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E’ di poche ore fa la notizia della conclusione delle identificazioni nella “tendopoli” di via Cupa a Roma, dietro il cimitero del Verano. La questura di Roma rende noto che sono stati emessi 20 decreti di espulsione, 10 casi sono ancora in corso di valutazione forse per l’impossibilità di avere dati personali certi, mentre per altri 43 immigrati è stata avviata la procedura di “relocation” verso Rocca di Papa e nella struttura romana di via Ramazzini.
La situazione di via Cupa nei giorni scorsi aveva toccato il picco della criticità: al di là di ogni corrente di pensiero e di ogni posizione politica, si è manifestato l’emblema dell’orrore per tutti, italiani e stranieri, gente nella povertà più estrema e normali cittadini. Poveri corpi martoriati da scabbia e tubercolosi allo stadio secondario e terziario, senza possibilità di avere un punto dove potersi lavare, senza la possibilità di avere un goccio d’acqua per far fronte alla sete, mentre i cittadini sono costretti a sopravvivere in un guado di escrementi che scorrono per la strada e con un altissimo rischio socio-sanitario a causa di possibilissimi contagi.

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L’indicibile situazione ha portato i medici volontari di una Onlus di Medicina Solidale a occuparsi di questa gente; altri volontari si sono resi disponibili a reperire un minimo di alimenti e taniche d’acqua per poter distribuire almeno qualche pasto. Parliamo con Stefano Giorgi, uno dei medici che data l’emergenza fuori controllo, sono stati costretti a creare un “ambulatorio” sul marciapiede utilizzando qualche paravento, cercando così di visitare quanta più gente possibile. Ci racconta come la situazione può essere tranquillamente paragonabile ai bassifondi di Nairobi o alle favelas brasiliane, dove la vita non è nulla, dove la morte potrebbe addirittura diventare un sollievo. Sono circa 300 le persone provenienti dal corno d’Africa, tutti uomini, sprovvisti di codici di identificazione sanitaria e quindi impossibilitati ad accedere alle cure mediche. I casi di scabbia sono tantissimi, la malattia provoca prurito e di conseguenza ulcerazioni e non avendo la possibilità di lavarsi, di avere delle condizioni igieniche indispensabili, le mosche vanno sulle ferite e depositano le uova provocando delle infezioni che solo mediante un intervento chirurgico potrebbero trovare soluzione. I medici distribuiscono i farmaci, per quel che riescono a reperire tra la gente di buona volontà e il Vaticano ma tutto è inutile in assenza di acqua.

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Il primo farmaco è l’igiene: stiamo parlando di acqua e sapone. Se vogliamo considerarci ancora non uno Stato civile ma almeno uno Stato con un rigurgito di buon senso, si dovrebbero mettere a disposizione come ha fatto il Vaticano sotto il colonnato di San Pietro, delle docce, sapone e asciugamani. Anche i medici che distribuiscono i farmaci, soprattutto per la scabbia, vedono svanire ogni sforzo a causa dell’assenza di igiene: senza una accurata pulizia corporale, nessun farmaco può avere effetto. Se si sceglie di dare ospitalità a chiunque, se in Italia si può entrare liberamente e si provvede ai salvataggi in mare addirittura a ridosso delle coste libiche, va da sé che a questa gente va dato il necessario per la sopravvivenza e quanto basta per evitare il rischio estesissimo del contagio alla popolazione residente. Sempre di più si vede come un vorticoso giro d’affari travestito da falsa solidarietà, ha tolto la dignità all’essere umano. Dire basta a questo strazio è un dovere.

Eleonora Ferrari