, la Gran Bretagna in Egitto nel 1882, ecc..), ed oggi le N.U. ed il mondo occidentale contro l’ISIL: gli obiettivi erano molto diversi, ma soprattutto c’era la voglia di territorio e gli interessi riguardavano i prodotti dell’agricoltura, il sale, le pelli, i minerali rari, mentre il petrolio ed il gas –oggi  elementi altamente appetibili-  erano ancora illustri sconosciuti. Per l’Italia, quindi, la storia della Libia si è ripetutamente intrecciata con la nostra; sono passati oltre 100 anni dall’occupazione coloniale del 1911 e 65 anni dalla proclamazione dello Stato libico indipendente, del 1951, ma i rapporti con la ‘’Quarta sponda’’ sono ancor oggi più alla ribalta dei tempi passati. Non siamo mai riusciti a guadagnarci quel ‘’posto al sole’’ nel panorama delle Nazioni colonialiste, né allora né successivamente all’epoca del Ventennio, ma destinati al fallimento in quanto frutto di sogni colonialisti  basati su presupposti sbagliati di fatto e di diritto delle Nazioni: nessun riguardo circa la autodeterminazione dei popoli, ma mossi unicamente  da una  proterva ambizione di accaparrarsi terreni e ricchezze altrui con il fondamentale supporto di una falsa propaganda. Non ci siamo guadagnati in Libia, checché se ne pensa, la nomea di ‘’italiani brava gente’’. Gli effetti della vicenda coloniale e dell’Impero fatale gravano ancora come macigni nell’immaginario collettivo; la Libia è ancora un nervo scoperto soprattutto per gli italiani che, ancora oggi, devono affrancarsi dalle ingordigie ben più forti di paesi mediterranei presenti con sensibili interessi nell’area, dai cugini francesi, agli inglesi e perfino, per altri aspetti, dai Turchi , più o meno similmente a ciò che capitava oltre un secolo fa.  Lo scenario è tuttavia oggi assai  diverso, e gli interessi dei vari attori nazionali è alquanto cambiato, anche se alla base sussiste sempre un appetito economico per lo sfruttamento energetico di quelle aree, seppure ammantato dalla necessità di Sicurezza finalizzata a combattere il terrorismo islamista dell’ISIL . Per l’Italia, inoltre, esiste un ulteriore  drammatico problema; cioè quello di esercitare, con misure più sensate e con accordi specifici bilaterali, l’abnorme  fenomeno migratorio clandestino verso le nostre coste, che frutta miliardi agli uomini del Califfato:  paradossalmente oggi assistiamo e sopportiamo  una colonizzazione al contrario, un flusso islamico di poveracci ( e di qualche infiltrato jihadista)  che si riversano senza sosta prima nel Belpaese e poi nei vari paesi dell’UE.   E, fra questi profughi, è ormai acclarato che transita incontrollato anche qualche jihadista (vedi attentato di Parigi..) che, grazie alla libera circolazione garantita del discusso trattato di Shengen, si muove a proprio piacimento fra i paesi dell’UE. Ma c’ è di più, una sorta di virus, un freno a mano mentale e culturale dell’Occidente nei confronti del terrorismo islamista che paralizza le iniziative ed annichilisce lo ‘’scramble for Libia’’.   Infatti, paradossalmente, i leaders europei, anche dopo ogni proditorio attacco islamista alla nostra società, si affrettano a dichiarare che ‘’l’Islam non ha niente a che fare col terrorismo’’ e che ‘’ gli islamici moderati’’ sono buoni ed estranei a tale fenomeno.

In realtà sottobanco giustificano le atrocità commesse da ISIS comunque nel nome di Allah , auto-accusando l’Occidente di essere l’artefice dei maltrattamenti subiti e della mancata integrazione degli islamici nelle loro città, puntando il dito contro la sua politica estera che motiva ed è quindi ritenuta la prima responsabile della stessa jihad! Un autogol che rivela la pochezza e l’ipocrita tolleranza degli occidentali, sempre più orientati a non inimicarsi l’Islam, ma che potrebbe costarci molto cara.

Non dovrebbe spettare a quei leaders, giustificare e difendere la reputazione islamica dall’essere in combutta col terrorismo, anche perché  le stesse diverse organizzazioni e istituzioni islamiche si sono sempre rifiutate di condannare ISIS e di considerarla un’organizzazione non-islamica!  Obama stesso e i cosiddetti ‘’moderati’’  non riescono a dire esplicitamente che si tratta di terrorismo di natura e matrice islamica, arrendendosi così alla loro mistificatrice agenda  e sposando, indirettamente, le loro nefaste strategie. Quasi come se i leaders occidentali fossero ostaggi dell’Islam, recitano una litania comune e tentano di convincere i loro cittadini che ISIS non vuol dire Islam che, invece, è il vero colpevole. Ergo: attenzione che uno ‘’scramble for Libia’’ potrebbe essere inteso dalla comunità islamica come una Crociata contro i musulmani, per cui bisogna pensare, calibrare, avere una strategia globale, un governo unico libico, e chi più ne ha, più ne metta pur di glissare sull’intervento militare in Libia contro  quei partigiani dell’ISIS.

Anche se loro con i vari proclami sul periodico Daqib, hanno scritto e detto che vogliono farci fuori, vogliono tagliare le teste a noi infedeli, vogliono instaurare il Califfato anche nelle nostre città, issare la loro bandiera in Vaticano: nel nome di Allah ci hanno dichiarato la guerra  e continuano a decapitare le teste sul litorale libico, mentre noi con infiniti giri di valzer…attendiamo! Ma fino a quando possiamo stare alla finestra (la stessa ministra della Difesa sostiene che con questa situazione di stallo non si può andar oltre la primavera…) e non preoccuparci di quei tagliagole, mentre i nostri media ballano a Sanremo e parlano di cronaca nera e rosa nel tentativo di distrarre l’opinione pubblica cloroformizzata da uno strumentale battage politico sulla giustezza della famiglia tradizionale rispetto a quella di fatto o omosessuale, sull’etica delle unioni in-civili e evitando accuratamente di parlare di questioni serie, come la sicurezza e la crescita di questo Belpaese?  Siamo bravi a giocare a Risiko, a combattere  guerre faziose e inutili, ma solo per finta ; sentendo le dichiarazioni dei ‘’nostri’’ ai vari talk-show sembra di trovarci di fronte  a grandi strateghi che hanno in mano le sorti del mondo, mentre in realtà stanno solo imbullonando la sedia per le prossime elezioni e, nella sostanza, facendo solo passare il tempo, pagato profumatamente. Mah! Neppure le esortazioni degli americani a cui i nostri hanno sempre aderito senza particolari obiezioni, hanno sortito gli effetti sperati, anche se è vero che  dopo le recenti visite dei nostri VIP alla Casa Bianca qualcosa si è mosso perché siamo stati rimproverati che ‘’bisogna fare di più’’. Che si è subito tradotto, secondo la nota sindrome del giocatore di Risiko, in una serie di mosse balzane ma davvero assai temerarie: l’invio di un nostro contingente da 450 soldati, ora lievitati a mille,  a difesa della diga di Mosul, a circa 4 miglia (!!) dalle postazioni di ISIS, ma anche di una compagnia basata su elicotteri per non ben definite, ma assai rischiose, operazioni di combat rescue nella zona Nord irachena. Ma che ci azzecca con la lotta del Califfato in Libia? E’ quella la nostra priorità? Mah! Si dice che bisogna attendere la formalizzazione di un governo di Unità Nazionale libico che, come noto, è ancora in alto mare per intervenire su sua richiesta a supporto delle forze libiche nella guerra all’ISIL; si dice che per evitare di essere tacciati d’indebita invasione della Libia bisogna attendere una specifica Risoluzione dell’ONU che da tempo langue al Palazzo di vetro; si dicono molte cose anche giuste, ma il tempo passa e l’ISIS prende più forza, arruola adepti e foreign fighters, e amplia i suoi territori.

Noi, la mossa sullo scacchiere del Risiko l’abbiamo fatta con il rischieramento di 4 aerei AMX nell’aeroporto di Trapani Birgi!; per fortuna c’è – fuori dal Risiko- una Squadra navale sotto Eunav-forMed che, seppure con compiti centrati sull’immigrazione e sulla lotta agli scafisti, continua a pattugliare nelle acque prospicienti la Libia pronta a proteggere le piattaforme dell’ENI e i nostri interessi nazionali: una garanzia non trascurabile  potenzialmente ‘’pronta per uno scramble’’ per qualunque esigenza aeronavale, anfibia o come piattaforma per le Forze Speciali.

Fonti bene informate dicono che il Pentagono sta lavorando alacremente su un piano d’intervento militare  in Libia con i più stretti Alleati europei, e con la partecipazione di altri Paesi (Egitto, Tunisia, Giordania,…) per combattere l’ISIS che, secondo le recenti dichiarazioni di Obama  ‘’ ora và distrutta’’. Le predisposizioni riguarderebbero dapprima un massiccio intervento aereo combinato per fiaccare ISIL insediata nelle zone fra Sirte e Misurata, tagliando loro  le risorse petrolifere nonché i collegamenti con gruppi che operano all’interno;  quindi sarà comunque necessario inviare una congrua forza terrestre, con ‘’boots on the ground’’, privilegiando l’impiego di Forze Speciali per snidare i terroristi dalle loro tane. Non sarà un’operazione facile, ma assai gravosa sotto diversi aspetti; ci vorranno parecchie migliaia di soldati per fare quella missione di cui la parte militare è solo l’antipasto, a cui dovrà seguire un’opera multilaterale ed olistica che va dall’ addestramento delle forze locali, agli aiuti umanitari, alla stabilizzazione sociale e di riconciliazione difficilissima fra le varie fazioni religiose ed etniche sparse dovunque in quel vasto territorio. Gli interessi europei e americani in Libia sono frammentati e assai diversi, ma per l’Italia sono vitali; bisognerebbe avere la forza e il coraggio di andare per primi, magari con la sola partnership USA, senza contare sempre nelle decisioni scaturite da una specie di consultazione assembleare dei nostri partners che ci vedrebbe sempre come la ruota di scorta europea. Attendiamo pure ancora qualche settimana, con pazienza ma approntandoci, e con la speranza che il futuro Governo unico in Libia  richieda l’intervento delle forze di una coalition, magari sotto l’egida delle Nazioni Unite, per combattere l’ISIL.  Ma se, nel giro di un paio di mesi, al massimo alla fine della primavera, la situazione continua a stallare con un Califfato ancora più aggressivo e pericoloso per la nostra sicurezza e libertà, con un’internazionalizzazione ancora paludosa e con un governo libico inesistente, i nostri politici saranno all’altezza di prendere la  decisione di intervenire e  dare finalmente l’ordine di ‘’Scramble for Libia’’ non solo per compiti ‘’pacifici’’ di formazione e addestramento, ma anche di ‘’combat’’ vero per fermare la metastasi di ISIS? Chissà….