Analisi della crisi coreana: motivazioni, sviluppi e possibili soluzioni.

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La crisi coreana è assai grave, ma poco seria e, di fronte ad una tempesta di notizie spesso contrastanti e poco comprensibili, emerge la necessità di un’attenta analisi della situazione, senza illuderci di “avere la soluzione in tasca”, ma allo scopo di fare un po’ di chiarezza con qualche logica considerazione sulla importante questione.  All’apparenza e per certi aspetti le notizie mediatiche sulla crisi coreana ed alcune coloriture –vere o fake che siano- dei personaggi coinvolti, farebbero pensare che Trump e Kim Jong stiano giocando una partita del popolare Risiko, mentre il mondo assiste con una certa preoccupazione ad una escalation nucleare e a feroci accuse reciproche che lasciano poco spazio alla serenità, e motivano paure globali per le conseguenze di un conflitto, del tutto reale, e non certo per gioco. Come nel Risiko, quei “capi-popolo”, anche se con metodi diversi, si misurano su un campo di battaglia con mosse imprevedibili, ma con la deteriore aggiunta di annunci, di retorica, di propaganda e di minacce che tendono a delegittimare l’avversario e a rafforzare, agli occhi dei compaesani, la propria leadership e, insieme, le proprie ragioni nel persistere nelle provocazioni, fino al limite della fibrillazione. Nel Risiko si combattono guerre furiose e incredibili con soldatini ed aerei di plastica che non hanno alcuna influenza sulla realtà delle cose, perché si tratta di un gioco, di una finzione; si conquistano facilmente e con un po’ di fortuna nazioni inesistenti, si fanno attacchi distruttivi virtuali e si occupano territori di un mondo fittizio, anch’esso inesistente. Nel gioco ci si sente (o almeno ci si sentiva) importanti e grandi strateghi, credendo di avere fra le mani le sorti del mondo, ma alla fin fine resta sempre e solo un passatempo appassionante che, credo, appartiene ad altri tempi. Oggi anche il mito giocoso del Risiko è stato soppiantato da video-giochi interattivi e complessi quali Play- station, I- Pad ed altre diavolerie della moderna tecnologia, con una rappresentazione, ancorché sempre virtuale, impensabile fino a qualche decina di anni fa, che però lo rende pseudo-realistico. Invece, la sindrome del Risiko è ancora viva e vegeta e i giocatori si sentono i più potenti del mondo, mettono in campo pedine nucleari come se niente fosse, parlano un linguaggio tutto loro, si confrontano su tematiche oscure (o falsate) per la maggior parte dei cittadini, cavalcando situazioni paradossali che spesso possono portare – come nel gioco – a combattere battaglie incomprensibili, distruttive, quanto inutili. Se la sindrome può essere in qualche modo assimilata, le cose, fra Nordcoreani e USA stanno deteriorandosi aspramente sia per le accuse distruttive reciproche, che sul piano pragmatico, col rischio di superare quel “punto di non ritorno” o linea rossa che dir si voglia: i missili intercontinentali ICBM lanciati da Kim Jong-un, che non sono proprio di plastica, hanno raggiunto la ragguardevole distanza di 2700 km, passando sulla testa del Giappone, e anche l’esplosione della bomba nucleare all’idrogeno, sette volte più potente rispetto a quella di Nagasaki (provocando inoltre un terremoto di magnitudo 6,3), sono realtà assai preoccupanti. Altrettanto lo sono i moniti di Trump per cui la risposta a quelle provocazioni, che in effetti mettono a repentaglio numerosi Paesi, dal Sud Corea, al Giappone, all’isola di Guam, e perfino gli Stati Uniti, fra gli altri, è stata durissima: in caso di attacco si scateneranno ‘’fuoco e fiamme, con furia’’ con la totale distruzione della Nord Corea, ipotizzando la possibilità di un’opzione militare US con uno ‘’strike preventivo’’ su quelle infrastrutture nucleari. Anche il Presidente del Sud Corea, a fronte della vicinanza dai confini nordcoreani e quindi della relativa vulnerabilità in caso di conflitto, ha escluso in modo categorico il coinvolgimento in una seconda Guerra di Corea (la prima è stata nel 1953), rimarcando che ogni eventuale azione militare degli USA verso i nordcoreani deve essere comunque “condivisa ed autorizzata” da Seul.  Di più; già lo stesso Presidente aveva dichiarato, qualora Kim avesse continuato nei suoi propositi bellicosi sul nucleare, della esistenza di una “Linea Rossa” non valicabile, consistente “nel completamento di un missile ICBM con la capacità di armarlo con testate nucleari”: tale linea, in effetti, sembra raggiunta, se non superata dopo i successi di Pyongyang nei lanci balistici, e nello sviluppo e test della bomba all’idrogeno.

E’ naturale quindi, che Seul si stia attrezzando per completare lo schieramento dei sistemi di difesa anti-missile THAAD (Terminal High Altitude Air Defence) statunitensi, e che abbia richiesto di aumentare il payload dei propri missili in modo che possano distruggere i bunker sotterranei o i siti nucleari del Nord Corea, ma anche di costruire sommergibili con capacità nucleari per contrapporsi a quelli di Kim. Che, nell’ottica di diversificare il proprio arsenale nucleare, li sta già approntando per migliorare la propria flessibilità strategica e ridurre così la vulnerabilità dei sistemi più localizzabili, basati a terra.   L’escalation è evidente da entrambe le parti; tant’è che Kim, di fronte anche alle sole minacce di ulteriori più stringenti – e probabili- sanzioni nei suoi confronti, minaccia una contro-offensiva ‘’catastrofica’’ verso US e loro Alleati, ritenendoli comunque responsabili delle correlate pesanti conseguenze.  Un bel rompicapo da cui sembra davvero difficile uscirne senza contraccolpi, per ri- equilibrare la bilancia nucleare internazionale. Le personalità in gioco e le vision conseguenti possono dare qualche spiegazione; il lupo Kim Jong non è uno sciocco, né un pazzo come alcuni media lo dipingono, ma un dittatore indigeno che si è appropriato del potere da circa 6 anni, e che comunque ha saputo portare benessere, sviluppo economico e anche tecnologico-nucleare, motivando la sua gente, seppure con metodi assai discutibili. Un dittatore, se si vuole, ma con una leadership indiscussa ed una propria vision, che ha imboccato con forza e violenza riforme economiche e militari di grande portata: due fattori determinanti di stimolo e motivazione della propria gente, tant’è che ora marciano tutti o quasi nella stessa direzione, convinti della bontà degli obiettivi, orgogliosi di una leadership chiara e rispettabile. Infatti non ci sono oggi elementi che possono far pensare ad una sorta di rivolta, o di un qualsivoglia collasso sociale, in quanto la società nordcoreana appare ben più stabile che nei precedenti anni, per cui anche un tentativo di ribaltare, da parte delle Agenzie dei Servizi esterni, gangli sociali di quel Paese, diventa poco fattibile almeno nel breve-medio temine. E’ chiaro che Kim vuole spingere sul nucleare, da un lato per controbattere le iniziative di Trump sull’argomento che notoriamente stanno incrementandosi, dall’altro per evitare di fare la stessa fine dei recenti ‘’dittatorelli’’, come Saddam e Gheddafi, assicurandosi un’arma nucleare che loro non avevano, ma soprattutto per dare un forte segnale, con il lancio di missili intercontinentali di quella gittata, agli Alleati degli USA –in particolare Corea del Sud e Giappone- che Trump non è più in grado di proteggerli concretamente: una capacità atomica di estremo valore e significato che, al di là di ogni altra considerazione – e come la Storia recente insegna- concreta proprio nella sua deterrenza e nei timori globali, gli elementi chiave per evitare che si combattano guerre, almeno fra i Paesi che la detengono. D’altronde sull’altra sponda del Pacifico, Trump fin dall’inizio del suo mandato, anche in opposizione alla strategia obamiana, ha spinto in modo deciso per incrementare il nucleare, dichiarando che ‘’gli US debbono disporre di un deterrente nucleare moderno, robusto e flessibile, commisurato alle minacce del 21° secolo’’; un obiettivo chiaro, che comporta il rafforzamento del cd. Tridente nucleare nei segmenti aerei, sottomarini e missili intercontinentali. Anche lo sviluppo ed i relativi test della cd. ‘’Grande bomba’’, da 30000 libbre, capace di distruggere i bunker superprotetti, si inserisce negli steps deterrenti-dissuasivi sia nei confronti nordcoreani, che per frenare le ambizioni nucleari di Teheran. Condivisibile o meno, in un mondo che vede accrescere sempre più la minaccia nucleare in modo disordinato, anche da parte di Paesi instabili e potenzialmente pericolosi per tutta l’umanità, la policy di Trump è logica e corretta, e quindi personalmente condivisibile. Una deterrenza necessaria per la sicurezza degli US, (ma anche per tutto il mondo Occidentale, inclusa l’Europa…che continua a glissare…) a fronte delle minacce nucleari di Kim Jong, senza trascurare quelle analoghe dell’Iran, ma anche per le accresciute potenzialità convenzionali e nucleari della Cina, e del rinnovato parco atomico russo: avere una acclarata potenza e deterrenza nucleare è forse la migliore garanzia affinché non venga mai usata; un preciso Warning  innanzitutto per quei Paesi che ne potrebbero fare un uso malsano, improprio e banditesco.  Al tavolo del Risiko son contrapposti due giocatori che, in teoria e secondo la propaganda mediatica, sono paritetici, ma sul piano reale c’è un abisso fra la potenza delle mosse esprimibili dall’uno rispetto all’altro sia sul piano nucleare che convenzionale: in pratica, è come assistere ad una lotta fra un leone ed un topolino, e secondo il vecchio adagio sempre valido “se il topolino attacca il leone, è ubriaco o c..one”, è arrivato il momento che il topolino smettesse di bere e venisse a più miti consigli, per il suo bene.
E’ altrettanto chiaro che la partita non viene giocata solo da quei due ‘’attori’’ istrionici; dietro le quinte, infatti, ci sono altri ‘’players’’ che sul piano geostrategico hanno tutto l’interesse a suggerire soluzioni di parte, e che non si accontentano delle ‘’briciole’’ di quella sfida. In primis la Cina che, qualche suggeritore fariseo, proporrebbe come mediatore per gestire la crisi, mentre dovrebbe essere tenuta a bada e lontano da futuri ‘’riconoscimenti’’; certo, anche loro tendono ad escludere l’opzione militare prefigurata – in extremis- da Trump, in quanto significherebbe la conquista del Nord Corea da parte americana con la riunificazione con quella del Sud, e quindi ‘’i gialli’’ verrebbero a trovarsi in una situazione quanto mai scomoda, avendo ai confini i coreani-americani, con l’ interruzione fra l’altro anche di quegli scambi economici fruttuosi, esistenti con Pyongyang, ma in modo minore anche con Seul.  Che, già oggi, dopo i rinforzi per la difesa richiesti agli americani come i sistemi THAAD, e l’incremento delle capacità missilistiche anche per i loro sommergibili, sta pagando un prezzo cospicuo; la Cina, infatti, metterà in campo (per la verità già lo fa…) strumenti economici per boicottare i prodotti sud-coreani, a partire dalla Hyundai, dalla Kia con un calo delle vendite del 30-40%, oltre a porre un secco divieto all’ingente turismo  cinese verso Seul, stimato in circa 5 miliardi di dollari, annui. Inoltre, la Cina – come peraltro la Russia- non vede di buon occhio l’incremento delle prefigurate sanzioni nei confronti della Corea del Nord, anche perché si è constatato che le attuali non hanno minimamente scalfito le intenzioni e le capacità nucleari di Kim-jong. Per contro l’amministrazione Trump è intenzionata ad inasprire i rapporti commerciali con entrambi, Cina e Seul, per convincerli o costringerli ad accordi più collaborativi per contrastare i nordcoreani: chiaramente a soffrirne di più sarebbero i sudcoreani, presi fra due fuochi. E, forse, è proprio per questo che Kim, avvertendo questa impasse fra gli avversari, Alleati o meno, ha deciso di continuare imperterrito nei lanci per testare la loro resistenza e la tenuta stessa dei loro accordi, o delle loro policy. Altro che folle; Kim si sta mostrando, se è vero ciò che noi vediamo e interpretiamo, un abile e razionale ‘’manovratore’’ a tutela esclusiva dei propri interessi personali e nazionali.    In definitiva, al di là delle scaramucce e provocazioni mediatiche, esiste una corsa verso il nucleare da ambo le parti in questione; la domanda ovvia è: ma queste prove di forza sono pericolose o no?
Le parole, in questa atmosfera esaltatoria, hanno un grande significato e dovrebbero essere scevre da offese o sfide personalizzate, anche se provocano inevitabilmente qualche fibrillazione, e soppesate nella misura in cui potrebbero incrinare la sicurezza di tutti, a partire dagli US e dai suoi alleati nel Pacifico. Il Leone Trump è stufo del continuo ‘’harassement’’ sul nucleare portato avanti da Kim, ma soprattutto non continuerà all’infinito nell’ accettare supinamente la crescita del Nord Corea come potenza nucleare che può ipotecare la sicurezza globale; né può accettare un dialogo con Kim viste le promesse e le sottolineature fatte in campagna elettorale con ‘’America first’’ soprattutto in termini di ‘’security e safety’’.
Ma allora, se il dialogo è compromesso e si continua la corsa al nucleare con ulteriori lanci missilistici, c’è il rischio di una guerra?  Negativo; entrambi hanno la necessità di mostrare i propri muscoli, ma senza arrivare a una guerra catastrofica, soprattutto a danno del Nord Corea che, ammesso e non concesso, lanci qualche missile ICBM su Guam o verso il Giappone, si troverebbe immediatamente invaso e distrutto dalle centinaia di Tomawak imbarcati sui caccia e sui sommergibili statunitensi che incrociano di fronte alle coste nordcoreane. Fra il dialogo e l’uso delle armi c’è un’ampia gamma di possibilità e di azioni che possono servire a smorzare i toni, ritrovare giusti compromessi fra i due contender, riportando la bilancia più o meno in assetto, e soddisfare così anche gli altri attori-Paesi internazionali interessati. Esiste quindi un ampio range diplomatico in cui l’ONU, ed il relativo Consiglio di Sicurezza, possono giocare un ruolo di rilievo e, pur avendo già condannato l’operato di Pyongyang ed imposto nel passato diverse sanzioni economiche e militari, possono ora applicare delle severissime sanzioni ad ampio respiro al Nord Corea. Che, non essendo un Paese autosufficiente, potranno avere un negativo impatto non solo sui programmi di sviluppo, nucleare compreso, ma dolori alla stessa ‘’pancia’’ dei suoi cittadini con possibili rivolte nel medio-lungo termine, nonostante siano avvezzi alla sofferenza, a stringere la cinghia e privi di reali libertà, (regime dittatoriale con controllo individuale tipico dei regimi marxisti), e nonostante i loro forti sentimenti nazionalistici. Anzi; questo inasprimento sanzionatorio, mal visto anche da Cina e Russia, e sicuramente da Kim e dalla loro pubblica opinione notoriamente ‘’orientata’’, potrebbe essere dannoso per tutti, e dare la spinta a ulteriori motivi di ritorsione nei confronti degli US e dei suoi alleati, giustificando –o quasi-  così un lancio ICBM su Guam o sul Giappone, con le disastrose conseguenze che ne deriverebbero.  Alcuni esperti prevedono, in aggiunta, l’adozione di un hacheraggio dei centri vitali, ed in particolare di quelli nucleari e chimici (imprese produttrici del Sarin), per annichilire i loro progetti, ma non escludono anche una subdola azione della CIA tesa a soffiare sul fuoco di qualche frangia all’opposizione e sul celato malcontento locale, ma neppure che Kim possa essere oggetto di qualche strano incidente.

Lo step successivo e conseguente, o comunque in parallelo, potrebbe essere quello di attivare scambi e incontri diplomatici, ora in pratica inesistenti, previa una approfondita conoscenza degli incentivi-disincentivi sentiti dalla controparte (al contrario di quanto fatto in Iraq), per finalizzarli a ‘’negoziati’’ che porterebbero un po’ di equilibrio in questa insana, poco seria, ma gravissima situazione conflittuale. E ciò potrebbe essere avvallato anche dai ‘’main players’’ cinesi e russi che -nell’ombra- ora soffiano sul fuoco e continuano ad appoggiare Kim nella speranza che all’apice della tensione, tutti siano costretti a sedersi attorno ad un tavolo, da un lato per portare il bullo Kim a più miti consigli, dall’altro per ridiscutere nello stesso ambito le fratture ancora aperte con la Cina, come Taiwan e le contese isole del Mar Meridionale cinese, e infine per riequilibrare il confronto USA-Russia almeno sul piano della deterrenza nucleare.   Può darsi che la cd. ‘’Strategia dello strangolamento lento’’, auspicata da Trump di concerto col mondo occidentale (esclusa l’Ue che sonnecchia) e le NU, sortisca gli effetti sperati, visto e considerato il fallimento della ‘’strategia della pazienza’’ portata avanti per anni, inutilmente, da Obama.
Molti sono tuttavia dell’avviso che anche le sanzioni più ‘’toste’’, come quelle approvate in sede ONU ad agosto –con il veto nelle esportazioni di carbone, metalli ed altro che incidono sui loro conti con un meno 30% del loro export- non saranno sufficienti a far capitolare quel regime, anche per le ambiguità di russi, cinesi, pakistani, indiani, ecc che continueranno a supportare Kim sottobanco. In effetti le sanzioni devono postulare precisi obiettivi che, una volta raggiunti anche parzialmente, devono portare alla loro rimodulazione e quindi essere ridotte, altrimenti verranno viste solo come ‘’punizioni disincentivanti’’ col rischio di perdita di credibilità nei successivi negoziati.  Una seconda ipotesi, e forse la migliore, è quella della negoziazione diretta Trump-Kim, in coordinamento con Moon, il Presidente Sudcoreano, emarginando dalla scena d’azione Cina e Russia che sono sempre dei consigliori fraudolenti e interessati. Un giusto compromesso, con specifici trade-off fra le due Nazioni, che salvi la faccia ad entrambi ed eviti un conflitto, o almeno riduca le ostilità, sarebbe comunque un indiscusso successo internazionale: evitare così un ulteriore inasprimento del regime di sanzioni che rovinerebbe ulteriormente i rapporti e inviterebbe Kim a continuare in una pericolosa escalation. Ma, se Lui non dovesse rispettare i patti, continuando a coltivare il sogno dei suoi avi di assorbire la Corea del Sud, oppure di esagerare nelle sue mosse per evitare di fare la fine di Gheddafi, allora Trump avrebbe pieno diritto di attuare un drastico embargo, prima della ‘’legnata finale’’, mettendo alle corde –e alla fame- quel regime, senza alcuna remora.

Giuseppe Lertora