15 anni fa l’attacco al cuore dell’America. La gente continua ancora a morire. Circa 6 mila le persone che per varie cause stanno pagando tuttora le conseguenza di quel tragico evento.

11-settembre

Sono attimi che passano alla storia, frangenti che rimangono stampanti indelebilmente nell’immaginario collettivo, minuti che sembrano ore. Impossibile dimenticare quelle scene indescrivibili: fusoliere di aeromobili civili che, una dopo l’altra, si schiantano con forza all’interno delle splendide torri di New York, poi al Pentagono (quartier generale militare degli USA) ed infine, nelle campagne della Pennsylvania. Fumo denso che si innalza per chilometri e un terrore che traspare oggi – come 15 anni fa – negli occhi attoniti dei sopravvissuti. Per la prima volta dalla nascita degli Stati Uniti (Pearl Harbor a parte) accade quanto di meno auspicabile, l’attacco al suolo “Americano” e per giunta in tempo di pace. Non c’erano riusciti i Giapponesi, il Fuhrer né tantomeno l’Unione Sovietica in epoca di Guerra fredda. E’ una mattina piacevole nella “grande mela” quando, nelle primissime ore del risveglio, 19 terroristi facenti parte del gruppo di Al-Qāida si impossessano con astuzia rispettivamente dei voli (Boeing) American Airlines 11, United Airlines 175, American Airlines 77 e United Airlines 93. I primi due si dirigono verso il complesso del World Trade Center mentre gli altri nella città di Washington D.C. I mass media in pochi istanti si collegano in diretta con i luoghi presi di mira dai “commando” a bordo dei velivoli dirottati e inizia una lunga ed estenuante ripresa che è quasi “inutile” stare a ricordare nei dettagli: c’era il mondo intero che assisteva attonito inchiodato agli schermi. A causa dell’intenso calore sprigionato dagli incendi nei piani interessati le note Twin Towers collassano davanti allo “sguardo” del Pianeta. Sembra di stare in un film di fantascienza ma in realtà è quanto sta avvenendo, secondo dopo secondo, in una delle città più affascinanti degli USA. Il Presidente viene avvisato e subito trasferito sull’Air Force One mentre le telecamere si spostano verso il Pentagono. E’ panico ovunque!

Si pensa dapprima alle più disparate ipotesi; incidente casuale, sciagura dei cieli, attacco nemico, Guerra atomica, terzo conflitto mondiale della storia. Un esiguo gruppetto di uomini d’origine mediorientale addestrati al volo che mettono in ginocchio l’intero occidente e – oltretutto – senza armi significativamente pericolose. Come è potuto accadere? Falle nell’intelligence, scarsa attenzione da parte delle autorità aeroportuali, cabine di pilotaggio senza alcuna sicurezza e tanto altro. Difficile dirlo a posteriori così come azzardato puntare il dito su una o più organizzazioni e addossare responsabilità concrete a qualcuno. Si è arrivati poi a parlare, col tempo, anche di cospirazione: ipotesi e teorie assurde mai – ad onor del vero – definitivamente appurate.

La grande nazione a stelle e strisce ci ha spesso abituati a questo genere di strani complotti mai del tutto chiariti (vedi caso Kennedy, Luther King o Area 51) ma – quasi sicuramente – per la tragedia dell’11 Settembre non v’è prova alcuna. Le commissioni investigative hanno poi confermato che l’attentato è stato non solo commesso da quei terroristi presenti nelle liste d’imbarco ma anche rivendicato dalla stessa organizzazione capitanata da Osama bin Laden. Sta di fatto che quanto avvenuto non ha precedenti per la tipologia con cui è stato compiuto e soprattutto per il numero di vittime. Quei fotogrammi che immortalano la povera gente lanciarsi da centinaia di metri d’altezza per salvarsi dalle fiamme sono diventati un macabro manifesto di quanto si è orribilmente verificato in quella mattina di 15 anni fa.

Un ecatombe; 2977 vittime e 6400 feriti. Tra i morti da non dimenticare assolutamente i 343 Vigili del fuoco che, sprezzanti del pericolo e con alto senso del dovere, sono andati su – di corsa – per quelle scale con la speranza di soccorrere quanta più gente possibile.

Un atto d’amore e martirio a dir poco eroico nonché gesto supremo da prendere come esempio per le nuove generazioni.

Le ultime drammatiche verità che sono emerse in tempi recenti non fanno ben sperare. Altre 6 mila persone circa si sono ammalate (la maggior parte di essi soccorritori) di tumori e conseguenze cardiorespiratorie dovute all’inalazione di polveri e materiale nocivo sprigionato dopo il crollo dei grattacieli. Ancora si muore, ancora si soffre e i nostri cari “cugini” americani ancora piangono le vittime. Un dolore nel dolore che non avrà mai fine.     

Non v’è altro da dire su questa vicenda poiché tutto ormai sappiamo grazie anche ai mezzi d’informazione e alla cinematografia ma ci tengo in particolar modo a chiudere con una mia personale testimonianza sulla straordinaria “city” colpita direttamente al cuore e su quella location in cui sorgeva a Manhattan il World Trade Center. Visitai New York 3 anni prima del disastroso evento, era il 1998, e i ricordi – spesso nostalgici – sono ancora freschi…

Tutto mi apparve magico: …con quel suo polmone verde di nome “Central park” che irradia di purezza in primavera l’intero panorama circostante; con quei suoi storici ed imponenti palazzi, l’Empire, il Chrysler e il Rockfeller, che sono parte essenziale e simbolo dell’abitare in verticale; con quel suo cuore pulsante finanziario di Wall Street e con quella fiaccola in lontananza tenuta in mano dall’elegante signora di 93 metri, in ferro e acciaio, all’entrata della baia…, emblema assoluto di speranza, sogno e libertà. Tutto è straordinario, irresistibile, fatato, e quando al calar del sole fa capolino il tramonto, l’accendersi lento e sornione dell’intero scenario lascia attoniti, meravigliati, sbigottiti. Ero al piano numero 107 della Torre Nord del World Trade Center nel mese di ottobre, l’ultimo, la terrazza a quasi 500 metri dal suolo. 18 anni fa, ma è come se fosse ieri, ve lo assicuro. Ho ancora quell’immagine stampata nella mente, e non passa giorno che per qualche secondo non me la ritrovi sempre davanti, con un filo di emozione e malinconia. Il caso ha voluto che mi trovassi lassù proprio nel momento più bello, nell’attimo più ricercato e desiderato; il passaggio tra il giorno e la notte. Mentre il sole con fare sublime oscurava la città, pian piano, in concomitanza, all’orizzonte le luci sfavillanti cominciavano ad illuminarla, di nuovo, ma con un effetto diverso, a dir poco incantato. Un infinito dinnanzi al mio sguardo, che si accendeva istante dopo istante, minuto dopo minuto e dava l’avvio a quella che sarebbe stata una delle solite notti insonni della bellissima “Big Apple”. Pensavo… qui, esattamente qui, in questo “mondo” talvolta al limite della realtà, in questa terra così lontana ma vicina e in quell’Hudson River; fiume di speranza e “isola delle lacrime”, c’è tanto di noi.

In milioni, nei primi del Novecento e per decenni a seguire, di nostri cari connazionali hanno varcato quei confini, attraversato la porta d’ingresso di Ellis Island, sofferto per le lunghe traversate oceaniche e molti di essi, col tempo, sono diventati poi parte integrante di questa America, così come la conosciamo oggi.

Ed è anche per questo che, in quell’11 Settembre, insieme a loro, siamo stati feriti un po’ tutti, in primis noi italiani!

 Mirko Crocoli