terrorismo
di Giuseppe Lertora – Non possiamo nasconderci che l’esito del Brexit, con l’abbandono degli inglesi dall’Ue, abbia creato confusione e future incertezze sia per gli stessi inglesi che per i membri della comunità europea; il disagio per quella inattesa decisione, pur del tutto legittima, si è riverberato anche nel corso del primo dibattito parlamentare tenutosi l’altro ieri a Bruxelles, con battute acide, fischi e perfino sfottò da ambo le parti,  sostanzialmente sintomatiche di timori e di qualche paura per la nebulosa in cui siamo precipitati, e per l’incerto futuro. Al di là dei timori più o meno fondati, ma sostanzialmente sconosciuti, quel voto ha già prodotto alcuni effetti negativi: sul piano politico la prima conseguenza è la dimissione di Cameron ed una crisi di governo in UK; sul piano finanziario i mercati hanno mostrato una elevata vulnerabilità e le Borse una volatilità per cui hanno perso, tutte, un sacco di quattrini; un altro aspetto emerso, in modo piuttosto forte, è il rinvigorimento di partiti euroscettici e nazionalisti; infine non sono trascurabili le ricadute sulle persone emigrate in Inghilterra, sulla libera circolazione  e stazionamento delle stesse, essendo l’UK divenuto, di fatto, un paese extra-comunitario. Ci troviamo improvvisamente in una situazione scomoda quanto incerta, caratterizzata da contorni indefiniti, che contribuisce a far crescere le paure connesse al solo cambiamento, come quando crollò il muro di Berlino e, prima ancora con l’avvento della globalizzazione: bisogna aver pazienza, tenere la barra al centro, studiare bene i passi da compiere scevri dall’emotività del momento, e cercare di governare al meglio la paura, con l’obiettivo di vincerla.
Non ci facciamo mancare davvero nulla; come se non bastassero le apprensioni connesse con il terrorismo dello stato islamico che ha imperversato, facendo stragi in Europa e non solo, (è fresca fresca la notizia della strage a Dacca, in Bangladesh) cui si sovrappongono in misura diversa quelle delle tragedie del mare correlate con l’invasione incontrollata di migranti dal Continente Nero.
La televisione sta ancora trasmettendo, oltre alla strage di Dacca che ci colpisce direttamente, l’ennesimo attentato terroristico, presumibilmente dell’ISIS, fatto da un commando all’aeroporto turco di Ataturk, che segue una serie di stragi – 5 attentati negli ultimi mesi in Turchia, il penultimo all’Università- del radicalismo islamico che semina terrore e paure in tutta Europa, dalla Francia con i nefasti fatti  del Bataclan, al Belgio, con il recente devastante attentato suicida all’aeroporto di Bruxelles, sconfinando anche oltreoceano con l’attentato a Orlando, al parco giochi di Disneyland: attacchi proditori in luoghi assai frequentati  da civili, invece di quelli classici, “sensibili” sotto il profilo strategico-militare ed economico. Tutti, e questa è la caratteristica comune, di grande effetto mediatico nel solco di ciò che avevano tentato di fare – e purtroppo mettendoli a segno- i loro “parenti terroristi” di al-Qaeda (dalle Twin Tower, al Pentagono, prima ancora all’incrociatore USS Cole ad Aden, ecc…).

La strategia della paura del Daesh…
E’ ormai noto che Daesh segue una strategia su due binari per perseguire i propri scopi di diffusione del credo islamico, radicale o meno poco importa, e conseguire il Califfato; da un lato con la vessazione ed espropri delle  popolazioni indigene dei territori occupati a macchia d’olio, che vanno da quelli mediorientali, Siria e Iraq in particolare, allargandosi al Magreb con la Libia; dall’altro, con un obiettivo più pagante, riuscire – e ci sono già in gran parte riusciti- ad entrare nella società  europea e nei relativi equilibri di potere, per diffondere il virus della paura con una lucida e mirata strategia stragista e  di pressione per intimidire i governi e gettare le popolazioni dei paesi occidentali nello sgomento. Il tutto con una tecnica comunicativa organizzata, una guerra mediatica, con la trasmissione mirata di video allucinanti e destabilizzanti, integrata da circolari di quel nefasto periodico Daqib pieno di proclami retorici –uno fra tutti l’occupazione di Roma con le bandiere nere in Vaticano-  ma densi anche di minacce a 360 gradi, sia verso i paesi occidentali che nei confronti di leaders e relative famiglie: efferati attentati soprattutto verso obiettivi civili frequentati da tutti gli strati sociali, che fanno notizia e panico, con ferali avvertimenti sui social e successive conferme delle loro azioni. Non si può escludere nulla in quanto i target sono di geometria e scelta variabile, e del tutto casuale e imprevedibile; tuttavia è evidente che le priorità di quei terroristi fanatici sono gli attentati a centri in cui c’è un assembramento di civili, quali aeroporti, stazioni ferroviarie e metrò, università, centri commerciali e di divertimento,  ma anche sportivi e mercati, perfino ristoranti, e non solo. Oggi va fatta particolare attenzione alla connessione fra sport europei ed olimpici, e minacce terroristiche; soprattutto in relazione agli attuali Europei di calcio in Francia ed alle Olimpiadi in Brasile, avendo a mente quanto già accaduto nel 1972 in quelle di Monaco da parte dei terroristi palestinesi, il Daesh, come tutte le organizzazioni terroristiche, è ben conscio della interconnessione fra sport, e calcio in particolare, con la politica dei paesi ospitanti, assai sensibile a tali aspetti. Bisogna essere vigili e attenti, se del caso scegliendo con attenzione le zone di frequentazione, mentre i governi dovranno fare la loro parte con i Servizi integrati e con adeguate forze di polizia per un capillare controllo dei siti; non bisogna quindi porgere il fianco e, ove possibile, tener a mente che purtroppo le frange terroristiche, oggi così diffuse nel mondo, potranno agire da “lupi solitari’, teoricamente indipendenti, ma più sovente con un loro coordinamento in rete criptata. Non è comunque ipotizzabile che, anche ponendo in atto tutte le possibili azioni e sinergie per contrastarli, saranno sconfitti definitivamente ed estinti a breve, se mai lo saranno anche nel medio-lungo termine, atteso che costoro possono vivere tranquillamente nei loro comodi nascondigli anonimi, nelle periferie degradate delle città.
Se, pertanto,  quella connessione sport-terrorismo-politica non è campata in aria, viene spontaneo  chiedersi, viste le diatribe politiche sulle future Olimpiadi del 2024, e la nostra acclarata debolezza nel garantire la sicurezza negli stadi anche se fossero presenti solo degli “hooligans”, se sia il caso di “spingere”  per la candidatura di Roma o sarebbe molto più saggio e previdente soprassedere: altrimenti  la capitale verrebbe blindata senza alcun ritorno, se non l’incremento dei timori e la rabbia della gente già al limite per le condizioni abituali in cui versa. E’ pur vero che fin dall’antichità il popolo, in particolare quello romano, rinuncia più volentieri al “panem” ed alla sicurezza della gente, piuttosto che rinunciare ai giochi, ai “circenses”: in questa società alla deriva e nichilista aspettiamoci dunque la conseguente decisione, ma poi non ci si lamenti se la gente si imbestialisce ulteriormente, e vive ancor più con la paura nel proprio cortile di casa. Al di sopra dei fatti contingenti, tentando di analizzare più concettualmente il fenomeno ISIS e la sua evoluzione o regressione, sorge spontanea una domanda da parecchi milioni di dollari: dopo l’esplosione del Daesh sotto il profilo territoriale ed i proclami del Califfo al-Baghdadi, lo stato islamico è ancora forte realmente oppure sta perdendo segmenti di influenza e consensi sia in Occidente, sia anche nei territori un po’ dovunque, in Iraq, in Siria e in Libia?
Con l’alternanza di feroci esecuzioni e terribili proclami, corroborati da una propaganda falsa ma efficace, Daesh è riuscita ad ampliare notevolmente i territori in preda a guerre civili, sfruttando quella povera gente con una funambolica teoria di aspettative ed illusioni, e facendo leva sul fondamentalismo islamico: segnali e fatti tangibili, a parte qualche attentato recente, indicherebbero che il castello di menzogne artatamente messo in piedi e supportato da un barbaro radicalismo religioso, stia via via incrinandosi e, quanto meno, stia perdendo pezzi di territorio  e fonti di alimentazione. Sembrerebbe prevalere la realtà fattuale ed i veri sentimenti di quei popoli, con un loro risveglio rispetto a quel paese dei balocchi fatto di propaganda ed illusioni propinate ad arte…
D’altronde è pur vero, e vale sia per i popoli progressivamente occupati o assorbiti da ISIS, ma anche per coloro che hanno ospitato quelle cellule cancerogene nel proprio tessuto sociale occidentale, che – pure con approcci diversi da contestualizzare– il sistema più semplice e sicuro per rimbecillire un popolo, o influenzare negativamente una qualsiasi società, complice la globalizzazione, la comunicazione in real-time e l’amplificazione mediatica di certi eventi, risulta “il governo della paura”: alimentarla e dirigerla verso un target, singolo o collettivo, modificando le nostre abitudini, i comportamenti e perfino il modo di pensare.
La peggiore cosa è aver paura, che sia fondata o meno; terrorismo e panico, illegalità dell’immigrazione incontrollata, impoverimento sociale e insicurezza nelle funzioni basilari, sono i bersagli, i target di questi fanatici seminatori di paure più o meno vere. Dobbiamo reagire e difenderci da questi attacchi all’anima della nostra civiltà, della nostra società; non dobbiamo vivere con ansia, né soprassedere e guardare distaccati le loro nefandezze, nè tantomeno rassegnarci alle loro barbarità, e farci vincere dall’inazione mentale e dar così spazio alle paure: faremmo solo il loro gioco! Certo la situazione in cui si trova oggi l’Italia non è delle migliori, fra le incognite del Brexit da un lato, e quelle del terrorismo islamico dall’altro, a cui si sommano quei fattori endogeni tipici della deriva del nostro paese che innescano già di per se’ alcune paure conseguenti alla nostra illegalità diffusa, alla nostra inciviltà, al nostro egoismo e non-senso dello Stato. Non bisogna andare in Iraq o in Libia; in Italia si deve aver paura per una giustizia inefficiente e proterva, ma anche solo ad attraversare le strisce pedonali, a percorrere le strade piene di buche, sul posto di lavoro perché delle norme di sicurezza tutti se ne fregano, a mandare i figli a scuola che non sono a norma, alle prime acque autunnali per i sempre presenti rischi alluvionali, alle bombe d’acqua e agli incendi dolosi: c’è  d’aver paura di questi rischi per il dispregio delle leggi e per il menefreghismo galoppante, …poi c’è anche il terrorismo islamico che incombe, ma se non altro, almeno per ora, sembra più lontano.

Ma chi sono questi terroristi del Daesh, per tornare al tema? Innanzitutto sono degli invasati, imbevuti di radicalismo religioso che hanno abbracciato il fondamentalismo islamico e che aspirano in terra a stuprare donne e a far fuori gli infedeli, sacrificando anche la loro vita col martirio nel credo di salire in cielo, in Paradiso dove godranno per sempre avendo un harem a disposizione. I capi dell’ISIS sono i burattinai, mentre la maggior parte dei seguaci sono dei burattini; tutti comunque mirano a costituire il Califfato non limitandosi a teorizzare la dottrina islamica estremista come al-Qaeda, ma occupando vasti territori (soltanto in Iraq, fino allo scorso anno avevano il potere su una superficie pari all’Inghilterra..) e gestendoli operativamente ed amministrativamente attraverso una struttura organizzata, alimentata  prima di tutto dai proventi del petrolio, da traffici di droga e di armi e contrabbando di vario genere, per garantire stipendi ed occupazione giornaliera ad uno stuolo di sbandati, miliziani e foreign fighters. Un cordone ombelicale unisce quei fanatici mediorientali sul campo con simpatizzanti e cellule isolate nei paesi europei che rappresentano un virus più o meno dormiente, ma assai pericoloso, mutante, subdolo ed in grado di mimetizzarsi nell’organismo ospite per anni, per generazioni prima di manifestarsi con effetti devastanti. Vestono da comuni cittadini e vivono anche abbastanza comunemente nei quartieri di residenza, spesso con regolare cittadinanza o anche falsa, sfruttando per anni la tolleranza sociale di chi li ospita; riescono ad eludere i controlli della polizia locale, spesso sono incensurati, passano indenni attraverso le maglie dei Servizi, sempre pronti a colpire e fare stragi fra i civili appena le condizioni lo consentono, o in concomitanza di ricorrenze particolari: sono le classiche serpi in seno, vigliacche e senza scrupoli che la cultura occidentale ha allevato e anche generalmente favorito nel coltivare le loro intenzioni assassine.
La nuova Jihad non vuole rivali; per questo non esita ad attaccare e punire con eguale spietatezza, obiettivi occidentali, orientali o anche asiatici, nonché quei paesi che si proclamano osservanti islamici moderati, e tutto ciò che in qualche modo può esser loro di intralcio. L’Europa e l’Occidente in genere continuano ad avere difficoltà nel comprendere il fenomeno Daesh; le politiche antiterroriste dei vari Stati si sono concentrate sulle specifiche emergenze interne all’indomani delle stragi, ma senza dar corpo ad una reale collaborazione di scambi di dati e informative fra i vari paesi comunitari e non (emblematica la cesura fra la polizia francese e belga…); forse non sarebbe sbagliato adottare pene severissime nei loro confronti, fino ad arrivare a mutuare la  legge del taglione per i loro sopravvissuti , senza farsi condizionare dai soliti approcci “politically correct” e perdonismi che ci hanno fatto invadere: se loro tagliano le teste degli infedeli col machete con sfondo sul deserto, noi potremo ripristinare la ghigliottina per rendere la pariglia, magari con la Torre Eiffel sullo sfondo. Antidemocratico, Utopistico? Ma se pesiamo il valore della vita, come è possibile paragonare quella di 20 o 50 inermi persone, a quella di un terrorista paranoico e assassino? Che magari se la scampa con buoni avvocati e lo dovremo mantenere per sempre! Regaliamogli il paradiso agognato, facendogli pure un favore, ma almeno che ciò serva come deterrente per i meno invasati.
Purtroppo non siamo neppure capaci, a livello Ue, di preoccuparci del quadrante europeo con una politica univoca di sicurezza e di difesa per far fronte a quei scellerati terroristi, facendo prevalere sovente una tolleranza pelosa ed un ignobile garantismo che in realtà nasconde interessi di bottega ed un pragmatismo petrolifero, ed energetico più ampio, quando non la strizza per una vagotonica reazione, e per non esacerbare gli animi dei vari immigrati estremisti residenti in occidente. Da certi punti di vista sembra che i paesi europei, divisi negli interventi nei confronti dell’ISIS, si strappano le vesti il giorno dopo gli attentati, senza realmente intervenire con forza contro lo stato islamico ( e l’Italia è in prima fila…): sembrano i passeggeri del Titanic che continuano a ballare al suono dell’orchestra come se nulla fosse, mentre ci si avvia verso il disastro.

Il Daesh in Iraq, Siria e Libia…
Partiamo dalle origini dell’ISIS e quindi dal teatro iracheno. La gestione del dopoguerra in quell’area è diventata una sorta di Risiko in cui, oltre un lustro prima, decine di nazioni avevano inviato i propri contingenti militari per l’operazione “Iraqi Freedom”, a condotta US, finalizzata a destituire  Saddam e a stabilizzare poi quella società con una sorta di democrazia esportata: questo in teoria, mentre in pratica la mossa era dettata dalla sete di “oro nero”, ma anche per (gli USA) mettere piede su una nazione strategica così da tener a bada l’Iran da un lato, e dall’altra –con l’Afghanistan- costituire un ponte per il salto statunitense verso l’Asia e la Cina in particolare. La guerra è costata migliaia di vittime della coalizione e sofferenze indicibili al popolo iracheno che ha perduto decine di migliaia di individui, vuoi per le attività militari che per le ritorsioni contro la classe precedente al potere; ma la mossa più azzardata e subdola è stata fatta da Washington, da Obama appena eletto che, in linea con le promesse elettorali, ha ritirato precipitosamente –fra il Natale e il Capodanno del 2011-  le proprie forze abbandonando l’Iraq al suo destino, senza essersi minimamente preoccupato di riconciliare e stabilizzare quel martoriato paese. Né gli US hanno lasciato forze e strutture sufficienti per accompagnare quel paese verso una qualche forma di democrazia; hanno soltanto sponsorizzato certo al-Maliki quale capo del governo, un oligarca farabutto e corrotto che ha fatto rimpiangere il periodo dell’occupazione americana e perfino l’epoca di Saddam. Le conseguenze e gli effetti catastrofici della no-strategy  obamiana hanno di fatto creato, le condizioni affinchè i vari gruppi fondamentalisti e anche buona parte della popolazione vessata e poi abbandonata, in quella fase delicata di transizione politica, abbracciasse spiritualmente la dottrina di al-Qaeda, si innestasse con il radicalismo religioso esistente nei vari gruppi etnici, dando vita allo stato islamico del Daesh. Che, va precisato, ha una identità di vedute con AQ nella realizzazione finale del Califfato, raggiungibile però diversamente con l’occupazione dei territori, ma anche con l’obiettivo non secondario di aprire un nuovo fronte antiamericano e antioccidentale. Ed era noto a tutti, al di là delle panzane dei media più o meno prezzolate e fuorvianti che quella combattuta in Iraq è stata una guerra strategica per il petrolio; più che per le sbandierate “armi di distruzione di massa” che i media non ci hanno risparmiato e ci hanno riempito le menti, hanno avuto buon gioco ad usarle come strumenti per “la distrazione delle masse”.  Infatti il petrolio è l’elemento fondamentale e l’Iraq una pedina di alta valenza geostrategica: lo erano per l’Occidente e lo sono tanto più per la stessa sopravvivenza, oggi, del Daesh. Che, sostituendosi agli invasori, ha avuto buon gioco nel gestire il caos della successiva guerra civile, combattendo le nefandezze di al-Maliki e, cioè, recuperando al loro progetto sacche di resistenti e anche di guerriglia, anziché lasciare allo sbando completo tanti individui senza lavoro e senza entrate, Daesh li ha imbevuti di fede, pagati e data loro una qualche speranza nel prossimo Califfato. Lo stato islamico si avvale quindi di una società frustrata socialmente ma esaltata sotto il profilo religioso, con la promessa paradisiaca per chi si fa saltare in aria; rispetto alle truppe di al-Qaeda si serve di nuovi sistemi per il reclutamento degli adepti, di un nuovo esercito e di nuove strategie: la somma di un network de-territorializzato che oltre ai fucili ed ai coltellacci usa i computer, i forum criptati e non, di Internet e di cellulari di ultima generazione difficili da decrittare, la propaganda e la disinformazione sui media e stampando periodici (Daqib), le truppe sul territorio che servono per occupare ed allargare i confini, la diffusione di messaggi obiettivamente entropici ma che servono per corroborare l’opera di mitizzazione religiosa e riuscire -anche da noi -a entrare nelle nostre case mediante quella maledetta scatola nera, complici i vari demenziali talk-show: grazie a loro, prevale sempre la notizia, lo scoop, rispetto a doverosi approfondimenti ed ad una corretta e competente elaborazione dei fatti, trasmessi e spesso amplificati per fare da grancassa a quei malesseri e timori che finiscono per far leva sulla paura singola e collettiva.
E “mutatis mutandis”, pur con alcune varianti non essenziali, gli stessi concetti valgono per la Libia in cui inglesi e francesi, visto che ora gli USA hanno raggiunto un’autonomia petrolifera, stanno giocando sottotraccia ma non troppo, (hanno inviato forze speciali a Tripoli, Sirte e Bengasi, mentre l’Italia sta alla finestra..) una loro partita sul petrolio e sul gas, tentando di negoziare da soli ed in maniera covert contratti di diversi miliardi di euro sui pozzi di preminente interesse, guarda caso, dell’ENI.
Ma qual è, in sostanza, la situazione attuale del Daesh nei vari teatri?
Le forze dello stato islamico, sotto la pressione della coalizione internazionale e delle milizie indigene più o meno regolari, ma anche a causa di fattori “sociali e di vita’ dei popoli occupati, sembrano in ritirata sui diversi fronti, ma da lì al loro collasso ci vorrà ancora tempo. La popolazione occupata e dominata dall’ISIS è abituata a vivere in povertà secondo standard di bassissimo livello, sacrifici e rinunce; esacerbata da anni di guerra civile e da una vita al limite della sopportazione, hanno progressivamente accettato l’ulteriore degrado sociale piuttosto che ribellarsi e finire male: sembra che l’ISIS stia cercando di contenere quei malesseri, anche per evitare il rischio di un collasso nei suoi territori che, comunque stanno “ripiegandosi”. Se è vero che i loro argomenti principali vertono tuttora sulla loro potenza pseudo-militare, sulle risorse finanziarie e su aspetti di governance e amministrazione della loro gente, di certo –anche per quei preminenti pilastri- si è notata qualche sfilacciatura: per esempio una notevole riduzione sulla diffusione delle notizie propagandistiche, ora limitate a quelle diramate dai canali ufficiali e censurate abbondantemente, rispetto agli svarioni iniziali. Per quanto attiene agli aspetti militari di occupazione territoriale è chiaro che le rapide avanzate del Daesh, sia in Iraq sia in Siria, risalgono ad oltre un anno fa, con la conquista di Ramadi (provincia di Anber, Iraq) e di Palmira (tolta dal regime di Assad, in Siria); oggi, stante i sempre meno frequenti proclami di Al-Baghdadi, ferito piuttosto seriamente, si stima che, rispetto allo scorso anno, ISIS abbia perso circa il 45% dei suoi territori iracheni e circa il 30% di quelli siriani, per i duri colpi inferti dalle truppe iraniane e dai bombardamenti russi, particolarmente in Siria. Ciò pare causato anche da problemi endogeni, a forti deficienze negli organici, inclusi i foreign fighters, e a difficoltà di reclutamento; anche il ricorso a ripetute richieste di mobilitazione è andato a vuoto, nonostante sia stata indetta una sorta di amnistia per i disertori. La pressione finanziaria gioca senz’altro un ruolo importante; per mantenere una forza militare ci vogliono tanti soldi anche solo per pagare i reclutati ed i foreign fighters, soddisfare le loro esigenze di base ed i relativi benefits. Secondo fonti attendibili le paghe, seppure limitate, sono di circa 400 dollari-mese per i combattenti locali e circa il doppio- 800$-mese per quelli stranieri, ma sembra che di recente siano state tagliate tutte del 40-50% creando forti demotivazioni e lamentele. Che si estendono alla popolazione civile a cui sono stati ulteriormente decurtati i servizi essenziali, con elettricità ed acqua fortemente razionate, ed aumentate le tasse in modo significativo, da quelle scolastiche a quelle più generali; nel campo della medicina e della farmacia, e della salute in genere, c’è carenza di professionisti e di medicinali, con trattamenti inumani delle donne fortemente segregate. Insomma esistono segnali di forte malessere per le deficienze negli organici e nei servizi sociali minimali, oltre ad un diminuito ritorno finanziario dal petrolio, dalla droga e dal contrabbando che potrebbero portare Daesh al collasso per mancanza di risorse adeguate, senza scartare forme di ribellioni interne. ISIS già oggi pare in grosse difficoltà sui vari fronti: in Siria stanno ripiegando su Raqqa; in Iraq le forze regolari hanno appena espugnato la città di Falluja; in Libia le milizie fedeli ad al-Serraj hanno accerchiato Sirte finora in mano all’ISIL.  Falluja, la prima grande città occupata da ISIS nel 2014, è stata liberata in questi giorni, e la prossima sarà –secondo il premier al-Abadi, Mosul, la loro capitale; le forze governative hanno ben operato, sostenute dai raid della coalizione internazionale che con l’arrivo della portaerei US Eisenhower incomincia a farsi sentire, congiuntamente alle forze aeree di Baghdad, ma anche in Siria, con evidenti successi contro le forze del Califfato debolmente resistenti. Purtroppo ora si temono violenze e rappresaglie degli sciiti nei confronti della popolazione prevalentemente sunnita di Falluja e di coloro che hanno finora collaborato con lo stato islamico; sembra anche vero che l’ISIS, per ritorsione e per ritardare l’avanzata dei miliziani stia usando quali scudi umani, donne incinte e bambini, in linea con la loro barbarie. In Libia la situazione è abbastanza simile ed il  Daesh sta perdendo colpi sia per la rinnovata vitalità delle milizie di al-Serraj che per il contributo essenziale dell’aviazione libica, con i propri vetusti Mig ed elicotteri Hind e della loro Guardia costiera; risulta infatti che le milizie ISIL siano confinate in un ben circoscritto raggio intorno alla città di Sirte, mentre le vie di comunicazione come l’autostrada limitrofa sono state messe in sicurezza tagliando così ogni possibilità di rifornimenti per i jihadisti asserragliati all’interno della città. Comunque va detto che, nonostante l’aumentata pressione militare tenderà a ridurre le capacità di azione di ISIL su quei territori, la pacificazione della Libia appare ancora incerta e lontana per la aspra conflittualità tribale esistente ed il contrasto acceso fra il GUN, il governo di unità nazionale, ed il governo di Tobruk, in particolare col generale Haftar, col rischio di allontanare ancor più l’unificazione politica e la stabilizzazione della Libia per questioni personalistiche di potere che, finiranno, paradossalmente, per agevolare ISIL. In tale contesto è doveroso rammentare anche l’attività delle forze navali europee finalizzate, con l’operazione Sophia, a combattere gli scafisti dei migranti, e di recente estesa anche al contrasto del traffico di armi verso la Libia, prevedendo l’addestramento della loro Guardia costiera e Marina Militare al fine di incrementare le loro capacità per fronteggiare quelle attività illecite di cui ISIL si foraggia. Va anche riconosciuto che proprio le pur risicate forze navali libiche sono riuscite a prendere e mantenere il controllo delle coste della Sirte, evitando così la fuga dei combattenti ISIL via mare. In ultimo va menzionato anche il ruolo della Turchia nel combattere l’ISIS anche se finora si è barcamenata più sul fronte anti-curdo e anti-PKK, con litigi sull’intervento di Putin assai più determinato di tutti i paesi occidentali nel combattere ISIS; molte sono le ragioni del comportamento ambiguo di Erdogan fra l’incudine ed il martello, nel conflitto fra due Islam, quello dei Jihadisti e quello dei modernisti: ora, dopo cinque attentati nel corso degli ultimi mesi, di cui  quello dell’aeroporto di Ataturk è ancora terribilmente fresco, il governo di Ankara si è schierato con forza contro ISIS, mettendo in secondo piano il contenzioso curdo.
Insomma sembra che per Daesh le ore siano contate, anche se è prematuro cantare vittoria, perchè tutti i grandi mali, soprattutto quelli ideologici e religiosi, come le perniciose malattie, possono apparire  sconfitte in pratica, sul terreno, ma talvolta è  solo apparenza e finzione:  spesso si rigenerano, e rinascono  con maggiore virulenza ideologica e fanatismo, perché hanno radici profonde.
La loro arma, quella di tutti gli integralisti e terroristi di ogni risma, resta dunque la paura indotta che, oggi, a maggior ragione deve e può essere meglio gestita e controllata, attenzionando maggiormente il nostro modo di vita, con minor tolleranza verso chi delinque, e scrollandoci di dosso quell’ ipergarantismo e falso buonismo che finisce per favorire i mariuoli, i disonesti e quindi i terroristi camuffati da normali cittadini: per sconfiggere Daesh ci vogliono sicuramente le armi, che piaccia o meno ai ben noti anti-militaristi, ci vogliono “Servizi”  efficienti, ma soprattutto ci vuole anche -nei nostri comportamenti quotidiani- un’etica diversa, meno disinvolta e più responsabile, più accorta, anche a costo di  rinunce -nel nostro sistema di vita- e a pagare un po’di libertà per la nostra sicurezza. Soprattutto ci vuole una svolta di legittimità, ideale e morale che serva, con coraggio ed onestà, a denunciare situazioni ambigue, anomale e sospette, non voltandosi dall’altra parte quando sono più o meno evidenti dei comportamenti strani e delle frequentazioni di soggetti  che vivono nel nostro condominio ma che potenzialmente potrebbero divenire ( o essere) degli affiliati terroristi: non si tratta di fare la caccia alle streghe, ma di contribuire civilmente ad emarginare le mele marce e a quell’opera di prevenzione per la nostra stessa sicurezza, a cui non possiamo più sottrarci se vogliamo vivere in modo più pacifico e sicuro.  Non bastano, di certo, le parole di circostanza e le condoglianze dei vari premier il “day after”; loro hanno il dovere di intervenire realmente e non solo a parole, con la Difesa all’esterno, e con le forze dell’ordine all’interno per stroncare quella metastasi che ci sta colpendo ovunque.
Non ci sono buoni sconto per avere più sicurezza e libertà, né basta un clic sull’icona del computer, ma vincere la paura richiede sacrifici, determinazione, volontà e costi: “Freedom and security are not Free” direbbe qualcuno oltreoceano. Ma c’è anche chi, di quà dell’oceano, aveva coniato con grande coraggio un detto efficacissimo, contro le minacce della mafia, quale antidoto mentale a favore anche del comune cittadino, per vincere la paura; Falcone: “chi ha paura muore ogni giorno; chi non ce l’ha muore una volta sola”.