This photo, taken by an individual not employed by the Associated Press and obtained by the AP outside Iran shows Iranian protestors flashing the victory sign, as they cover their faces to avoid to be identified by security during anti-government protest in Tehran, Iran, Sunday, Dec. 27, 2009. (AP Photo) EDITORS NOTE AS A RESULT OF AN OFFICIAL IRANIAN GOVERNMENT BAN ON FOREIGN MEDIA COVERING SOME EVENTS IN IRAN, THE AP WAS PREVENTED FROM INDEPENDENT ACCESS TO THIS EVENT

Le notizie che giungono dall’Iran diventano sempre più preoccupanti. Sembrano non trovare fine le proteste antigovernative scoppiate  nei giorni scorsi nella città  di Mashhadin  e che piano piano si stanno allargando a tutto il resto del Paese. Per ora anche se la partecipazione non è oceanica migliaia di persone stanno scendendo in strada a manifestare. Un vero e proprio atto di coraggio visto che vivono in un Paese dove non esistono diritti. Ovviamente il regime iraniano appare tutt’altro che disposto ad accettare il dialogo e il compromesso ed ha ordinato una dura repressione delle manifestazioni. Ieri anche il centro della capitale Teheran si è trasformato in un vero e proprio campo di battaglia. Come sempre sono gli agenti antisommossa iraniani a rendersi protagonisti  delle violenze. Infatti, per disperdere la folla rincorrono i manifestanti e li colpiscono a colpi di manganellate, gli lanciano contro gas lacrimogeni e gli sparano addosso. Manifestazioni di questa portata in Iran  non si vedevano dal 2009 quando il popolo scese in strada a manifestare contro l’esito delle elezioni presidenziali del 12 giugno che avevano riconfermato Mahmoud Ahmadinejad a capo della Repubblica islamica. Una rielezione contrassegnata da forti sospetti di brogli elettorali e denunciati apertamente dall’opposizione riformista che chiese l’annullamento del voto.  Allora come oggi la reazione del governo di Teheran alle proteste fu dura e violenta e condusse alla repressione nel sangue del movimento riformista denominato ‘Onda Verde’ nato da quelle contestazioni. Anche stavolta un Black Out mediatico impedisce di avere notizie dal Paese medio orientale però, è certo che vi regna la più totale confusione. La comunità internazionale ha provato a criticare e condannare l’atteggiamento del regime degli Ayatollah, ma come sempre si tratta di timidi tentativi. Il solo presidente USA, Trump ha invece, usato toni più decisi. Stavolta a differenza dei moti del 2009 alla testa del popolo non ci sono capi. Gran parte di quelli che condussero la ‘rivolta’ riconosciuti colpevole di aver attentato alla sicurezza nazionale sono da tempo in carcere o agli arresti domiciliari come il leader storico, Mir Hossein Moussavi. La portata delle manifestazioni è comunque non minore. Oggi dopo che si è saputo dei morti per le strade, almeno 6, delle retate e degli arresti da parte della polizia del regime a tutti è chiaro che ormai il governo iraniano sta ancora una volta, violando i diritti umani e politici del suo popolo. Anche se ancora gli slogan delle proteste di questi giorni sono antigovernativi, la principale ragione delle manifestazioni di piazza in corso sembra essere però, economica. Il popolo iraniano è ormai allo stremo, stanco delle forti restrizioni dei loro diritti ma, soprattutto della grave crisi economica, del carovita  che li attanaglia. Il regime di Teheran ormai ha dimostrato ampiamente di non rispettare quel popolo. Quello stesso popolo che portò al potere l’Ayatollah Alì Khomeini nel 1979 dopo aver cacciato lo Shah, Mohammad Reza Pahlavi. L’Iran da allora è l’unico Paese medio orientale ad essere governato da una classe politica direttamente legata al clero nazionale. Da allora il Paese si è ritrovato ‘schiacciato’ tra le speranze di riforme del popolo e l’autorità ultraconservatrice  degli Ayatollah.  Nel Paese a sostenere ancora il potere degli Ayatollah è la forza ideologica e le forti radici populiste che sono radicate in almeno un quarto della popolazione, e soprattutto sul fatto che il regime iraniano può contare ancora su una possente forza paramilitare ben armata, i Pasdaran. Potrebbero comunque esercitare un ruolo importante in tutta la vicenda, i rapporti di potere tra le varie fazioni che compongono il sistema di potere iraniano. Difficile credere che qualcuno non cavalcherà il cavallo della rivolta per averne un ritorno politico o possa addirittura aver orchestrato tutto. Manifestazioni di protesta, anche se non di questa portata, se ne sono registrate diverse in tutta la presidenza di Hassan Rouhani. Non è escluso che ad alimentare lo scontento del popolo siano stati gli stessi oppositori politici del capo di stato iraniano che lo accusano di avere fallito le sue promesse elettorali compresa la ripresa economica. Potrebbe anche essere stato lo stesso Rouhani ad alimentare la protesta, sempre nell’ambito dell’ottica della sfida con i rivali politici,  specie con lo schieramento di Ali Khamenei, attuale guida spirituale dell’Iran. Il presidente iraniano il mese scorso aveva reso pubblico il bilancio annuale della Repubblica iraniana, un fatto nuovo per il Paese. Da questo resoconto era emerso come il denaro statale finisse inspiegabilmente nelle casse di fondazioni religiose, centri di ricerca e altre istituzioni vicine alla leadership religiosa del Paese medio orientale.

Ferdinando Pelliccia