mare nostrum migrantiL’Italia, questo nostro irriconoscibile Paese, si trova ora più che mai assediata da problematiche enormi e dirompenti, dall’Immigrazione agli Incendi all’Islamizzazione radicale e ad altri nefasti “I” che vengono etichettati come emergenze ma che tali sono diventate perché cronicizzati a causa, spesso, di scarsa o mala-gestione, quando non supinamente subiti.  Sorvoliamo sulle innumerevoli ed irrisolte questioni del Bel Paese circa gli incendi, l’ISIS, le evasioni dei vari Igor fantasmi, il groviglio Consip, le Banche “sicure” salvate, lo jus soli e via dicendo, in quanto ci pensano i vari talk-show ed esperti improvvisati a rammentarceli abbondantemente, ma focalizziamo l’attenzione sul fenomeno migratorio: una tempesta invasiva che riversa migliaia e migliaia di poveracci da diversi lustri sulle nostre coste, caratterizzata da una forma strutturale (altro che emergenza…) che non si fermerà alla nostra “stagione”, ma si estenderà almeno per i prossimi vent’anni interessando anche le generazioni future. Visto che si è raggiunto il punto di insostenibilità nel continuare ad accogliere i migranti senza alcun discrimine e limite, dal Governo al Colle si sono di recente levate voci preoccupate – anche per le sempre più frequenti manifestazioni di ostilità delle città di “ricollocamento”-  rivolte verso l’Unione europea affinché contribuisca ai sacrifici italici, ne condivida gli sforzi con una giusta solidarietà, accettandone una seppur parziale ridistribuzione. L’abnormità dei flussi non è più affrontabile con il buonismo e l’umanità italica, né con le visioni celesti dell’Oltre Tevere: si tratta di smetterla di subire gli eventi senza una politica laica, seria e sovrana e di cominciare a gestire la questione con la dovuta fermezza ed una governance degna di quel nome, che piaccia o meno ai nostri colleghi occidentali. L’asticella dell’accoglienza ha superato la linea rossa a seguito dei recuperi indiscriminati di migliaia di migranti (ormai si va dai 7000 ai 12000 ogni due giorni…) e sbarchi nei porti del Sud Italia, ormai al collasso con un sovraffollamento dei vari Centri di accoglienza, divenuti dei campi indignitosi di raccolta di anime perse.

Qui non si tratta di fare critica o polemizzare con chi è preposto a dirimere e tentare di risolvere, o di equilibrare il fenomeno, perché a scanso di equivoci e di strumentali semplificazioni la migrazione è un fenomeno geopolitico e perfino geo-religioso che coinvolge e sconvolge in qualche misura “il villaggio globale” e non solo l’Italia. Ci vuole una strategia collettiva dell’Occidente, e una politica comunitaria in particolare, con una seria “solidarietà ed unità di intenti” che consenta una gestione con forme corrette di governance, avulse da influenze clerico-religiose, nel pieno rispetto delle norme internazionali e dei diritti umani ma scevre da qualsivoglia forma di business, quale derivato da compromessi  di natura politica, o ancor peggio da associazioni che lucrano con approcci criminali su quel traffico di esseri umani: non servono muri materiali e neppure quelli immateriali per la loro gestione, e neppure apparentarsi con forme moderne di populismo, ma la forza ed il coraggio di dare piena ospitalità a chi ne ha diritto e non ad altri. Non siamo nello stato di salute economico, del benessere, e soprattutto della tenuta sociale – che sono fin dall’antichità i presupposti atti ad ospitare senza ostilità locali le migrazioni – per sobbarcarci un’invasione da un Continente che attraverso il Mediterraneo riempie e fa debordare un piccolo Stivale, considerato ipocritamente solo di transito, ma tappato al Nord da Austriaci, Francesi e Svizzeri e che non trova travasi al Sud, dalla Grecia a Malta fino alla Spagna. Nessuno li vuole e nessuno vuole sentir parlare di ricollocamenti, tanto meno la Germania che si ritiene “pagata” con l’accettazione dei soli profughi siriani di un paio d’anni fa. Di più; paradossalmente i Paesi dell’ex-blocco orientale che hanno “sugato” miliardi a iosa dall’UE quando si è trattato di assorbirli in Occidente, (pensate alla sola Polonia che è stata ripagata con oltre 150 miliardi di euro dal 2007…) ma che ora si oppongono con muri ed altro ad ogni forma di solidarietà europea nell’accoglienza di alcuni ricollocamenti. Non c’è che dire: siamo sicuramente in un club di Paesi che sbandierano la fratellanza, l’uguaglianza e la solidarietà, ma appena si passa dal pontificare al fare, a metterli in pratica, si razzola male e quei principi si sciolgono come neve al sole.

Ma allora è giusto che il cerino resti solo e soltanto nelle mani italiche?
E noi, non siamo stati troppo ingenui ed euro-entusiasti confidando in un’Europa rivelatasi poi matrigna, e dimenticandoci che certe responsabilità istituzionali (a parte quelle celesti…) nella sacra Difesa dei confini – del tutto ormai liquefatti – sono prioritarie e sovrane, pur nella ineludibile esigenza di salvare vite umane in procinto di naufragare in acque internazionali? Negli ultimi lustri, a prescindere dal colore politico della governance, ed anche tenuto conto degli sconvolgimenti occorsi nelle Nazioni mediterranee, abbiamo comunque posto in atto una pseudo-gestione pasticciata, con armi spuntate, senza una vera leadership, chiarezza di idee e fermezza ma rifugiandoci sempre nell’accoglienza senza limiti, nell’approccio esclusivamente umanitario, e sperando nello “stellone” ormai appannato.

In extremis, anche per le sollecitazioni venute dall’Alto, per l’enorme quantità di gente recuperata negli ultimi tempi e per le sempre più frequenti intolleranze dei cittadini nella spartizione dei migranti, sembra che la problematica sia posta in cima alle priorità con la paventata chiusura dei porti italiani per le Navi ONG e la rivisitazione degli accordi pattuiti nella Convenzione di Dublino, con riferimento specifico alla missione Frontex di Triton. Da un lato il blocco dei porti alle navi ONG appare una sorta di “chaffs and flares” per sviare il problema ed alzare un polverone nei confronti di quelle navi che pare spesso vanno a prendersi i migranti nelle acque territoriali libiche, se li travasano, sono foraggiati da elementi “oscuri” e spesso non hanno neppure quelle dotazioni di sicurezza previste dalle norme Solas o IMO: peccati da purgare, quelle navi, ne hanno parecchi e sicuramente vanno riportate alla normalità, anche perché i  loro salvataggi e i trasferimenti dei migranti in Italia raggiungono e superano il 30% del totale. Ma l’applicazione di quel cosiddetto “Codice di condotta” che ne vieta lo sconfinamento in acque libiche, il travaso dei migranti, lo spegnimento dei transponder e prevede la trasparenza nei loro finanziatori e la piena aderenza alle norme delle sistemazioni di bordo, sono misure obiettive difficilmente opinabili, che in prima istanza sono state approvate dall’UE ma rigettate dalle stesse ONG, come la presenza a bordo di un rappresentante o Ispettore della nostra Polizia, per il rilascio del nulla osta all’ingresso nei nostri porti. Sulla fattibilità del “blocco” esistono notevoli perplessità; tali misure sono considerate una sorta di “blocco navale” più che un blocco dei porti “soft” che richiederebbe uno stato di belligeranza da un lato con la previsione dell’uso della forza che notoriamente la nostra Guardia Costiera non ha; dall’altro lato, non far attraccare una nave che batte una propria “Bandiera” di uno Stato sovrano, per motivazioni chiaramente strumentali, può creare grane e guai a livello diplomatico internazionale. Per tacere poi di ciò che potrebbe succedere se una nave carica di migranti, magari stremati, venisse lasciata fuori dalle nostre acque territoriali, vietandone l’ingresso nei nostri porti: sarebbe una duplice e sonora sconfitta perché quei porti verrebbero infine aperti allo sbarco, ed il blocco finirebbe all’istante, nel nulla. Ma quella “trovata” confusa ed un po’ pasticciata era forse necessaria per dare un segnale di insofferenza e per alzare i toni verso la nostra beneamata UE; il messaggio forte e chiaro del Mininterno è stato: l’Italia ha raggiunto il limite, la misura è colma e siamo pronti a respingimenti ed espulsioni; cari Paesi membri è arrivato il momento di rivedere l’assetto delle navi ONG e soprattutto le norme che regolano Dublino, il trasferimento ed il ricollocamento dei migranti, e nel contempo le procedure e le finalità di Frontex e della missione Triton. Gli incontri di Tallin, quelli di Varsavia e infine quello di Trieste non hanno avuto grandi risultati com’era da attendersi, se non quelli di sensibilizzare e far poi approvare dall’UE almeno il codice di condotta per le  navi ONG, ma su Triton, e cioè circa le Navi militari che partecipano a quell’Operazione di diversa nazionalità, la proposta di trasferire i migranti nel “porto della bandiera” ovvero nei “porti più vicini e sicuri” che potrebbe essere Malta, Tunisi, Sfax o altri sorgitori, non ha per nulla attecchito sui membri comunitari, anzi. Loro ci hanno rammentato (confermando una dichiarazione della Bonino…) che gli accordi firmati nel 2014 dal nostro Governo, all’atto dell’allargamento di Frontex con l’apporto di Navi europee, prevedeva espressamente il trasferimento in Italia di TUTTI i migranti recuperati nel Mediterraneo: davvero un bel colpo! A parziale scusante di quel paradossale accordo, si ricorda che il flusso di allora non era paragonabile a quello odierno e che non si poteva forse presumere un blocco delle frontiere europee con Shengen nel cestino, e quindi il mancato “ricollocamento” nei diversi Paesi, ma sarebbe ben più grave se – consci della possibile proliferazione degli sbarchi – avessimo barattato l’invasione oltre i 200.000 arrivi con la flessibilità dello 0,3% dei nostri conti da parte di Bruxelles! Anche se più di una voce confermerebbe questo mix esplosivo di “Profughi & PIL”: tutto architettato sulla pelle dei migranti e sulle spalle dei poveri italiani, sostenitori ignari della bandiera utopica dell’accoglienza totale. Forse potevamo illuderci che Paesi mediterranei come la Francia, la Spagna ed altri condividessero in qualche misura le nostre necessità, ma come potevamo sperare che dai Paesi nordici, dalla Germania e soprattutto dai Paesi dell’ex blocco-sovietico che hanno alzato muri dovunque – e che notoriamente ce l’hanno con gli immigrati – dopo che hanno sviluppato un euroscetticismo contagioso, a partire dalla Polonia, prima Nazione privilegiata dalla UE, potessero venirci incontro? Un breve inciso per condire ulteriormente il paradosso: la riunione cardine si è tenuta a Varsavia, ex sede del blocco-sovietico, divenuta poi la capitale europea scelta per ospitare Frontex che opera in Mediterraneo (era forse più naturale una città mediterranea, Napoli, Roma, o anche Atene??…) responsabile di tutte le strategie del continente in materia di flussi migratori; ma la ciliegina sulla torta avariata è avvenuta nel 2015, quando è stato chiamato a presiedere il Consiglio europeo un uomo dell’Est ex-sovietico: il polacco Tusk!  Potevamo aspettarci una qualche condivisione dei nostri sforzi in tema di migrazione?

Dopo tante illusioni e tanti pasticci fatti, finalmente qualcosa comunque si muove nella direzione auspicata, anche se, arrivati a questa situazione catastrofica, dovremo prendere il pallino e fare ciò che riteniamo più giusto e corretto per l’Italia, per la sua sovranità anche a prescindere da Dublino (come ha fatto la Merkel che, col suo “imperialismo morale”, ospitando solo i profughi siriani, se ne è fregata del dettato di Dublino che prevede di dar loro asilo nella prima Nazione di approdo… ma loro son tedeschi…). D’altronde siamo stati noi italiani ad aprire l’autostrada dei migranti che porta dalla Libia in Italia, addirittura con uno sforzo incredibile della nostra Marina Militare che l’ha svolto con grande professionalità ed abnegazione, e con un flusso che contiene il 95% di migranti non provenienti da zone di guerra e quindi sine-titolo in termini di diritto allo status di rifugiati (dai nigeriani ai bangladesi, agli etiopi…): a conferma dell’appetibilità cresciuta nel tempo, visto che tutti sono salvati ed assistiti dalle navi in zona, risulta che oltre a chi attraversa il deserto per arrivare in Libia, molti – in particolare i bangladesi – raggiungono Tripoli via aerea e poi vengono portati nei centri gestiti dai trafficanti per fare la traversata verso i porti italiani. Che, va ricordato, nonostante la presenza di numerose navi per un improprio, in quanto pre-pianificato, Search and Rescue (SAR) negli ultimi due anni ha fatto registrare circa 10.000 morti nelle acque mediterranee: forse fermando prima quei criminali scafisti si potrebbero evitare quelle stragi e, in termini di costi, con un filtro più adeguato fatto a monte, si risparmierebbero molti di quei quasi 5 miliardi di euro, meglio utilizzabili per la situazione dei poveri e dei servizi carenti del nostro Paese. Pragmaticamente, a fronte della situazione attuale, si possono ipotizzare diverse soluzioni a seconda della volontà dei nostri governanti e tenuto conto di due fattori essenziali: la possibilità concreta di fare accordi affidabili con il governo libico e, non di minor rilevanza, anche della reale solidarietà a livello UE.

Prima ipotesi: Costituzione di un Distacco Navale misto Italiano-libico a Tripoli
Stante l’addestramento congiunto sviluppato negli ultimi 9 mesi fra le due marine ed il tradizionale ottimo rapporto di stima esistente da anni fra le marine stesse, sviluppato con esercitazioni e specificamente nel SAR, (evitando forze di polizia, GdF, ecc che irriterebbero l’orgoglio libico…) e tenuto conto degli accordi di recente stabiliti con Serraj anche nella prospettiva di costituire un Centro di coordinamento e soccorso a Tripoli, è prefigurabile il pattugliamento congiunto nelle loro TTW al fine di monitorare le eventuali partenze ( da Tripoli, Zuwara e Misurata..) e scongiurare l’innesco di missioni SAR, assistendo i barconi al meglio possibile, ma riportando eventuali assistiti nei porti di partenza. Ciò comporta la creazione di un Centro di accoglienza sotto egida ONU per il controllo dei veri rifugiati, e la crescita della loro Guardia Costiera al fine di raggiungere una sufficiente autonomia per la corretta gestione della loro zona SAR. Da non trascurare il fatto che si eviterebbero quelle stragi occorse nelle traversate e, comunque, di abbandonare la totalità dei migranti in balia di organizzazioni criminali, o nei Cara italiani o disperderli nel territorio, dando un messaggio importante che l’autostrada dei barconi verso l’Italia è stata chiusa!  Il modulo proposto è assai simile a quello sperimentato fin dai primi anni 90, in Albania, quando a seguito della disgregazione balcanica e guerra kosovara, l’Italia ha dovuto sobbarcarsi l’onere di gestire il flusso in Adriatico: con un distacco a Valona e Durazzo di un Gruppo Navale italiano, costituito da Unità navali MM più il supporto del San Marco, e con la cooperazione della Marina albanese, sotto il Controllo operativo della Squadra Navale italiana, si è costituito il cd. “Comando Gruppo Navale 28” che ha consentito nell’arco di quasi 10 anni di ridurre il flusso da 50-60000 all’anno, praticamente a zero.  Presupposti fondamentali e fattori pertinenti per questa soluzione: disponibilità del Governo libico ed affidabilità degli accordi, ma anche un supporto delle NU per il Centro di accoglienza. Triton potrebbe sciogliersi e le Nazioni potrebbero supportare le esigenze migratorie nell’ambito della cooperazione internazionale, con i conseguenti risparmi.

Seconda ipotesi: Triton continua, ma modifica “Stato di Bandiera”. Blocco dei porti per Navi ONG
Se gli accordi Triton per la modifica alle procedure, che ora prevedono il trasporto dei migranti in Italia soltanto, correggendole a favore dello Stato di bandiera delle Unità navali che soccorrono i migranti, con la corretta previsione del loro trasporto nella Nazione della Bandiera, vengono approvate allora il carico per il nostro Paese sarebbe decisamente più leggero, specialmente se abbinato al blocco dei porti per le Navi ONG. Nel caso prevalga la soluzione del trasporto “nel porto più vicino e sicuro” bisogna pretendere con fermezza che i soccorsi fatti nelle zone SAR di competenza di Malta, Tunisi, Algeri, ecc, vengano trasportati nei loro porti de La Valletta, Tunisi, Sfax, ecc. Se dovessimo riscontrare da un lato la non accettazione delle modifiche proposte a Triton, e dall’altra la scarsa efficacia della chiusura dei porti, bisogna forzatamente utilizzare senza timori la carta dei “visti temporanei”, già previsti da una direttiva EU del 2001, attagliata all’esodo dai Balcani, e considerati i numeri ed i soggetti coinvolti, non può considerarsi fuori luogo: non quale forma di ritorsione come in qualche modo la etichettano i media inglesi (la cosiddetta “nuclear option”), ma  valvola di scarico, al fine di ricollocare seppure strumentalmente l’abnormità dei migranti arrivati nei nostri sorgitori. Resta il fatto che, essendo tali visti soggetti all’approvazione dell’UE, tale modalità risulta –come l’intera procedura- assai labile, laboriosa e legata alla solidarietà europea che finora è stata latitante.

Terza ipotesi: Lampedusa come unico Hot spot
Qualora la situazione degradasse ulteriormente, la soluzione – del tutto provocatoria- potrebbe essere quella adottata dall’Australia nei confronti della migrazione proveniente dall’Indonesia, Malesia, India, ecc: i migranti vengono intercettati e salvati dalla loro Marina che li porta in un’isola e li trattiene per uno-due mesi in una sorta di quarantena, per controllare gli aventi titolo dai restanti economici o di convenienza. L’Italia, ugualmente, potrebbe portarli tutti a Lampedusa ove poterli discriminare in un unico Hot-Spot: quindi trasferire gli aventi titolo (che sono dell’ordine del 3% del totale..) nel Bel Paese, mentre i non aventi titolo via aerea nei Paesi di origine o rimetterli in mare con le barche con cui sono arrivati.

Se è vero che fermare il fenomeno dell’immigrazione sarebbe impossibile e spesso le nostre armi appaiono spuntate, solo con certe decisioni forti, dei segnali coerenti ed escludendo commistioni e strambi compromessi, l’attuale situazione potrebbe invertirsi a nostro favore. Le soluzioni quindi esistono, e l’Italia non può più limitarsi a ridistribuire i migranti soltanto nel proprio territorio, accusando i sindaci di ostilità e xenofobia; quella è gestione “del pallottoliere” che non affronta il problema alla radice, ma lo vede e lo affronta a valle, e provoca solo danni sociali: è, in buona sostanza, una questione di volontà politica metterle in pratica onestamente e gestirle; basta decidere di non volerle più subire, supinamente.

 

Giuseppe Lertora