savina_caylyn_newSi chiama Mohamed Farah il giovane somalo sospettato di far parte della gang del mare che catturò e sequestrò a scopo estorsivo la nave italiana Savina Caylyn. Farah, che aveva chiesto lo status di rifugiato e si trovava a Caltanissetta, è stato  identificato grazie al confronto delle sue impronte con quelle rilevate e repertate dai RIS dopo il rilascio della nave, nel 2012. Ora è in attesa di convalida del fermo dopo essere stato arrestato, su provvedimento di fermo emesso dal pm di Roma Francesco Scavo della Procura Distrettuale di Roma che indaga sul fatto accaduto nel mare del Corno D’Africa oltre 7 anni fa. L’episodio legato all’arresto del somalo risale infatti, al 2011 quando nel mare al largo della Somalia scorrazzavano ancora i pirati somali. L’8 febbraio di quell’anno una gang del mare somala catturò e dirottò una nave commerciale battente bandiera italiana. Si trattava della Savina Caylyn (su cui durante il sequestro, sono state scritte, da queste colonne, fiumi di parole e per undici mesi, contatti quasi giornalieri della nostra redazione con i carnefici e i sequestrati) una petroliera con a bordo 22 membri dell’equipaggio, 5 lavoratori del mare italiani e 17 di nazionalità indiana. Il sequestro della nave e del suo equipaggio a scopo estorsivo durò quasi un anno. La F.lli D’Amato di Napoli, la compagnia marittima proprietaria della petroliera italiana, attivò i canali per avviare contatti con i pirati somali e ottenere il rilascio della nave e del suo equipaggio, una trattativa però che durò oltre modo, facendo diventare quello della nave italiana, il più lungo sequestro di una nave europea. Il governo italiano da parte sua, impose una sorta di ‘black out’ sull’intera vicenda e per mesi non si seppe nulla “di ufficiale” sugli sviluppi della vicenda che riguardava una nave battente bandiera italiana e il suo equipaggio. Un silenzio voluto soprattutto dall’allora ministro della Difesa, Ignazio La Russa e da quello degli Esteri, Franco Frattini e giustificato con la motivazione di evitare che venissero ‘disturbate’ le trattative. In quei lunghi mesi dagli appelli lanciati dai marittimi italiani ostaggi dei pirati somali emerse tutta la tristezza e il dramma della vicenda (gli audio originali sono integrati negli articoli dell’epoca). Allora era risaputo a tutti che quando un sequestro durava molto e le trattative stentavano a decollare o ancor peggio non partivano, tutto si ripercuoteva negativamente sugli ostaggi nelle mani dei predoni del mare, sia psicologicamente sia fisicamente. Inizialmente la richiesta di riscatto dei pirati somali  fu di 16 mln di dollari. Nel corso delle trattative più volte i pirati lanciarono minacce di ritorsioni sui membri dell’equipaggio della petroliera italiana e non disdegnarono torture piscologiche e fisiche come loro consuetudine. A preoccupare  fu soprattutto la minaccia di portare a terra almeno tre dei cinque marittimi italiani. Una minaccia che se messa in atto, voleva dire che per quegli ostaggi italiani aumentava il rischio per la loro incolumità. Per fortuna tutto poi, si è risolto con il pagamento del riscatto, 10,6 milioni di dollari, e il rilascio della nave e del suo equipaggio. Allora a nulla serviva tergiversare e nessun Paese ha mai riottenuto indietro i marittimi ostaggi senza non aver prima pagato un riscatto milionario. Anche chi ha dichiarato il contrario, come la stessa Italia, ha pagato un riscatto.

Ferdinando Pelliccia