(parte seconda…) – Per chi si fosse perso la prima parte

is-isis

Tanti sono ancora i “chi” ed i “perché”, e le perplessità che avvolgono la galassia jihadista non ancora sufficientemente esaminate. Si è già trattato abbastanza diffusamente della loro ideologia, degli obiettivi tattici, delle fonti di sostentamento e della loro capacità di comunicazione efficace e dilagante – sia via Internet, con i social, sia con le emittenti radio – allo scopo di insediarsi in territori più vasti, e reclutare proseliti in una platea assai diversificata, che va dal Medio Oriente, all’Europa, attraverso i Paesi africani, ed in molti altri ancora (perfino in Giappone e Cile dove gli islamici sono una esigua minoranza…). Restano tuttavia alcuni “chi” inevasi che afferiscono gli obiettivi strategici dell’ISIS, nonché il ruolo delle grandi potenze e del regime degli Ayatollah, ma anche la “vitalità” e la volontà di al-Baghdadi. Che, nonostante le recenti sconfitte sul terreno, in Siria, persegue un disegno connotato da minacce terrestri, ma anche marittime, per conseguire l’obiettivo di gran lunga più importante, e forse non ultimo: occupare altri territori finalizzati all’end-state – allo scopo finale – del Califfato, eliminando o comunque sottomettendo i viziosi e infedeli europei.  Chi pensa che lo Stato Islamico, dopo le recenti e pesanti sconfitte, prima in Iraq ed ora in Siria, stia scomparendo, si sbaglia di grosso. Particolarmente in Siria, dopo la batosta di Raqqa, la loro capitale, è fresca la presa, da parte delle forze anti-ISIS, dell’enclave di Deir Ezzor, regione orientale siriana importante perché piena di pozzi petroliferi, ma anche sotto il profilo strategico in quanto finora rappresentava una barriera insormontabile, uno snodo di collegamento fondamentale, per la viabilità delle forze della coalizione. Le forze governative di Assad, le forze speciali e ordinarie iraniane, con l’appoggio dirompente di quelle aeronavali di Putin, non solo hanno rotto l’assedio dello Stato Islamico in quella roccaforte, ma hanno eliminato un gran numero dei capi del Califfato, di quello scacchiere. Chiaramente ci saranno contraccolpi e défaillance, vista la decimazione della “dirigenza” da un lato, e la privazione della gran parte dei pozzi petroliferi, di cui ISIS aveva il pieno controllo, smerciando il greggio in nero, quale fonte primaria e considerevole del proprio sostentamento finanziario. Il destino dello Stato Islamico, tuttavia, anche se perde molti dei suoi territori, che in qualche misura lo indeboliranno, non si estinguerà così facilmente in quanto è impossibile eliminare un’intera generazione di sostenitori del Califfato sparsi un po’ in tutto il mondo. Va da sé che, quel virus di dominio e di ferocia inoculato nelle menti dei giovani e di quegli incalliti terroristi, non si estirperà facilmente; le loro aspirazioni ideologiche sono infatti assai più pregnanti della gestione o dell’occupazione di qualsiasi territorio, per quanto utile alla causa, e vasto sia. La terra può anche essere persa, ma rimane il sogno ed i sognatori – o chiamiamoli pazzi feroci – saranno ancora migliaia in tantissimi Paesi, pronti a morire per la causa dello Stato Islamico: una forte resilienza sul terreno, ma soprattutto, come abbiamo visto, a difesa strenua della loro demagogia di matrice ideologica, che prevale su ragioni economiche, sui disagi o anche su presunti fanatismi psichiatrici. E’ anche assai probabile che ISIS non ricostituisca le forze per conquistare di nuovo i territori perduti in Siria ed Iraq, considerate anche le consistenti forze antagoniste coalizzate per ragioni diverse, e mantenga però più che vivi gruppi o cellule dormienti, all’apparenza, confidando in tempi migliori ed in una sorta di “rinascita ciclica” per tornare a comandare in quei teatri. Sorvoliamo sulle sponsorship pro-ISIS del ricchissimo Qatar e dell’Arabia Saudita, che faranno di tutto perché ciò accada, ma si confida sull’Egitto di al-Sisi, su Israele e su altri, ma soprattutto su Putin che è fra i pochi acerrimi nemici dello Stato Islamico, e forse l’unico ad avere “idee e forze” chiare! E’ altrettanto evidente come l’evoluzione della minaccia terroristica in Occidente, sia strettamente legata ai cambiamenti nella strategia islamica, in Medio Oriente e nel Nord Africa, almeno per quanto ci riguarda più da vicino; tuttavia resterà incombente, e forse più pressante, la possibilità delle cellule jihadiste, “embedded” nella nostra società, di colpire ad ogni occasione, assembramenti di civili per fare stragi ed alimentare le paure nella gente. Nel contempo continuerà incessante e massiccia la propaganda e la diffusione delle informazioni “dedicate” via Internet, social e radio, sia per dare gli ordini ai potenziali attentatori, che per ampliare l’adesione degli adepti nelle regioni in cui la jihad è debole. Se qualche bontempone europeo o italico pensava che, con le sconfitte territoriali, lo Stato Islamico potesse diminuire anche gli attentati in Europa, ha preso un grosso granchio; purtroppo dovremo fare ancora più attenzione a tutti i livelli su fatti e comportamenti anomali, a partire dal buon “vicino di casa “ ed usare ogni prudenza e cautela nel frequentare aree molto affollate, considerato che le rappresaglie e le vendette di quelle cellule o di lupi solitari, purtroppo non diminuiranno, anzi! Una guerra permanente, senza quartiere e senza confini materiali, né tantomeno temporali.

Chi, comunque, si focalizza ora soltanto sulla Libia, che è senz’altro essenziale, senza guardare all’Africa Occidentale ed al Sahara, rischia di circoscrivere il problema ISIS, in modo surrettizio. Lo Stato Islamico considera la Libia, soprattutto dopo le sconfitte in Medio Oriente e le naturali difficoltà di operare in quei luoghi, un dominio fondamentale, una pedina essenziale per ricostituire i ranghi e trovare rifugi più sicuri rispetto a quelli siro-iracheni. Ma non si ferma lì; tenta infatti di infiltrarsi in tutti i modi nei Paesi africani, alcuni a noi quasi sconosciuti, come la Nigeria, il Ciad, il Mali, e nel Sahel, che hanno un gran rilievo sia per una saldatura territoriale più ampia, sia per il ritorno economico connesso con il lucroso traffico di esseri umani che, nella Libia, vedono la loro parte terminale. E, con un colpo magistrale, ISIS è riuscito a far aderire alla sua causa, circa un anno fa, quel famigerato Boko Haram; così il network jihadista trova nell’Africa sub-sahariana un prezioso, quanto feroce alleato, con una dote di oltre 6000 guerriglieri che servono per combattere le forze regolari della Nigeria, nell’intento di strapparle le regioni settentrionali, ma anche del Niger e del Camerun. Il network jihadista africano si allarga piuttosto rapidamente e presto ingloba anche cellule e gruppi del Mali, della Mauritania e del Ciad, con collegamenti anche con gli al-Shabaab sul versante somalo. Sullo scacchiere africano poter contare su solidi alleati in Somalia, Nigeria e Libia –ove ISIS è ben sistemata a Sirte e a Derna- consente a quelli dello Stato Islamico di poter gestire vasti traffici illeciti, di uomini e materie prime, capaci di alimentare la propria struttura a cavallo del Sahara, in maniera analoga a quanto sono riusciti a fare, a suo tempo, in Iraq e poi in Siria. In effetti la strategia di penetrazione di ISIS nel Sahara segue in qualche modo le orme ed i sogni di Gheddafi, ma con risultati diversi; l’adesione della feroce milizia jihadista nigeriana di Boko Haram consente di fomentare e controllare i Paesi confinanti col lago Ciad e quindi di sguazzare nel caos libico consolidandosi a Sirte, Derna e Misurata, in modo da poter agevolmente gestire le rotte dall’Africa verso il Mediterraneo, come strumento per moltiplicare i profitti, dai migranti al contrabbando. Anche il Fezzan che, all’epoca del Rais, era rimasto stabile per convenienze e connivenze reciproche onde consentire i transiti di gente e di generi più o meno legittimi fra la Nigeria, Niger e Libia, ora denota una notevole instabilità a causa soprattutto degli accesi combattimenti fra le due tribù principali (i Tuareg ed i Tebu) dominanti quelle vaste aree inospitali. Il motivo di base, al di là di vecchie ruggini, risiede negli appetiti dei due governi presenti in Libia, a Tripoli ed a Tobruk, i quali vogliono impossessarsi del traffico di esseri umani: la conseguenza è che i fortissimi Tuareg sono stati risucchiati dalla galassia jihadista del Magreb e oggi sono lo strumento operativo più efficace per il lucroso transfer di migranti, ed ogni altra attività più o meno lecita, nelle aree desertiche sub-sahariane. Il radicamento dell’ISIS in Libia, che si presenta come il Far West di jihadisti e fuorilegge di tribù fra le più diverse, è sicuramente destabilizzante, e non gioca a favore di al-Serraj, e neppure del generale Haftar, né tantomeno postula una qualsivoglia riconciliazione di quella martoriata società, ma è un pericolo per la stessa Europa, ed è pericolosissima per il nostro Paese. Il Califfo intende ripetere la tattica usata dai terroristi con successo in Iraq, quando puntò su Tikrit, città natale di Saddam; ora agisce per consolidare ISIS nella città di Sirte, dove è nato Gheddafi, per impossessarsi della simbologia, del mito, ma soprattutto per accaparrarsi le aree più ricche di greggio e di gas, e di controllare le rotte, non solo dei migranti, ma anche quelle terrestri dall’Africa settentrionale, e quelle marittime-commerciali fra Suez e Gibilterra. Per fortuna alcuni Stati, primo fra tutti il Marocco, ma in parte anche la Tunisia e l’Algeria, costituiscono ancora un antidoto ai jihadisti con il dispiegamento di cospicue forze militari (con oltre 40000 elementi marocchini che difendono le frontiere dalle infiltrazioni di gangster e jihadisti), perché dicono loro, e forse non a torto: “è qui, e nel Sahara che si protegge l’Occidente”. In sostanza il terrorismo islamico sta creando una situazione di instabilità endemica che spinge le potenze regionali rivali ad opportunistiche alleanze per curare i propri interessi anche con la forza militare; ciò porta spesso anche a lotte tribali, tipiche del deserto, sempre alla ricerca di poteri e di business che prevalgono di frequente su accordi pregressi, oppure per ricercare equilibri forzosi, e talvolta poco comprensibili, ma sempre a scapito delle popolazioni civili, vittime ultime di soprusi, violenze e della povertà, e quindi obbligate a migrazioni forzate.

Chi, nel geo-disegno di ISIS, dimentica la contrapposizione con il regime degli Ayatollah, ed il ruolo di Israele, ma anche lo zampino dello Zar Putin, rischia di non capirne le reali strategie “allargate”.
Alcuni Stati, per motivi essenzialmente religiosi, ma anche politici, stanno contrastando l’idea del Califfo e le sue strategie; fra questi, sotto il profilo antitetico religioso, l’Iran sciita si contrappone pesantemente allo Stato Islamico sia in termini ideologici, sia combattendolo aspramente sul terreno mediorientale. L’Iran è portatore di un progetto rivoluzionario, fin dalla notte dei tempi, finalizzato al dominio musulmano degli sciiti contro i sunniti; ciò si sostanzia nella cruda contrapposizione fra due grandi Stati, e le loro rispettive coalizioni o schieramenti: l’Arabia Saudita con il vettore fanatico dell’ISIS, e l’Iran, dall’altro versante. La loro feroce lotta è motivata da diverse visioni religiose, ma soprattutto per la supremazia delle regioni del Golfo Persico, ricche di ingenti risorse energetiche. Gli Ayatollah tentano così di farsi largo e consolidare uno spazio ininterrotto da Baghdad a Beirut, e sono in prima linea nella lotta contro ISIS con truppe assai efficaci ed addestrate, sia in Iraq che in Siria (da sempre peraltro enclave sciite); molte delle vittorie più importanti, da Mosul a Raqqa, fino alla recentissima presa di Deir Ezzor, si devono al loro determinante contributo sul terreno: in sostanza, sia sul piano religioso-ideologico, che sul dominio del territorio, ma anche sulle relationship geostrategiche, la lotta senza esclusione di colpi si combatterà fra i due maggiori contender: il Califfo e gli Ayatollah. Nato come conflitto terrestre, lo scontro si sta estendendo al campo marittimo, considerato che entrambi vedono nel mare, nelle rotte navali e nei choke-points – sia nel Mar Rosso come nel Golfo Persico (da Bab-el-Mandeb, ad Hormuz, ecc.) – uno spazio estremamente utile per moltiplicare le loro attività ed i loro profitti: uno spazio essenziale per i loro obiettivi geostrategici, da cui possono derivare gravi minacce anche per la stessa sopravvivenza, sociale, industriale e politica dell’intera regione mediterranea. Il Califfo, fin dall’inizio, preme per avere uno sbocco marittimo sul Mediterraneo; aveva puntato già su Tripoli, nel Nord del Libano, per crearvi un suo emirato al fine di poter esportare il greggio estratto in Iraq e in Siria, ma anche per agevolare il traffico di armi, pure di quelle pesanti, e soprattutto per avere mano libera su un Mare che “è la porta verso l’Europa” attraverso cui può scorrazzare anche con imbarcazioni rudimentali per arrivare nelle coste degli infedeli. In effetti si tratta di un assedio nei confronti del mondo occidentale, fatto di mosse strategiche spesso incomprese; un assedio che preme prima di tutto nei confronti di Israele, unica roccaforte forte e determinata, filo-occidentale e anti-islamica che si trova, da un lato bersaglio di Teheran decisa da sempre a farla scomparire dalla faccia della terra, dall’altra circondata da molteplici minacce: innanzitutto ISIS, presente pericolosamente nel Sinai, ma anche da altre frange terroristiche come Hamas, Hezbollah, al-Nusra, ecc., nelle aree limitrofe ai suoi confini. E’ pur vero che le Nazioni europee, con le loro indifferenze e scarsa incisività, hanno creato le premesse per iniziative esterne, a cominciare da Putin che, nel supportare Assad in Siria, ha dichiarato guerra senza frontiere a ISIS, ma con l’obiettivo primario di crearsi una propria enclave marittima permanente in Siria, a Lataxia, e per avere un buon back-up, anche nelle sponde della Cirenaica, supportando apertamente il generale Haftar. Così l’orso russo garantisce un ritorno “imperiale” della propria flotta nel Mediterraneo, di fatto con porti e ormeggi sicuri, ma innanzitutto ridiventa protagonista dei nuovi assetti strategici: Putin l’ha capito, altri Paesi molto meno! Ma la sua strategia va ben oltre; nel dichiarare di voler far piazza pulita di ISIS, lo Zar intende dare un segnale forte ai Paesi arabi, ma anche a Israele, notoriamente minacciati dal terrorismo islamico, dimostrando con i fatti che gli sta a cuore la loro sicurezza ed il loro futuro, mettendo sul piatto accordi su energia, armamenti e forniture di vario genere, per un futuro partenariato. Non solo Putin si è mosso a favore del mondo arabo, ma la sua vision anti-ISIS, davvero geostrategica, è avvalorata dal più recente e stretto avvicinamento con Israele, motivato dalla sicurezza di oltre un milione di cittadini ex-URSS che vivono lì, e dal fatto che quello è l’unico Paese russofono fuori dai suoi confini: indiscutibilmente una leadership di lungo corso per ricollocare la Russia, quale grande potenza, nello spazio terrestre e marittimo che va da Hormuz, a Suez, e nel pieno del Mediterraneo.

Chi non vede, a questo punto, la minaccia jihadista attraversare il Mediterraneo?
L’occhio sul mare “Nostrum” l’ha posato Putin, ma anche -come conseguenza degli stessi appetiti strategici- al-Baghdadi che da sempre punta ad avere sbocchi costieri, a partire dalle prime ambizioni di insediarsi a Tripoli, in Libano fino all’attuale Sirte in Libia; e ciò per diverse ragioni: la prima è quella di poter esportare il greggio estratto nei pozzi iracheni e siriani, e similmente da quelli nel Golfo della Sirte; in seconda battuta, poter agevolare l’indispensabile traffico di armi anche pesanti trasferite con grosse navi cargo; in terza istanza, ma non meno importante, intravvede la grossa opportunità di usare i porti libici come “ponte verso l’Europa” per operazioni con barchini kamikaze, per il transito di terroristi e gestire le masse indiscriminate di clandestini; in ultimo, per atti di pirateria nei confronti di navi commerciali o passeggeri. In tale ottica lo spostamento di ISIS in Libia, soprattutto a Sirte e a Derna, risponde ad una precisa e multiforme strategia: poter operare sul mare in modo più covert per i propri interessi e raggiungere più facilmente le “nazioni meridionali dei crociati, degli infedeli”. La Libia, d’altronde è regione che ha usato il mare, non sempre a scopi benefici, a partire dall’antichità; ad esempio, per la pirateria perpetrata ai danni dell’impero romano dai Cartaginesi & Co, creando enormi difficoltà nei traffici commerciali, fu addirittura nominato un Comandante della Flotta, nel 67 a.C., il “navarca” Pompeo con poteri imperiali e mezzi ingentissimi, con cui solo dopo anni riuscì a debellare quel cancro marino. L’intera fascia mediterranea dovrà prevedere di confrontarsi anche oggi con quelle minacce; per l’Italia esiste in aggiunta il pericolo della vulnerabilità delle strutture energetiche e della necessità di garantire le forniture di greggio e di quelle di gas, vitali per il nostro Paese. Senza dimenticarci che quella insidiosa e prossima presenza potrebbe ulteriormente agevolare i terroristi islamici nel concretare “la marcia su Roma” e quindi colpire e umiliare la cristianità intera.

Chi non intravvede la minaccia marittima, si troverà in un mare di guai!
E’ indiscutibile; la minaccia che ci riguarda direttamente e più da vicino è sicuramente la Libia, caratterizzata da poteri frammentati e priva di una qualsivoglia forma statuale, e la presenza di ISIS, foriera di sorprese e fastidiosi grattacapi. Bisogna che il focus, quindi, si fissi sulla “quarta sponda” che, per noi, ha una valenza importantissima, ma il caleidoscopio va naturalmente ampliato, se intendiamo capire le strategie in gioco, con un approccio al cd. “Mediterraneo allargato”. L’esame delle loro minacce alle linee di comunicazioni marittime, ed anche alla connessa pirateria, evidenzia –qualora ce ne fosse bisogno- che attraverso i vari passaggi obbligati di Hormuz e di Bab-el-Mandeb, cioè via canale di Suez, transita il 90% dei beni e materie prime, ed il 65% del petrolio, cioè tutte quelle provviste che, qualora interdette dallo Stato Islamico, provocherebbero un collasso della nostra economia e sviluppo, nonché della nostra sicurezza. E’ perfino banale sottolineare l’importanza strategica di garantire la libertà di quei choke-points, dalla Somalia, all’Egitto, allo Yemen, fino ai Paesi degli Emirati, perché il nostro sistema di vita è strettamente correlato al loro libero transito, non essendo possibile aggirarli. Noi occidentali siamo tetragoni nel capire le mosse e le prospettive di ISIS e, spesso, non ci convinciamo che esiste una dichiarazione, e fatti sul campo – dalle stragi europee ai conflitti in Medio Oriente – di una guerra senza pietà contro l’Occidente, che continua a rifiutare lo stesso concetto bellico, pur avendo il nemico alle porte, e anche – paradossalmente – in casa. La nostra vision terricola e di piccolo cabotaggio ci porta, invece, a considerare il Mediterraneo anziché nel senso “allargato”(ben oltre Suez, fino all’Oceano Indiano, e all’Ovest ben oltre Gibilterra, verso la Mauritania…) un piccolo mare “ridotto” alle nostre coste, senza accorgerci o voler renderci conto che il Mare Nostrum ampliato è un’entità geostrategica complessa in cui, anche storicamente, sono nate e nascono vieppiù quelle sfide e quelle minacce che ci toccano da vicino, o ci toccheranno fra non molto: possibile che i nostri “pensatori” e “strateghi” (ma ne esistono ancora?) non avvertano queste minacce marittime e si preoccupino prioritariamente delle invasioni nordiche e russe, terrestri e aeree? Isis ha capito molto bene la valenza marittima dei porti e del dominio del Mare per portare a compimento i suoi disegni; noi, invece, continuiamo con le aspirine e con politiche incomprensibili e solo politicamente “appariscenti”, ma senza scomodarci troppo: come è possibile che, a fronte di quelle acclarate minacce, si continui a ridurre i ranghi ed i mezzi della Marina Militare che è notoriamente in sofferenza vista anche l’attività di ogni giorno, a tutela della nostra sicurezza? Forse continuiamo ad aspettarci l’invasione dalla soglia di Gorizia, dove ci sono oggi solo disgraziati migranti che invece tendono a scappare al Nord, più che ad invaderci, oppure prevediamo un massiccio attacco di Putin, della sua Armata aerea sul nostro Paese, quando -come si è visto- i suoi interessi strategici sono assai diversi e così lontani? Una sana ed equilibrata rivisitazione del nostro sistema di Difesa, sarebbe oltremodo necessaria affinché “la Cenerentola, nel senso di più piccola, e… la silenziosa, perché avvezza a stringere la cinghia senza lamentarsi” abbia le capacità, gli strumenti, gli uomini e le finanze in modo adeguato, e ci sia la volontà oggettiva di impiegarla sui vari fronti- con alleanze o meno- per il contrasto alle molteplici minacce che sono una realtà incontrovertibile, ahinoi! Manca, per una chiusa logica, una proposta-rassegna sugli altri provvedimenti da prendere per combattere il terrorismo islamico, già oggetto di trattazione in un precedente specifico articolo, che vanno in sintesi, per citarne solo alcuni: dal controllo delle moschee ai loro esclusivi centri culturali sparsi ovunque in Europa, al congelamento dei vari flussi finanziari compresi quelli provenienti dalla vendita “in nero” del greggio, dal traffico di armi, del contrabbando di sigarette e di droga, dall’annichilimento del loro sistema di comunicazioni con una cyber-war senza esclusione di colpi, fino ad una recrudescenza “im-politically correct” degli strumenti giuridici per colpire anche i soli sospettati di terrorismo, e ad un rafforzamento consistente dei Servizi di sicurezza e della Polizia giudiziaria, instaurando un vero coordinamento con le altre Agenzie occidentali, vista la mobilità di quei furfanti. Non sarà la panacea per annientare la loro sete di dominio e di stragi, ma potremo dire che – consci di quelle minacce – almeno si è fatto il possibile per contrastare con fermezza e con una serie di provvedimenti logici e sensati, quel terribile cancro insito nel disegno jihadista: per combatterlo davvero ci vogliono tutte le misure di una forte e articolata “chemioterapia”, e anche di una ineludibile “iodio-terapia”!

Giuseppe Lertora