Lotta ideologica e minacce: terrestri e marittime.

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Chi, nel fare il punto sulla situazione dell’ISIS (Stato islamico) e del terrorismo di matrice islamica, si illude che sia sconfitto per le perdite subite in Iraq a Mosul, o in Siria a Raqqa, ritenuta la loro capitale, commette un grave errore in quanto le ramificazioni e la sua influenza è ancora vasta e sviluppata in numerosi Paesi, tant’è che dovremo porre la massima attenzione a forme di rappresaglia, e di attentati nel mondo occidentale. Chi valuta in modo semplicistico che l’ideologia dello Stato Islamico sia una prosecuzione della dottrina di al-Qaeda e gli adepti siano fanatici e folli assetati soltanto di espandere il loro territorio in un Califfato, sottovaluta le loro spinte motivazionali, i valori insiti nella loro cultura ben diversi dai nostri, e le loro speranze; così non si può percepire appieno la loro strategia e le reali minacce di totale sottomissione materiale e delle menti, di gran parte del mondo.  Chi pensa che ISIS abbia una strategia di corto respiro, magari concentrata al solo Mediterraneo “ristretto”, ed ai Paesi costieri, senza accorgersi della vastità dei suoi famigerati progetti, che hanno fatto smuovere anche le grandi potenze – Russia in primis – per contrastarli, è poco attento e miope; così come chi ritiene, erroneamente, che le minacce siano solo terrestri, mentre ne esistono di preoccupanti sul fronte marittimo: in sostanza, significa che molti non hanno capito fino in fondo, – e certo non è così facile comprendere – o comunque sottovalutano le strategie dello Stato Islamico e le reali, molteplici, minacce che incombono su tutte nostre teste. Chi non percepisce l’ambizione di Teheran a saldare il mondo sciita fino alle sponde siriane, contrapponendosi e combattendo l’ISIS ed i sunniti in genere, al fine di sostituirli nel dominio del mondo islamico, sta sottovalutando gli Ayatollah. Chi ritiene che gli enclave del terrorismo in Libia, a Derna come a Sirte, si siano accontentati degli accordi del Vertice di Parigi e delle cosiddette misure “Minniti” per il controllo dei flussi migratori, con l’eliminazione dal transito degli irregolari (cioè il 90%..), non ha la giusta percezione del relativo preesistente fruttuoso business appannaggio delle varie fazioni islamiche locali radicalizzate, che in qualche modo si aspettano di essere compensate, per quei mancati introiti. Chi pensa che non esiste un legame fra immigrazione clandestina e terrorismo islamico, nonostante le evidenze dimostrate in altra sede, e che si riesca a identificare e controllare a monte, cioè in Nigeria o Ciad, gli aventi diritto all’asilo dal resto, dovrebbe anche considerare i link stretti di ISIS con il famigerato Boko Haram che controlla massicciamente i confini libici della Nigeria, e di tutti i Paesi limitrofi al lago Ciad, colpendo ferocemente i migranti in transito. Molti altri sono “i chi” e tante le perplessità; troppi fanno finta di nulla o pensano che la guerra santa non li toccherà direttamente, altrettanti sono “gli struzzi” che mettono la testa sotto la sabbia per non vedere e non sapere, mentre la galassia jihadista con le sue mille sfaccettature allunga i suoi tentacoli, ambasciatrice di dominio delle menti, di violenze efferate e di paure. Non solo c’è una vasta e pericolosa ignoranza sullo status attuale della jihad, ma anche sulla way-ahead futura che – volenti o nolenti – dovremo affrontare (o subire?) in terra e per mare, con possibili contraccolpi sociali sulla nostra libertà e sicurezza. In altri termini dobbiamo sforzarci di capire  “chi sono”, “dove siamo”, “come mai siamo arrivati fin qui”, e “dove andremo” cercando di ipotizzare le mosse strategiche e le correlate minacce da attenderci da quel feroce nemico che con la dichiarazione della “guerra santa”, la jihad, ha tutta l’intenzione di far fuori prima di tutto gli altri musulmani apostati, per poi continuare con gli infedeli arabi e cristiani, sottomettendoli insieme con le loro terre, all’unico “vero” Islam del califfato. Chi non vede le motivazioni ideologiche, assai diverse da al-Qaeda, ed il disegno del radicalismo islamico? Sono passati 16 anni da quell’11 settembre del 2001, da quei tragici ed efferati eventi delle Torri Gemelle, da quei quasi tremila morti, quando quegli invasati sanguinari di al-Qaeda rappresentavano il principale, anche se non unico, riferimento ideologico della galassia jihadista. Nel decennio successivo, ed anche un poco oltre, abbiamo assistito ad un sovvertimento delle gerarchie che parevano immutabili (che qualche buon studioso aveva invero pronosticato…), con il trasferimento del comando terrorista e del “leading edge”, al sedicente Stato Islamico: da Osama bin Laden ad al-Baghdadi. E forse l’anno cruciale di quel “passaggio” è stato proprio il 2011, non solo per la morte di bin Laden e l’inizio della crisi siriana, ma soprattutto per la frettolosa quanto errata ritirata di Obama dall’Iraq e l’instaurazione del governo settario di al-Maliki che, anziché riconciliare il disgregato tessuto sociale, lo ha completamente smantellato alimentando faziosità, corruzione e interessi personali: quello è stato l’avvio di molti iracheni delusi e frustrati, e soggetti ad una vita di stenti e torture, nelle braccia del terrorismo. Addirittura quell’epoca di vessazioni e barbarie, e dei molti attentati con migliaia di morti, ha fatto rimpiangere a buona parte della società irachena, il pregresso periodo di occupazione americana e perfino il regime di Saddam; quindi l’ISIS – allora allo stato nascente – ha trovato un terreno estremamente fertile cavalcando le frustrazioni e le ribellioni del popolo iracheno, facendo adepti a destra e a manca. Ciò anche in considerazione del fatto che molti al-qaedisti, un po’ per la morte della loro guida, un po’ per il loro spirito comunque fanatico-terrorista, dovevano ritrovare un leader che desse loro speranza di dominio e di miglior vita: quale occasione, quindi, della presenza massiva di ISIS per aderirvi, visto che gli obiettivi finali dello Stato Islamico erano del tutto comuni con quelli di al-Qaeda, finalizzati alla re-instaurazione del Califfato? Comuni di certo nell’obiettivo ultimo, ma per la verità con sensibili differenze “motivazionali e temporali” fra loro per le modalità e i tempi di realizzazione del sogno musulmano. Innanzitutto nei tempi; ISIS punta alla nascita e strutturazione del Califfato, al contrario di al-Qaeda, in tempi brevissimi con la conquista di vasti territori, e con una totale e anche forzosa adesione degli adepti, salvo considerarli apostati o comunque infedeli da eliminare fisicamente, anche con brutalità. Inoltre al-Baghdadi è riuscito a creare “un suo Stato fra gli Stati” con una buona, ancorché rigida struttura ordinativa, garantendo servizi sociali, luce e alimenti ecc, assai migliori di quelli che il popolo iracheno aveva avuto nell’ultimo decennio; è stato lungimirante e moderno nello sfruttamento dei sistemi di comunicazione, dando grande importanza alla diffusione di notizie sia all’interno che all’estero, anche avvalendosi della pubblicazione propagandistica on-line, Dabiq: leva essenziale per dare ordini, richiamare e reclutare nuova linfa, e per divulgare i suoi messaggi del terrore al mondo occidentale, anche nei siti più remoti. Merita ricordare la funzione importantissima della loro emittente di al-Bayan, con sede a Mosul e Sirte, che presenta – su frequenze FM intorno ai 92 Mhz – i bollettini dell’ISIS, le gesta dei loro soldati e serve, con una straordinaria carica ideologica, a creare il contagio e sedurre gli europei, ma anche per lanciare messaggi, ordini criptici alle varie cellule, mantenendole informate e collegate alle direttive centrali. Tutti i musulmani devono lottare, secondo il Califfo, a favore dello Stato Islamico, sia con armamenti convenzionali nei teatri, sia con armi più “facili” per condurre attentati nei Paesi da soggiogare, che vanno dai sassi, al machete, alle auto, agli avvelenamenti, ecc., cioè con ogni mezzo per la eliminazione e la sottomissione degli infedeli: si pret
ende, quindi, una convinta e concreta azione contro “gli altri” (ovviamente anche con attentati e stragi di civili…) ed una piena adesione al suo messaggio per conseguire il successo finale. Al- Baghdadi è riuscito a rivitalizzare ed a catalizzare con prepotenza il fanatismo del mondo musulmano verso il Califfato, con l’ambizione di costruire uno Stato Islamico dominante su tutta la futura società; la ragione vera di quelle conquiste di terre e di menti si devono, a ben guardare, alle promesse concrete di un maggiore benessere sociale (che per certi versi c’è stato, almeno all’inizio…), ma anche al suo messaggio diretto ed essenziale, in grado di fare molti proseliti fra la normale popolazione, e soprattutto fra le frange preesistenti di facinorosi e terroristi, sia fra i malavoglia che fra i malasorte. Più che altro, in un periodo come il nostro, caratterizzato da profondi cambiamenti sociali e statuali, da un relativismo imperante e da un nichilismo pervasivo, di valori etici e religiosi secolarizzati, Lui è riuscito a cavalcare lo spaesamento dei giovani e di alcuni potenziali estremisti, offrendo una prospettiva di vita più allettante e dominante, con la motivazione di combattere per un ideale, e se del caso morire da martire, per qualcosa di più grande e godere, se non dei privilegi terreni, di quelli del Paradiso con le numerose vergini. Un messaggio forte che ha fatto presa anche sui fedeli islamici moderati, sui giovani e sui deboli, ma soprattutto su quelle orde di debosciati imbevuti di odio verso gli infedeli: una moltitudine a cui ha dato voce, una diversa prospettiva di vita, ed una speranza a chi era nella polvere. Va chiarito, altresì, che il messaggio di al Baghdadi, dietro una sembianza di barbarie e di onnipotenza, nasconde un verbo capace di attirare militanti da aree, ceti sociali e background assai diversi; non solo, quindi, con manipolazioni o facendo leva su situazioni di estremo disagio, ma piuttosto puntando sull’adesione ad un sistema di valori – discutibile quanto si vuole – spesso incompreso e molto lontano, se non contrapposto, al nostro modello culturale occidentale. Di certo contano molto anche le umiliazioni di alcune grandi parti della società moderna, la loro rabbia ed il senso di impotenza di ampi settori del mondo musulmano, ma ciò che conta di più sono le promesse di vendicarsi falcidiando gli infedeli e le promesse di riscatto terreno e celeste insite nella logica jihadista. In un mondo in cui la forma e la comunicazione vale quanto, se non più ormai, della sostanza, i jihadisti hanno trovato le condizioni ideali per attuare la loro strategia con un’unica visione, quale risultante di due componenti considerate essenziali: la feroce battaglia sul campo per accaparrarsi il territorio anche mediante stragi, e la convinta adesione dei cuori e delle menti dei loro adepti. Anche l’attentatore suicida, come si è visto in molte stragi europee, ma non solo, ha un valore simbolico e mitico rilevante perché riesce a colpire il nemico direttamente e per la percezione di paura e di insicurezza che sparge, ma ha un grande effetto diretto sulla famiglia e sul gruppo di appartenenza, grazie ad un vero e proprio culto del martirio fatto di riti ed onorabilità, non solo paradisiache, ma piuttosto palpabili e riconosciute da quella società. Va anche evidenziato che, dietro una apparente facciata di coesione e unità, la galassia jihadista presenta divisioni e fratture rilevanti, in primis interne allo stesso mondo islamico e, come già visto, con altre frange terroristiche come al-Qaeda, ma anche per le ovvie differenze e vastità dei paesi che intende sottomettere, che vanno dall’Africa Occidentale all’Estremo Oriente, passando per l’Europa.

Chi non avverte il disegno strategico di indebolire i vari Stati e renderli proni a subire il virus dell’ISIS?
L’analisi dell’ideologia del radicalismo islamico, è prodromica per scorgere il loro disegno e capire la correlata strategia. La jihad, come strumento coatto e feroce di occupazione, combatte una guerra per il dominio unico nel mondo musulmano, contro tutte le altre religioni diverse ed anche diversamente interpretate, da quelle sciite, e anche da alcune di radice sunnita, nonché contro il mondo arabo e quello cristiano, soprattutto; i territori inizialmente occupati hanno riguardato una grande estensione, quasi come l’Inghilterra, in Medio Oriente fra Iraq e Siria, ma già si prefigura lo spostamento occupazionale verso Occidente, attraverso  due direzioni: dai Paesi balcanici e, quindi, dalle zone del Magreb, con fulcro in Libia, per poi fare il salto “a tenaglia” nelle Nazioni europee. La visione strategica di al-Baghdadi non è stata percepita nella sua “ambizione e ferocia” né dai Paesi mediorientali, e neppure da quelli Occidentali sempre più preoccupati da interessi nazionalistici, secolarizzati, e miopi nel valutarne la reale portata.
Di più; è stata proprio la discrasia nel percepirla, la scarsa volontà o l’inettitudine dei governanti che hanno prodotto azioni scombinate, finendo per dare “il destro” ai vari gruppi jihadisti europei nel creare adepti terroristi pronti a riempire, con azioni singole o di gruppi, quei vuoti sociali abbandonati o trascurati dalle istituzioni locali. Loro si presentano, o si illudono, di essere gli attori “prediletti” in grado di cambiare le cose nel mondo e farlo divenire una società sana e rispettosa, osservando l’unica Legge-religione vera, quella Islamica ortodossa, con il recupero di quei territori usurpati a suo tempo dall’antico Califfato, come la Spagna (al Andalus, terra del Saladino..) e abitati da popoli viziati e miscredenti come i francesi ( paese di ballerine e prostitute..), o facendo soccombere i Crociati e la secolarizzata cristianità, con l’occupazione del Vaticano e la distruzione di Roma. A fronte della loro ideologia, si declinano i loro intendimenti futuri e le prospettive geostrategiche piuttosto complesse che, di seguito iniziano a delinearsi. Non tratteremo tuttavia dello Stato Islamico nei paesi orientali del Pacifico, considerata la loro complessità e peculiarità, ma delle Sue mire strategiche che ci interessano più da vicino. ISIS, ricordiamolo, è nata dalla dissoluzione civile e sociale irachena, conseguenza del ritiro americano, ma anche a seguito della sollevazione delle province sunnite appoggiate dalle monarchie del Golfo Persico; nel contempo molti Stati sono entrati in crisi ed in un decadimento favorevole a tutte le forme di estremismo. Oltre alla situazione, ora traballante ma sempre assai importante, dell’ISIS, in Iraq e in Siria, di cui si è già parlato ma che riprenderemo per gli schieramenti geopolitici, anche la Libia post-Gheddafi è sprofondata nell’anarchia, uno Stato fallito, con la presenza di cospicue zone jihadiste; l’Egitto pur nella sua precarietà ed il pugno duro del presidente al-Sisi, ha perso il controllo del Sinai, divenuto uno spazio per tutti i traffici e ogni violenza a favore di ISIS; lo Yemen è pervaso da rivolte, ricorrenti stragi e da frammentazioni di ogni genere, il Bahrein…e via  dicendo: una presenza del terrorismo islamico, più o meno vincente, ma di certo attivo e determinato nella sua strategia di imporre una rigorosa Sharia globale, in campo religioso, giuridico e sociale, onde creare un nuovo ordine mondiale, proprio a partire dal  Medio Oriente. Molti Stati mediorientali (Giordania, Emirati, Arabia saudita, Pakistan, Indonesia, ecc) o meglio la loro opinione pubblica, guardano con favore al regime e alla dottrina dell’ISIS; altri, africani, hanno espresso il loro supporto (Tunisia, Algeria, Sudan, Libia,ecc..) allo Stato Islamico che, al di là delle iniziali radici regionali, si è internazionalizzato, mirando ora all’Europa, ritenuta – forse a ragione- un Continente debole e vizioso, con facilità di accesso, anche attraverso il caotico flusso dei migranti. Fra l’altro ISIS sta tentando in tutti i modi di rovesciare la monarchia perversa dell’Arabia Saudita per acquisire i luoghi sacri della Mecca e di Medina ; in Libano, con il dominio della valle della Bekaa ed in Libia, attestandosi su Derna e Sirte. Mentre in Siria, per la verità, sta perdendo pezzi anche nei suoi centri vitali, nelle sue roccaforti, e si stanno ora trasformando da assedianti, in assediati, per gli sforzi da un lato della Coalizione, ma soprattutto per il forte contributo delle forze terrestri iraniane, e di quello -ancor più devastante e determinante- dei bombardamenti dei bunker fatti da quelle aeronavali russe. Ma al-Baghdadi, poco importa se vivo o morto sotto i bombardamenti americani, continua nel suo abbraccio mortale verso l’Europa, dalla Siria a Parigi via Libia, puntando a varcare il Mediterraneo e cercando di sottomettere i paesi della rotta balcanica, quelli dell’area magrebina, quelli spagnoli per arrivare a  fare  “la marcia su Roma”: Lui, o i suoi, tentano di fare e alimentare una guerra “permanente” al di là di certe sconfitte sul campo, per dimostrare di essere lui il Califfo, il leader massimo, capace di unificare e guidare la galassia dei vari gruppi e fazioni, con un dominio che si estende dalla Nigeria al Pakistan, passando attraverso Hormuz, il Corno d’Africa ed il Sahel. Una guerra che ha dato un colpo ferale per smantellare le realtà statuali preesistenti di Siria, Iraq, Yemen e Libia, mentre altre come il Libano, la Giordania e la Tunisia temono di subire la stessa sorte, ed anche quelle di Paesi più grandi come Egitto, Turchia e Arabia Saudita temono rivolte e spaccature pericolose: l’ISIS, con la sua lotta di matrice prevalentemente sunnita e anti-araba sta creando instabilità e insicurezza nelle maggiori potenze regionali mediorientali (Iran, Arabia Saudita, Turchia, Egitto ed Emirati Arabi…) che, per fortuna, si stanno opponendo –anche con le armi- a quel sogno egemonico e feroce. Non si può sottacere che in quel quadro geostrategico esistono Paesi come la Nigeria che, con Boko Haram, tenteranno di saldare pericolosamente la cintura islamica in Africa settentrionale, ma per contro, va tenuto di conto che esistono anche Paesi e gruppi religiosi che si contrappongono con la stessa ambizione e forza a quel disegno, come il regime degli Ayatollah, e che nel disegno geostrategico bisogna considerare il ruolo degli Israeliani e quello della Russia, in particolare. E, inoltre, dovrà essere analizzata la strategia di penetrazione del Califfo sia verso il Sahara, estremamente importante per la situazione terroristica e migratoria, insieme con quella insita nelle minacce marittime già da Lui delineate, per l’utilizzo del mare e dei porti libici, essenziali per la proiezione in Mediterraneo; perciò gli immigrati sono valutati una grossa rendita, come il contrabbando di armi, di sigarette e droga, e la vendita in nero del greggio; così come la reale possibilità di ostacolare le vitali rotte delle comunicazioni marittime da Suez a Gibilterra, con la instaurazione della pirateria sulla base del modello somalo. Ma per tutti questi “chi e perché” non c’è più spazio, e pertanto si rimanda ad un successivo, credo interessante pezzo… (a continuare)

Giuseppe Lertora