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Mentre la politica è immersa in una competizione pre-elettorale insensata quanto aspra e disgustosa con stantii slogan antifascisti e antirazzisti, fatta solo delle solite vane promesse e di immancabili bonus, e i governanti pensano a “macerarsi a Macerata”, il fermo della nave dell’ENI avvenuto 4 giorni fa in Mediterraneo ad opera della Marina Militare turca con un atto di pirateria degno del bacino somalo, passa in secondo o terzo piano e, evidentemente, pur essendo di una gravità inaudita, non fa notizia.
Chiaramente la Turchia non è nuova ad iniziative anche dirompenti nell’antica disputa con Cipro per accampare diritti, spesso non riconoscibili, nel tentativo di accaparrarsi il gas nella Zona Economica Esclusiva (ZEE) cipriota o almeno tentare di avere dei rilevanti ritorni dallo sfruttamento delle risorse a beneficio della popolazione dell’autoproclamata Repubblica turca di Cipro del Nord.
Attorno all’isola di Cipro sono stati scoperti nel tempo una decina di siti ricchi di gas e molti di questi sono stati affidati alla nostra ENI, evidentemente in grado di far bene quel mestiere di trivellazione con le storiche piattaforme off-shore: alla base della disputa turco-cipriota che coinvolge la Grecia, l’Egitto e perfino Israele, c’è ovviamente un grande business. Non c’è dubbio che quei giacimenti hanno una notevole importanza in termini di futuri rifornimenti anche verso l’Unione europea, ma anche la “matrigna” tace; la Turchia, invece, continua da sempre quelle azioni poco lecite e provocatorie poste in essere nella ZEE cipriota, fregandosene altamente della Ue nonché della Convenzione del Mare (UNCLOS) di Montego Bay che continua non solo a non voler rispettare, ma anche a ratificare.
La Turchia non ha mai voluto aderire a quei principi per addivenire almeno a una equa ripartizione delle risorse energetiche fra le due comunità di Cipro, anzi pretendendone sempre l’esclusività con arroganza a fronte della inusitata – e illecita – ambizione di estendere formalmente la propria zona ZEE oltre la parte meridionale dell’isola.
Ora, nella decennale disputa turco-cipriota, anche senza volerlo e probabilmente senza alcuna colpa, viene incredibilmente coinvolta l’Italia nelle ambizioni degli attori più prossimi, a quel Mar di Levante, attraverso il fermo, da parte di navi da guerra turche, della SAIPEM 12000 in acque internazionali: lo scopo dichiarato è che quella nave non deve raggiungere il punto da trivellare, il Block 3 della ZEE cipriota, di fronte alla Repubblica Turco-Cipriota riconosciuta unilateralmente solo dalla Turchia.
Meno di una settimana fa il sultano Erdogan era stato in visita in Italia, ossequiato nei Palazzi romani e pure in Vaticano e sicuramente si è parlato di Cipro e di Gerusalemme, oltreché dei poveri e vituperati Curdi; sembra che, con la durezza che lo contraddistingue, Lui abbia espresso anche in quelle sedi il proprio risentimento per l’attività dell’ENI nello sfruttamento dei giacimenti ciprioti, esortandone lo stop.
D’altronde ad un personaggio come lui, abituato ai colpi di Stato, epurazioni di massa e stragi dei Curdi, non si poteva rispondere con una negazione anche se tanto giusta, quanto ovvia e legittima da parte di uno Stato sovrano: il dilemma è se lo siamo ancora o piuttosto abbiamo completamente abdicato ad ogni qualsivoglia status di sovranità nazionale e quindi a curare i nostri interessi nel mondo.
Tutto è avvolto dal silenzio, da quello dei mass-media a quello dei Servizi che forse avrebbero dovuto allertare sulle intenzioni turche chi di competenza; i vari ministri, a partire dalla Farnesina che ha un ruolo primario per quegli incidenti avvenuti in acque internazionali (di nefanda memoria il caso dei 2 Fucilieri di Marina nella diatriba con l’India), dai Trasporti alle Finanze (visto che detengono quasi il 50%, e quindi si tratta di un asset pubblico) fanno spallucce, per finire con la Difesa che non è da meno.
La SAIPEM 12000 è quindi un patrimonio pubblico che dovrebbe essere tutelato comunque, specialmente laddove viene “sequestrato” o comunque inibito nel fare il proprio lavoro, per tacere della superiore esigenza istituzionale di salvaguardare gli interessi nazionali ovunque siano messi a repentaglio.
Di più, vengono spontanee alcune domande; è mai possibile che stiamo zitti di fronte non solo alla menomazione dei nostri interessi nazionali, ma lasciamo che i turchi calpestino la nostra sovranità nazionale, come sono abituati a fare con i poveri curdi, pur avendo dalla nostra parte ed in modo indiscutibile il Diritto Internazionale marittimo? E’ mai possibile che una nave venga fermata in acque internazionali con una forma di “harassement” senza precedenti, senza che sia dedita alla pirateria, al traffico di armi o alla tratta di esseri umani?. Si tratta senza dubbio di un stravagante e capovolto atto di pirateria perpetrato dalle Unità Navali di uno Stato, quello turco.
E il tutto avviene senza che si sveglino i sacerdoti delle democrazie e delle libertà mondiali: le Nazioni Unite tacciono e l’Unione europea non si scomoda per nulla! Possibile che a nessuno sia venuto in mente di inviare un paio di nostre Unità navali, distogliendole da quell’operazione Themis (ex-Triton) di fronte alla Libia che comunque lascia transitare tutti i migranti, oppure distaccarle dal Task Group antiterrorismo che naviga nel Mare Nostrum, al fine di mostrare la bandiera almeno a livello di deterrenza, senza lasciare in balia delle onde e dei turchi quei poveri della Saipem?
Che, per ora, hanno voltato “la capa al ciuccio” sperando nel futuro di far rotta verso Cipro e così andare a fare il proprio mestiere, quanto prima; ma la posta in gioco per “noialtri italiani” è assai più alta, e una volta tanto si tratta di tenere, senza i soliti bizantinismi, una prora definita e ferma: è una questione innanzitutto di Diritto, ma che coinvolge la nostra Dignità e perfino il nostro Onore!

Giuseppe Lertora