rohingyaNel Myanmar è in corso, nell’indifferenza del mondo, una dura repressione nei confronti dei Rohingya. L’ONU in un suo recente documento li ha definiti una delle minoranze più perseguitate nel mondo. Si tratta di uno dei gruppi etnici che popolano il Paese asiatico, e sono insediati principalmente nello stato di Rakhine nel Myanmar occidentale. Si tratta di appena un milione di individui, circa il 2 % della popolazione, che professano la religione musulmana sunnita. Gran parte della popolazione del Myanmar, il 70 %, è invece, Buddhista, quindi sono minoranza etnica e religiosa. Essi vivono praticamente relegati in ghetti e gli è negata persino la cittadinanza. Un fatto questo dovuto soprattutto all’intolleranza che la popolazione birmana ha da sempre dimostrato nei confronti dei credenti di fede musulmana. Per questo i Rohingya subiscono una vera e propria persecuzione accompagnata anche da azioni atte ad umiliare la loro pratica religiosa come essere costretti a mangiare carne di maiale. Tutto questo li spinge ad abbandonare ogni loro cosa e avere per cercare scampo altrove nel Paese in questo modo trasformando il loro status in rifugiati e sfollati interni. Un abbandono che di fatto libera ampi territori del Paese che poi sistematicamente vengono ripopolati da altri. Un fatto che ricorda molto quanto avviene nel Darfur dove è riconosciuto che sia in corso una pulizia etnica. Per molti Rohingya la scelta migliore è però considerata quella di lasciare l’ex Birmania. Un impresa che però, si presenta non facile vista anche la dura opposizione dei militari birmani a farli lasciare il Paese asiatico  e anche quello a farli entrare nel loro territorio nazionale da parte di quelli dei Paesi confinanti. Sono drammatici soprattutto i respingimenti da parte del Bangladesh ai cui militari sono state rivolte accuse di torture e violazioni dei diritti umani.  Accuse che non hanno escluso nemmeno i militari thailandesi. Quelli che riescono nell’impresa di lasciare il Paese e attraversare il confine comunque non migliorano di molto la loro condizione.  Sono oltre centomila i Rohingya  che negli ultimi anni sono fuggiti  nei Paesi confinanti, Bangladesh, Malaysia e Thailandia. Raccolti in  campi profughi dove vivono in condizioni sanitarie inaccettabili tanto è vero che vi è un alto tasso di mortalità soprattutto tra i bambini. Praticamente sono costretti a subire questa condizione dalle autorità locali che hanno proibito loro di lasciare questi campi profughi. A causa di questa loro condizione disumana, imposta loro dalle autorità locali, sempre di più si levano forti accuse di violazioni dei diritti umani, specie da Amnesty International. Accuse che specie il governo birmano ha respinto al mittente affermando che sono basate su notizie false. Dal 2011 con il cambio di governo nel Myanmar e la nomina del leader della Lega nazionale per la democrazia, NLD, Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace 1991,  al governo del Paese è comunque continuato, in grande scala, il rimpatrio forzato della gente di questa etnia. Un rimpatrio che è stato avviato dal Bangladesh e Thailandia già dal 2005 in seguito ad accordi siglati con il vecchio regime birmano. Un fatto questo, che dimostra che neanche l’ascesa al potere del premio Nobel ha dato sollievo ai Rohingya. Anzi il suo atteggiamento nei confronti di questa etnia è stato da molti definito ambiguo. Una cosa è certa, da sempre la violazione della libertà religiosa è stata sistematica nell’ex Birmania e ha colpito in modo indistinto cristiani, musulmani e in alcuni casi anche gli stessi buddisti. Oggi con l’avvento della democrazia e il ridimensionamento del potere gestito dai militari forse si percepisce un leggero miglioramento su questo versante, ma comunque le cose non sono cambiate di molto e tanto lavoro resta ancora da fare per raggiungere livelli accettabili.

Ferdinando Pelliccia