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Al di là delle opinioni personali sulle possibili soluzioni del fenomeno migratorio, legittime e tutte da rispettare, delle statistiche “ballerine” sulle comunque abnormi dimensioni spesso declinate e modulate da una opportunistica semantica elettoralistica, resta il fatto che il numero dei recuperi di quei poveracci provenienti dalla Libia ha toccato circa 15000 unità in una settimana, con più di 900 dispersi in mare.
Il cordoglio per quanti – e sono tanti – continuano ad essere inghiottiti nelle acque del Mediterraneo si unisce alla paura dell’impotenza, nonostante gli sforzi immani della nostra Marina.  Oltre 3000 migranti al giorno sono stati soccorsi ed assistiti di recente dalle Navi della Marina, della Guardia di Finanza, da quelle che fanno parte delle diverse operazioni navali in Mediterraneo, da Mare Sicuro a Triton a quelle di Eunavformed, ed anche dalle diverse navi mercantili in transito nel Canale di Sicilia. Ed il soccorso, che dovrebbe essere prestato per quegli eventi estemporanei, e non pre-programmati, nelle zone SAR (Search and Rescue) di specifica responsabilità dei diversi Stati con il necessario coordinamento delle relative Guardie Costiere, oggi viene fatto quasi esclusivamente dall’Italia. Non solo a prescindere dalle zone SAR di competenza, secondo logiche di totale “assistenza e accoglienza” che riflettono rispettabili sentimenti umanitari, etici e morali-religiosi, ma che – pur senza voler essere ipercritici – esulano da una governance laica e pragmatica di gestione del fenomeno migratorio. Anzi, il messaggio che viene diffuso a livello globale fra coloro che desiderano o sono costretti a migrare dai vari paesi africani, e non solo, è quello di tentare la via di Lampedusa, tanto ci sono le navi della Marina che sorvegliano ma soprattutto prestano soccorso e li traghettano in Italia. Se la statistica non è un’opinione, ma una seria branca della matematica, a fronte dei circa 40.000 migranti che sono approdati nelle nostre coste, dall’inizio dell’anno, ci sono stati oltre 2.500 morti, e se arriveremo ai numeri dello scorso anno, intorno ai 150.000, dobbiamo mettere a calcolo circa 10.000 perdite, per non pensare a quei 800.000 migranti stimati, in attesa nelle coste libiche, che implicherebbe oltre 50.000 morti! Un’ecatombe senza precedenti: dobbiamo quindi esortarli a venire per assistere a quelle tragedie o sarà più opportuno gestire e governare il fenomeno diversamente?
Nella nostra società ci sono problemi seri, di disoccupazione,  di scarsa crescita, di evasione e di corruzione, di una giustizia elefantiaca e burocratizzata che sono vere e proprie linee di frattura che caratterizzano la nostra epoca; la migrazione è, fra essi, quella che investe direttamente e indirettamente la nostra società: il problema è che non c’è la volontà di affrontarli e governarli, senza commistioni etico e morali, senza porsi da una parte o dall’altra del problema, senza idee e progetti alternativi, ma basandosi su ideologie, atteggiamenti e credi che spesso nulla hanno a che fare con una reale governance dei problemi reali.                Se le famiglie italiane non hanno i soldi per pagare le bollette o per arrivare alla fine del mese; se esistono percentuali di disoccupati che si avvicinano a quelli che lavorano; se i servizi per la famiglia – sempre più striminzita- stanno scomparendo e i giovani non sanno a chi lasciare i figli durante il giorno; se le tasse sono iperbolicamente elevate anche se raffrontate alle altre Nazioni europee; se l’immigrazione è incontrollata e quei poveracci vanno a rubare il lavoro o un misero welfare a quegli italiani che nonostante abbiano lavorato duro una vita, si trovano in grosse difficoltà, i nostri politici non possono dibattere quale debba essere il genere di famiglia etero o omosessuale, disquisire sulle unioni civili, sulle adozioni o sulle liberalizzazioni o protezioni. Ormai è palese che anche quei dibattiti di un certo rilievo sociale servono a nascondere i problemi reali, di ogni giorno; anziché tentare di risolverli, quelli veri, che affliggono davvero la nostra società, vengono utilizzati come una cortina fumogena per nascondere quelli più gravi, denotando quindi l’incapacità stessa della politica nell’affrontare quei problemi vitali.  Il nostro è un Paese strano che negli ultimi anni ha sempre seguito il concetto di NIMBY (Not in my back-yard) evitando di spartire con altri, anche con i vicini di casa, il proprio orticello e così condividere idee e progetti; dal dilemma nucleare e il costo della nostra energia: da noi il nucleare va bandito, per la sbandierata in-sicurezza anche se ci costa caro e ci sono circa 20 centrali nella vicina Francia che potrebbero crearci seri problemi in caso di disastri tipo Chernobyl; da noi è stata vietata la costruzione di rigassificatori per un oculato e più economico impiego del metano; i termovalorizzatori sono altrove per cui paghiamo a peso d’oro i nostri rifiuti a tedeschi, olandesi, spagnoli, ecc; le discariche sono da impiantare lontano, e via dicendo: stranissimo che, invece, quando si parla di migranti – che nessuno vuole nelle proprie città, e nelle diverse Nazioni, per ragioni sociali e motivi non del tutto peregrini – non solo vengono accettati “in my back-yard” in modo indiscriminato, senza alcun controllo, ma addirittura li andiamo a cercare per una stramba forma di accoglienza tout-court.  Un’accoglienza singolare, unica fra i paesi europei, tant’è che l’hanno capito tutti, e da tutte le latitudini africane si dirigono verso la Libia per poi approdare in Italia; peccato che poi, ammesso che riescano ad arrivare in Italia e non finiscano in fondo al Mediterraneo, vengono lasciati allo sbando incontrollati: li spargiamo nei fatiscenti centri di accoglienza o se preferite negli “hot spot” (che fa più chic ma la sostanza non cambia…); non assicuriamo loro un lavoro (non c’è neppure per i nostri figli…), lasciandoli spesso in balia della criminalità organizzata, e creando comunque delle conflittualità socio-economiche con i residenti.
Se, finora, i numeri dei migranti sono stati assorbiti anche con grossi sacrifici del comune cittadino, che di là dei proclami continua ad essere vessato con gabelle di ogni tipo, dalle nazionali alle addizionali regionali e comunali (in molti casi aumentate di oltre il 50%…), con un’ Europa sorda alla condivisione del “burden” politico ed economico, l’arrivo smisurato di quei migranti in queste ultime settimane, con la prospettiva di accettarne altre centinaia di migliaia pronti a salpare dalla Libia (si prevede oltre 800.000…) sta creando dissapori, malumori e paure di vario genere.  Dall’incrementata insicurezza connessa con la presenza di questi “nuovi inquilini” che per sopravvivere spesso delinquono (ne è la dimostrazione che oltre l’80% dei detenuti nelle carceri patrie sono extracomunitari), al timore fondato di quella sorta di islamizzazione demografica strisciante (tetragona al rispetto delle nostre regole e all’integrazione sociale) fino ad aperti conflitti con i nostri attuali poveri spesso posti in seconda fila nei servizi sociali, nell’assegnazione di case popolari e perfino negli emolumenti elargiti: la percezione corrente è che siamo bravi a fare il “beau” gesto dell’accoglienza, ma non a porre in atto concrete misure di accettazione civile, a far rispettare loro le regole del nostro mondo, né a far capire all’Europa che c’è bisogno di quella solidarietà laica con l’accettazione di aliquote di rifugiati. Anzi, la Ue si è mostrata sempre assai tiepida, se non ostile alla spartizione dei migranti, alle famose “quote” accusandoci di scarso controllo anche nella distinzione fra gli aventi titolo all’accoglienza (meno del 10%) ed i restanti, e in alcuni casi ci ha rampognato per non essere in grado di sorvegliare i confini marittimi, con periodici richiami per il trattamento poco civile loro riservato.
Non a torto, moltissimi cittadini ritengono che oggi sia già stata superata la linea rossa del limite superiore dell’accettabilità, della tolleranza e quindi della sostenibilità: la netta sensazione è che l’Italia sia diventata un comodo ricettacolo per chiunque decida di emigrare dal continente Nero. Sono comunque molti, soprattutto le anime belle, i buonisti ed i cosiddetti intellettuali che, stando in comode poltrone e spesso senza coinvolgimenti personali, sostengono le massime dei “ponti e le porte aperte a tutti” con un’accoglienza senza limiti, parandosi dietro immotivate ragioni di democrazia e di fantomatici valori insiti nelle diversità e nell’indiscusso “multiculturalismo” quale pilastro del nostro sistema di valori occidentali. Mah! Se poi questi poveracci vengono abbandonati ad un misero destino nei famigerati “hot spot”, delinquono e diventano degli sbandati, o dati in pasto alla criminalità organizzata, poco importa: essenziale è teorizzare il multiculturalismo, anche se non c’è alcuna integrazione fra le diverse culture.  D’altronde è inutile lamentarsi; noi per primi li accogliamo con ipocrisia, con la quasi certezza, o almeno l’auspicio che siano solo in transito verso altri Paesi; non abbiamo posto in essere un sistema organizzativo per controllare chi viene, quando arrivano, chi sono, se profughi o migranti economici e perfino terroristi: ogni volta che c’è un’ondata si corre ai ripari, ed ora, visto che numerosi Paesi chiudono le frontiere –da Ventimiglia al Brennero-  e i migranti restano  qui, si requisiscono alloggi anche inadeguati su tutto il territorio, e si chiedono altri sacrifici. Ma è davvero giusto accogliere tutti i migranti, oppure il governo ha il dovere “laico” di trovare una o più soluzioni civili e rispettose della loro dignità, ma anche di quella di noi italiani?  In effetti anche alcune fra le più illuminate personalità religiose, escludendo i rappresentanti “talebani” della CEI che invocano l’accoglienza senza limiti, hanno approcci del tutto diversi e assai più condivisibili: il Dalai Lama esorta ad accogliere “temporaneamente” chi ne ha diritto – i profughi-  col vincolo di farli rientrare nei loro Paesi per aiutarne il progresso; il Santo Giovanni Paolo 2° considerava l’accoglienza indiscriminata come una grave conseguenza della scomparsa strisciante del cristianesimo, un fenomeno di “apostasia silenziosa” che fa dimenticare Dio, lasciando campo libero al nichilismo individuale e al relativismo morale nella nostra vita quotidiana. Più specificatamente la Sua cultura dell’accoglienza in rapporto all’immigrazione doveva essere ampia, ma garantiva al tempo stesso “l’intera società europea e le sue istituzioni alla ricerca di un giusto ordine e di modi di convivenza rispettosi di tutti, come pure della legalità, in un processo di integrazione possibile”: cioè, la vision teologica – a parte quella attuale dell’Oltretevere- consiste nell’accogliere chi ne ha diritto e forte bisogno, ma secondo legge e purchè si rispettino le regole e si voglia convivere nella legalità, con il presupposto che i migranti tornino a contribuire allo sviluppo delle loro terre. Noi invece abbiamo debordato e siamo andati ben oltre; li accogliamo tutti -profughi e non- anche se non siamo nelle condizioni di ospitarli, di capire chi ha diritto all’asilo; ne consentiamo la strisciante islamizzazione, senza prevedere rimpatri dopo un eventuale periodo di “temporaneità”; il rispetto delle regole della convivenza e della legalità sono optional e l’integrazione resta un’utopia. Forse è giunto il momento di cambiare rotta e governare il fenomeno diversamente. L’Europa, e anche l’Italia, possono fare meglio e molto di più, con una politica coerente, se non unica che si esplicita sia in correttivi strutturali a lungo termine, che nella gestione quotidiana dei flussi migratori. La percentuale di profughi e rifugiati è dell’ordine, comunque, di circa il 10 % dell’intero flusso, ma la nostra incapacità di discriminazione rispetto ai migranti per motivi economici, fa sì che siano considerati tutti meritevoli di asilo, di accoglienza, senza assoggettarli alle norme sull’immigrazione, che –invece- consentirebbero di respingere o espellere i nuovi arrivati, senza titolo. E questo è un primo punto su cui riflettere in base al Diritto, senza falsi moralismi: governare il flusso secondo legge; quindi sì all’asilo, ma la gestione degli altri migranti deve soggiacere, quanto meno, a criteri oggettivi e anche soggettivi in base alla sovranità di uno Stato, in termini di sostenibilità, di assimilazione sociale e d’integrazione. Restano ora da esaminare le misure di controllo, di contenimento dei flussi migratori, e quindi di un loro giusto governo e gestione, anche a livello europeo, mirando in particolare all’ “hot-spot” Italia. In buona sostanza si tratterebbe di: identificare i profughi, anche con la creazione di spot mobili in grado di fare il relativo riconoscimento con fotosegnalazione e in modo da discernere chi ha diritto all’asilo, dal resto, da quelli economici e dai mariuoli, cioè consentire solo la migrazione legale, avvantaggiandola; rimpatriare i restanti non aventi titolo, nei paesi di origine con navi o aerei passeggeri oppure verso la Libia, adottando una politica preventiva con procedure di “respingimenti assistiti” col rientro nei sorgitori di partenza previ accordi con il neo Governo libico di Unità Nazionale; prevedere, comunque, quote di “assorbimento” dei Paesi membri dell’Ue, condivise in rapporto alle loro possibilità, alla sostenibilità economica e all’entità della popolazione. Tali soluzioni sembrano oggi più percorribili vista anche la migliorata situazione in Libia con la formazione del GUN, governo di unità nazionale di al- Serraj, considerata anche la specifica richiesta di addestramento della loro Marina e Guardia Costiera per la sorveglianza delle acque territoriali. Si tratta cioè di dar vita ad accordi inter-governativi che impegnano i governi, o chi è al momento al potere riconosciuto, dei paesi di provenienza degli immigrati per limitare l’emigrazione verso l’UE o l’Italia, e anche a ricevere senza difficoltà i loro cittadini espulsi, in cambio della concessione di maggiori quote dei fondi per la cooperazione e lo sviluppo.  Bisogna anche mettere mano all’organizzazione non solo con i controlli via “hot-spot”, ma anche dare una sveglia ai nostri “servizi”; non è accettabile che nessuno segnali preventivamente la partenza di 80, dicesi ottanta, fra carrette e gommoni dai sorgitori di Zwara e Sabratha, piene di migranti finiti in gran parte in tragedie; la governance non può limitarsi a fare la conta: 80 barche x 70 migranti= 5600 individui che il Viminale, con un atto di grande management, distribuisce nel nostro suolo patrio, ordinando ai Prefetti di provvedere: e se ne arrivano 100000? …si distribuiscono: cioè una gestione dilettantesca, a vista, lasciata al caso sperando che non ne arrivino troppi!
Ma il combinato disposto delle condizioni meteo estive più favorevoli e la presenza dei soccorritori della Marina presenti in zona, crea un forte invito ai migranti per intraprendere quel viaggio comunque pieno di rischi. Un paio di recenti interviste a personaggi che “sanno il fatto loro” sono emblematiche: la prima è quella dell’ex-Primo Lord del mare Sir Alan West che in sostanza critica la mossa di Cameron nell’inviare un’ulteriore fregata nel Canale di Sicilia, in quanto servirebbe soltanto a illudere i migranti di essere salvati, mentre in realtà è una spinta per farli naufragare. Di più; lui sostiene di conoscere bene persone in Nigeria che gestiscono i migranti: “con 2000 dollari vengono trasferiti attraverso il Sahara, messi su una barca qualsiasi, con il numero di telefono per chiamare la Guardia Costiera italiana, che verrà ad accoglierli!” “Bisogna che l’ONU con le sue NGO, e le navi militari, fermino quelle barche della morte, catturino gli scafisti, e riportino i migranti nei campi libici, li processino e capiscano chi ha il diritto di asilo e chi non ce l’ha: stop!” conclude l’Ammiraglio.  Invece si continua a fare il contrario, nonostante dall’inizio dell’anno oltre 2500 migranti siano morti in mare, e ieri quasi 500; basterebbe un paio di giorni dei predetti “respingimenti assistiti” per far cambiare la musica…
La seconda riguarda il Presidente della Nigeria, un Paese non in guerra: “scappano da noi solo i delinquenti, coloro che sono allo sbando, ma sanno che da voi in Italia si può vivere meglio, la giustizia li perdona e l’accoglienza è assicurata..”; una conferma che l’asilo non c’entra nulla e che il nostro Paese è diventato il ricettacolo di tutti, a prescindere. Se ne è accorto pure il nostro Mininterno che proprio qualche giorno fa, in una querelle con il segretario della CEI, ha dichiarato –finalmente- di non poter accogliere tutti i migranti!
Val la pena, infine, di fare alcune riflessioni sul “Migration Compact” proposto a livello Ue, quale linea strategica di lungo termine per gestire il flusso migratorio, investendo nelle economie dei paesi di origine dei migranti e quelli di transito, affinchè restino o tornino nel loro ambiente. Il piano è concettualmente condivisibile anche se molte sono le ombre ed i rischi ad esso correlati; la previsione di stanziamento è di 60 miliardi di euro da parte dell’Ue cui si aggiungono investimenti nazionali e privati; la finalità nel breve termine è che i paesi africani cooperino nel controllo delle frontiere, evitino un esodo incontrollato e quindi siano d’accordo nel riprendersi i migranti irregolari ora presenti nei paesi membri. Non dobbiamo illuderci che si tratti solo di una questione di risorse economiche, né che siamo di fronte ad una novità, visto che per portare democrazia e sviluppo in Africa, negli ultimi 40 anni sono stati investiti circa 500 miliardi di dollari: peccato che i popoli destinatari ne abbiano visto circa l’1%, mentre il resto è stato fagocitato da strutture corrotte e deviate, ma anche da quei dittatori e predatori senza scrupoli che hanno accumulato fortune depositate in banche straniere. Nelle 53 Nazioni del Continente Nero, solo una ventina stanno facendo progressi sulla strada della democrazia ed il grande travaglio della decolonizzazione ha portato fallimenti statuali e nuove realtà nazionali peggiori del periodo coloniale; sarebbe un grave errore credere che stabilità, progresso e convivenza civile siano dietro l’angolo in quanto la situazione è talmente disomogenea e afflitta da patologie così diverse che non sarà guaribile con un’unica terapia di elargizione monetaria a pioggia. L’Ue destina già oggi un flusso ininterrotto di risorse anche in termini di assistenza umanitaria, ma si guarda bene da impegni politici e militari in Africa; cioè esiste una ovvia assenza di politica estera con una sorta di “partnership asimmetrica” tutta sbilanciata verso la cooperazione economica e l’assistenza. Prima di ogni cosa bisognerebbe colmare il gap che esiste fra il rispetto delle regole e dei valori che mediamente si registra nelle democrazie occidentali con quello dei paesi africani. D’altronde i nostri migranti vengono solo in minima percentuale da teatri di guerra, mentre giungono da Paesi comandati dai cd.dittatori liberali, uomini che hanno preso il potere con la violenza e lo tengono con la forza delle armi: dal Ghana, al Burkina Faso, al Congo fino all’Eritrea, Uganda, ecc con cifre di crescita del PIL dal 5 all’8% che noi manco ci sogniamo. Ci sono altri Paesi, come la Nigeria ed il Sudan in cui sussistono processi drammatici di poteri per cui è opportuno non interferire; altri come la Sierra Leone, la Liberia e la Somalia senza alcun barlume di prospettiva per cui  tentare di portare in salvo interi popoli tenuti in ostaggio da tiranni e da terroristi, non può essere fatto con la moneta, ma piuttosto con un progetto politico-economico che – se del caso-  sospenda temporaneamente la sovranità con un “commissariamento” simile ad una amministrazione coloniale esercitata, per evitare ritrosie del passato, dalla comunità internazionale o dall’ONU, anziché da una singola potenza. Cioè, prima di tutto, bisogna ristabilire le condizioni di stabilità e di sicurezza, e di un sistema pseudo-democratico di rispetto delle regole e del valore della vita; soltanto dopo è possibile innestare lo sviluppo e la crescita, coniugando la cooperazione con gli investimenti pubblici e privati. Insomma fare investimenti a pioggia in quei Paesi africani, lontani anni luce dalla statualità oppure in quei regimi dispotici e dittatoriali, è come piantare semi nel deserto, illudendoci che poi crescano, e bene! Qualcuno paragona l’Africa ad un autobus scassato, ma pieno di risorse naturali, da cui i passeggeri fuggono perché non sanno o non vogliono più manutenerlo; l’Europa non può abbandonare quel bus ed i suoi passeggeri, ma deve addestrarli, renderli autonomi e desiderosi di riprendere le sorti del loro paese; anche noi non possiamo abbandonare quel bus, ma dobbiamo aiutarli e fornir loro i pezzi e mezzi necessari, a seconda del tipo di bus che è diverso e talvolta difficile da manutenere. Ergo: la governance del fenomeno migratorio deve svilupparsi “tatticamente” con la loro identificazione e respingimenti assistiti, a cui si può sommare “la strategia” del Migration Compact. Che può e deve essere adottato dall’Ue, ma prima devono essere chiare le idee su quali Paesi africani sia opportuno e necessario investire, e con modalità ad hoc, caso per caso, con un progetto che faccia parte di una politica estera degna di quel nome, altrimenti sono soldi buttati per far ingrassare i dittatorelli contro gli interessi del popolo che continuerà a migrare esattamente come ora.
Il compianto Pannella aveva coniato uno slogan di grande efficacia e significato “Salviamoli e salviamoci”, non solo col denaro per sentirci la coscienza a posto, ma con umanità e giudizio, e con progetti politici che li facciano restare o rientrare nelle loro terre. Insomma, se non si vuole che la crisi economica e sociale, ed il dramma umanitario che si accompagna con l’immigrazione, si sommi a quello politico istituzionale con effetti populistici imprevedibili, è mandatorio che i vari capi dei governi occidentali si assumano, “per la salvezza di tutti”  la responsabilità di trovare soluzioni unitarie e coraggiose sulle grandi questioni che preoccupano milioni di cittadini, bianchi e neri, ma senza populismo e dannosa demagogia: altrimenti sarà non tanto e non solo l’invasione migratoria incontrollata a  intaccare il nostro sistema sociale e di vita, ma il senso di impotenza trasmesso nei confronti dei cittadini che creerebbe un ulteriore divario tra governanti e governati, minacciando le stesse nostre democrazie occidentali.

Giuseppe Lertora