Viaggio in una fabbrica clandestina di armi a Peshawar: la guerra è anche questa.

Peshawar, capoluogo della provincia di Khyber Pakhtunkhwa in Pakistan, 200 km circa da Islamabad, la capitale. Un dedalo di strade, una gimcana voluta per renderci arduo l’orientamento. Non esistono nomi per le vie, difficile avere punti di riferimento. In parole povere, difficile trovare la strada per ritornarci. Grazie ad un “gancio” locale, andiamo in una zona in cui è presente una “industria” altamente innovativa, perfettamente in tendenza con le “necessità” odierne del mondo della politica e degli affari… Si tratta di una attività che, nonostante la posizione remota e inaccessibile al pubblico, risulta molto influente a livello globale. Una fabbrica di armi clandestina, che in ogni momento potrebbe spostarsi in qualsiasi altro luogo del paese, qualora ci fosse il sentore dell’arrivo indesiderato di qualcuno, intenzionato a “boicottare” il business iper-remunerativo che l’aziendina pakistana produce.
Molte ONG e associazioni governative, sparse per tutto il mondo, hanno tentato, varie volte, di scovare e sopprimere questa fucina illecita, dispensatrice di strumenti di morte, senza però sortire alcun esito positivo.
Stiamo parlando di una vera e propria impresa di contrabbando di armi, con lo scopo di produrre prodotti affidabili e consistenti per “rispondere velocemente alle richieste dei clienti”. Le armi vengono prodotte e spedite da questa struttura, al fine di controllare ogni aspetto della catena di montaggio, dalla produzione alla distribuzione. Tale operazione richiede, ovviamente, il pagamento di tangenti ai vari corpi di polizia e figure della politica locale, anche con lo scopo di mantenere continuo accesso ai vari fornitori di materie prime.
Il proprietario di questa attività ci accoglie con modi gentili, molto amichevole e ospitale, nonostante il suo motto sia: “Uccidere è il mio mestiere… E gli affari vanno bene!”; chissà se è consapevole che questa espressione è il titolo di un famoso album della band statunitense Megadeth del 1985.
Intorno a noi una serie di macchine e uomini lavorano incessantemente. La produzione, come è facile intuire, è continua, così come il mercato impone, e non stupisce affatto la lungimiranza del proprietario e il fiuto per gli affari: “Il nostro compito è quello di anticipare dove avverranno le prossime violenze e conflitti, ancora prima dei servizi segreti e delle varie agenzie di stampa; per fare ciò «monitoriamo» le modalità di richiesta di armi (legali, ndr) nelle varie regioni del paese, al fine di intercettare le richieste dei clienti e di fornire i «prodotti» il prima possibile”. Un modo per avere delle buone soffiate e presentarsi in anticipo. Pochi minuti e qualche scatto fotografico: quanto basta per permetterci di scoprire che la guerra è anche questa.

Eleonora Giuliani
e.giuliani@liberoreporter.it

 

Chi è Eleonora Giuliani?
eleonora-giuliani-fotoClasse 1983, nata e cresciuta a Roma, sin da bambina ha iniziato a viaggiare spesso con il padre principalmente nei paesi dell’Europa Orientale, appena dopo la caduta del muro di Berlino; esperienze, queste, che hanno sviluppato una grande curiosità nel scoprire luoghi insoliti. Laureata a Roma in Lingue Straniere, trasferita a Londra per approfondire i gli studi, Eleonora ha ottenuto un Master in Interpretariato e Traduzione. Lo studio approfondito delle lingue straniere l’ha portata a interagire con persone provenienti da paesi, tradizioni e culture diverse. Grazie a queste opportunità, il suo interesse per i viaggi è cresciuto esponenzialmente; interesse che ha trovato la sua evoluzione nella fotografia e nel descrivere luoghi atipici e spesso disprezzati, quelli che normalmente trovano spazio nelle prime pagine dei giornali solo ed esclusivamente quando accadono fatti eclatanti, guerre e drammi di ogni tipo.

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