Le mosse strategiche di USA e Russia.

erdogan_1Con un atto inatteso, ma non troppo, Erdogan ha appena fatto visita a Roma accolto dalle nostre massime autorità e, innanzitutto, dal Papa. Nonostante la situazione del tutto fluida nel teatro siro-turco e nel Medio Oriente in genere ed i precedenti del Sultano non depongano per una “calda ricezione”, sia per motivi interni dopo le stragi dei “dissenzienti” post colpo di Stato, sia per il feroce interventismo in Siria contro i poveri curdi, sembra che ci riprovi – forse per recuperare lo smacco subito a Parigi da Macron – a convincere noialtri che è diventato “buono” e che la Turchia è pienamente rispettosa dei diritti civili, e via dicendo, pretendendone finalmente l’ingresso nelle file dell’Unione europea. La visita di quel dittatore è, quindi, opinabile sotto diversi profili e lo è ancor di più se si considerano le “aperture” dei nostri esimi politici in una fase così delicata; ma l’aspetto kafkiano è stato l’incontro con Bergoglio, capo della cristianità che gli fa dono di un medaglione raffigurante “l’angelo della pace” quasi a corrispondere, amara ironia della sorte, con quell’operazione bellica denominata “ramoscello d’ulivo” scatenata da qualche giorno contro i curdi siriani, con esiti non proprio di pace, visto che fra morti e prigionieri se ne contano circa 1000!
Un parossistico messaggio alla vigilia della prossima Pasqua, fatto di ipocrisie ammantato di belle parole, di dialogo ed aperture verso la pace, contraccambiate dal cinico Sultano con un bagno di sangue curdo sotto l’ulivo.  Sicuramente non mancano i temi da trattare, pur in una atmosfera non proprio idilliaca, a partire dalle persecuzioni dei cristiani, dalla contrarietà allo Stato di Gerusalemme capitale, dalla questione dei migranti siriani ammassati in Turchia, alla stabilità della Regione con la guerra ancora in corso in Siria e il contrasto allo Stato Islamico, fino al rispetto dei diritti umani e della libertà di espressione che non appaiono più valori occidentali imprescindibili, ma restano solo parole per le anime belle che ora incredibilmente tacciono. Chissà dove sono finiti i sacerdoti e le vestali del politically- correct e gli sbandieratori della pace e delle libertà, nonostante Erdogan abbia avuto l’ardire di commentare e tacciare di terrorismo, i recenti misfatti di Macerata, di casa nostra: gli unici a manifestare in piazza erano i poveri curdi e qualche sparuto loro sostenitore, mentre gli altri – politici compresi – avevano subito la trasformazione nelle “tre scimmiette”. Forse ci voleva proprio questa discussa visita, almeno per farci riflettere e per fare mente locale su quella guerra dimenticata in Siria e rispolverare il conflitto turco versus curdi; in effetti mentre si è parlato molto delle sconfitte di ISIS nei vari centri da Kobane, a Mosul e a Raqqa, la guerra in Siria sembra lontana e tale appare, a maggior ragione, il feroce tentativo di sterminare i curdi etichettandoli come terroristi. Anche le grandi potenze stanno operando sottotraccia, glissando opportunamente sui reali pericoli, con un approccio minimale verso la causa curda, evitando di disturbare i turchi; eppure è ben chiaro che la posta in gioco anche a livello geostrategico continua ad essere assai alta per la pace nell’intero Medio Oriente.
Che ne è, e ne sarà della Siria, con o senza Assad?
E del prefigurato Stato indipendente curdo, della presenza massiccia di Teheran e delle mire dei turchi?
E quali le mosse e gli obiettivi delle grandi potenze?
La risposta a questi quesiti non è facile sia per la mancanza di giornalisti embedded nei teatri di guerra, sia per l’ingannevole propaganda da parte dei vari attori in gioco, sia ancora per gli svariati interessi di ordine economico, politico e religioso che orbitano nell’area, ma tenteremo di sbrogliare la matassa e capire dove si sta andando, seppure con un certo beneficio di inventario.
La guerra scatenata con l’operazione “Ramoscello d’ulivo” per sterminare i curdi o comunque scacciare le milizie curde e tribali arabe dello YPG, le Forze di protezione popolari, il cui obiettivo è quello di creare una zona di sicurezza attorno alla città di Afrin lungo il confine, a tutela di quella regione indipendente agognata e votata a maggioranza dal popolo, sembra si sia arenata di fronte ad interessi più “grandi” di geopolitica delle potenze maggiori: nessuno si schiera per la causa curda, se non Israele, e tutti guardano con deferenza alla Turchia che nel tempo ha assunto una rilevante importanza,  per il suo ruolo permanente nella NATO, sia per la stabilità nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, ma anche per la leadership religiosa nel mondo musulmano. L’innesco dell’operazione si colloca immediatamente a valle dell’annuncio recente degli USA di voler aiutare i curdi, insieme con le FDS, le forze democratiche siriane, in considerazione del notevole apporto e sacrifici offerti quali alleati nella lunga e sanguinosa lotta contro ISIS.
La mossa americana non è arrivata a ciel sereno, ma come conseguenza più o meno diretta delle dichiarazioni di Putin, fatte poco prima di Natale, e l’annuncio del ritiro delle truppe russe dal teatro siriano dopo la sconfitta dello Stato islamico, anche se resta tutto da verificarne la effettiva entità e tempistica; in effetti sembra una mossa concordata fra Erdogan e Putin per lasciare campo sgombro ai turchi in quella zona del Nord Ovest, per condurre liberamente le operazioni contro i curdi dell’YPG nelle aree circostanti Afrin. Sembra che le unità russe sul campo si stiano effettivamente riducendo anche se continua il supporto aereo, come dimostra il recente abbattimento del Sukhoi-25 ed il massiccio bombardamento seguito contro varie milizie operanti in quel settore. Il ritiro dell’orso russo resta comunque poco credibile e, bene che vada, potrà essere solo parziale e limitato ad alcune zone, visti gli interessi marittimi dominanti dei russi nei confronti degli approdi siriani in Mediterraneo. Putin è un leader troppo “navigato” per lasciare dei sorgitori di strategica importanza per la flotta russa; probabilmente la sua mossa dell’annunciato ritiro delle truppe dal Nord della Siria, al di là di un significato globale sul piano mediatico internazionale, lo farebbe apparire come il “buono” per aver sconfitto ISIS ed ora ancor più, col ritiro delle sue armate,  favorisce la riconciliazione di quel Paese: un’immagine assai favorevole – ammesso che ne abbia bisogno – per le incombenti elezioni presidenziali russe. Ma sotto il profilo più propriamente strategico quella mossa gli consente di affrancarsi, in qualche misura, dalla ingombrante presenza delle truppe degli Ayatollah e dai loro obiettivi assai diversi, se non divergenti per molti aspetti e fini, da quelli russi.
Che, in buona sostanza si focalizzano nel mantenere le basi in Mediterraneo e evitare che si diffonda il terrorismo islamico nel loro Paese, mentre gli iraniani vogliono fermamente consolidare Assad , col suo regime sciita figlio di Teheran, in modo da costituire quell’arco di dominio territoriale geostrategico, nefasto quanto esclusivo e monolitico, che parte dall’Iran ed arriva in Siria, in Mediterraneo, attraverso l’Iraq senza soluzione di continuità, vincendo così la partita del dominio musulmano a carattere sciita sia nei confronti delle controparti sunnite che nei riguardi dei vari aspiranti Califfi, da al- Baghdadi a Erdogan.
L’unico elemento di disturbo in questo disegno ambizioso, ma abbastanza credibile, è costituito dalla spina della roccaforte curda che, quindi, anche per la vision iraniana andrebbe combattuta più o meno apertamente ed annichilita: i curdi si trovano osteggiati da tutti, o quasi, e comunque destinatari di un fuoco incrociato turco-iraniano-siriano ed iracheno. Gli americani, dal canto loro, hanno espresso la volontà di volerli aiutare, seppure in modo “equilibrato” nei confronti dei turchi, visto che sono stati effettivamente i combattenti più affidabili e loro alleati nella lotta anti-ISIS; ciò sottende anche la strategia di costituire nella zona una sorta di cuscinetto, una zona sicura nel confine turco-siriano, un baluardo costituito in prevalenza da curdi e arabi per impedire l’ingresso di affiliati dello Stato islamico. Peccato che la visione turca diverga sensibilmente in quanto considera quell’enclave dell’YPG, una banda di terroristi frammista con gli estremisti del nemico storico PKK, da combattere col “Ramo d’ulivo”e da considerarsi come autodifesa: una scusa ovvia per combattere i curdi con un’invasione del territorio siriano che ha naturalmente irritato non poco il regime di Assad, non proprio favorevole a queste manovre ed infiltrazioni straniere. Mi viene da dire che oggi, pur nella deprecabile dottrina del politically-correct e a fronte della Dichiarazione Universale dei diritti e della autodeterminazione dei popoli nel pianeta, chi tenta – vedasi il Kurdistan e la Catalogna – di far valere le proprie istanze e volontà popolari anche tramite referendum, resta inesorabilmente “fregato” ed inviso ai più. Se rammentiamo tuttavia quello pro-Kurdistan autonomo, ricordiamo anche che ha avuto una schiacciante vittoria, con oltre il 92% dei votanti, malgrado le forti opposizioni dei Paesi confinanti e di altri a livello internazionale; la posizione più intransigente sembrava  quella di al-Abadi, il premier iracheno, ma in realtà l’Iran e la Siria, e soprattutto Erdogan non mollerà facilmente l’osso curdo, anzi: al di là di problematiche e dissidi politico-religiosi, tutti, alla fin fine, vogliono occupare quel territorio e spartirsi il loro petrolio.
Quel plebiscito, nato legittimamente ha illuso i poveri, ma tosti curdi, di aver quasi in mano la loro indipendenza e sta inoltre creando grattacapi e sensibili fibrillazioni fra i diversi “players”regionali e non, esacerbando ulteriormente la stabilità e la sicurezza del teatro mediorientale.

Primo fra tutti è alla ribalta il califfo Erdogan, il sultano -più che presidente- dei turchi; dopo il fallito (e forse inventato) colpo di Stato del 15 luglio 2016 ha condotto una vera e propria epurazione ed arresti che hanno interessato diversi settori della società, dalle Forze Armate ai dipendenti della pubblica amministrazione, dai docenti universitari, agli appartenenti alla magistratura, fino ai media di diverse agenzie di stampa.
Le purghe in atto hanno visto l’arresto di quasi 16000 individui e la rimozione abnorme del personale nella P.A. che supera i 70000 individui con l’accusa, spesso surrettizia per tutti, di avere avuto comunque legami con l’imam Gulen, presunta vera mente del golpe, un magnate in esilio dal 1999 negli Stati Uniti, di cui il Califfo chiede insistentemente l’estradizione.
Erdogan è un leader scaltro e carismatico che manovra e manipola bene il suo popolo; a livello internazionale con una politica estera oculata quanto spregiudicata, ha reso la Turchia una pedina fondamentale nello scacchiere mediterraneo, anche nei confronti del terrorismo e dell’immigrazione, ed uno fra i più potenti e più armati paesi dell’Alleanza atlantica.
Una politica estera che gioca un ruolo essenziale quanto ambiguo nel conflitto siriano, con una mano tesa a favore dei ribelli anti-Assad, ma con atteggiamenti ondivaghi fra le sponde statunitensi e russe; e, paradossalmente, con un piede proteso verso l’Ue ma con più concrete ed opportune connivenze verso i paesi mediorientali che supportano l’ISIS, lo stato islamico (dai paesi del Golfo al Qatar).
Erdogan è colui che aderisce alla coalizione anti- ISIS perché così compiace agli USA ed all’Occidente, ma poi supporta anche economicamente col traffico del petrolio “in nero” il Califfato, e chiude occhi ed orecchi lasciando transitare liberamente alle frontiere i foreign-fighters verso la Siria. E’ il premier che tiene in scacco i vari capi delle nazioni europee, inermi di fronte ad una assente politica comunitaria delle migrazioni, attraverso il contenimento di oltre tre milioni di profughi provenienti dal conflitto siriano: per ora facendosi pagare 6 miliardi di euro, domani ricattandoli in vario modo, pena il rilascio di quella bomba clandestina che invaderebbe l’Occidente con effetti disastrosi. Più che il Presidente di una Nazione che pretende di entrare in Europa, è una sorta di nuovo-califfo ben più potente dello stesso al-Baghdadi, capo del Daesh, basato anch’esso su uno Stato religioso islamico, ma con una notevole differenza: non è considerato un terrorista, e tutti –volenti o nolenti- lo rispettano (o meglio, lo temono…) per il ruolo strategico, politico ed economico che il suo paese gioca nello scacchiere globale; anziché osteggiarlo lo ossequiano, e stendono ipocritamente tappeti rossi per le sue visite (vedasi quella in Italia): in tale contesto è anche il nemico numero uno dei curdi!  Non bastano le flebili parole della Mrs.PESC, la nostra Mogherini, che, in modo risibile e sottovoce nell’affermare il diritto turco a difendere i propri confini e la propria sicurezza(sic!)  prega Erdogan di andarci piano con i curdi a Afrin per evitare il rischio di aprire un altro pericoloso fronte in Siria: l’interesse degli occidentali dovrebbe essere la difesa dei curdi, non fosse altro per motivi di giustizia, ma anche perché bisognerebbe stare sempre dalla parte opposta ad ogni Califfo, che si tratti di al-Baghdadi oppure di Erdogan.
L’azione turca si snoda nel Nord Ovest, fra le città di Afrin e Manbij, per arrivare a occupare pure Idlib; Assad è inviperito per la penetrazione turca, ma lo è assai di più con gli americani per aver invaso parte del suo territorio in appoggio ai curdi e per le loro intenzioni di restarvi per un tempo indefinito.
Il rischio, anche se remoto per la reciproca intolleranza, è che sia Assad che Erdogan potrebbero unire gli sforzi contro i curdi: la Turchia caccerebbe così i curdi e il PKK creando una fascia di sicurezza ai propri confini, mentre Damasco ha tutto l’interesse di cacciarli per la propria unità territoriale…e per mettere le mani sui pozzi petroliferi. E, forse, a godere sarebbe proprio Putin vedendo che, nella forte riduzione delle forze curde, probabilmente gli americani sfilerebbero quel numero assai sparuto di soldati (dell’ordine del migliaio) non essendo particolarmente coinvolti e interessati in quell’area. Tant’è; anche i rapporti fra Erdogan e gli USA sono sempre più tesi per ragioni diverse, fin da quando Obama garantì una zona di sicurezza ai confini con la Siria, senza mai dargli seguito, ma ad aggiungere ira nei loro confronti ha giocato il caso “Gerusalemme” per cui, spesso, oltre a non ascoltarli più, va in senso opposto.
Nei confronti degli occidentali in genere ha diversi assi nella manica: dalla bomba dei milioni di migranti, da vera potenza medio orientale nella NATO, dal ruolo per la stabilità della Libia, dal rubinetto energetico che possiede per il controllo del flusso del gas e, per ultimo non certo per importanza, dal grande business relato al market degli armamenti.    Nonostante le predette considerazioni che possono avere un qualche peso nell’intricata situazione siriana, le soluzioni restano assai problematiche, di lungo termine e di difficile realizzazione poiché tutto è legato a “come” evolveranno le linee di forza in generale in Siria e le decisioni delle grandi potenze. In primis molto dipenderà dal posizionamento degli States e dal loro ruolo nel decapitare definitivamente ISIS; loro probabilmente continueranno ad addestrare e appoggiare l’SDF, le forze democratiche siriane, capeggiate dai curdi del YPG per stroncare definitivamente i terroristi dello Stato Islamico e nel contempo evitare che le forze di Assad occupino e si espandano in quella Regione del Nord Ovest, ma anche in quella residua ai confini con l’Iraq, nel sud-est.
I Russi, insieme con gli iraniani, anche se in tono minore, continuano a supportare Assad, mentre Washington vorrebbe rimuoverlo appena possibile.
E’ probabile che la pedina per trattare le condizioni fra USA e Russia nel campo siriano sia proprio l’SDF che ha attenuato sensibilmente le spinte verso un cambio di regime di Assad, adottando una sorta di “patto di non aggressione”, ma spingendo per una decentralizzazione locale con forte autonomia che, almeno per ora, Assad rifiuta. Anche la Russia potrebbe vedere con un certo favore un accordo con SDF/YPG in quanto le consentirebbe di sfilarsi in misura quasi totale da quel conflitto; con una sorta di pace negoziata fra il regime di Assad e le forze democratiche SDF anche gli USA potrebbero sfilarsi pian piano da quel teatro, sposando in sostanza gli stessi interessi di Mosca. E la partenza dei russi sarebbe assai ben vista da Teheran che avrebbe così mano libera per la “sciitizzazione” di tutta la regione siriana. Gli unici davvero sconfitti da questa ipotetica soluzione sarebbero proprio i turchi che tenterebbero di ostacolare in ogni modo quella presenza autonoma curda e continuerebbero a tartassare il PKK, ma si troverebbero del tutto isolati. Resterebbe irrisolto anche il dilemma russo-americano sul futuro di Assad che Putin vorrebbe tenere, ma non gli States; tuttavia se è vero che Assad nel lungo termine avrà ragione delle diverse opposizioni, è anche probabile che possa addivenire ad una soluzione federalista, a fronte di una sorta di riconciliazione sociale, proprio a beneficio di quelle forze democratiche siriane del SDF, e quindi di una certa autonomia in quell’area curda. Una cosa è certa: sia americani che russi vogliono lasciare quel teatro e per ora, nicchiano e pazientano sugli attacchi di Erdogan – in particolare i russi che detengono là il potere aereo- contro i curdi nella zona Nord Ovest del Paese, ma nessuno – e neppure Assad- potrà accettare il rischio che si apra un nuovo settore di crisi per soddisfare le voglie del Califfo che intende “ripulire la zona fino all’Iraq”.
Erdogan dovrà ripulire la zona combattendo anche contro gli americani che non sembrano intenzionati a abbandonare i curdi al loro destino e, quindi, è possibile che venga ulteriormente isolato sul piano internazionale. Potrebbe essere una delle ragioni della sua visita in Italia?  Speriamo soltanto di non avergli dato corda e non averlo sostenuto nel suo feroce “Ramoscello d’ulivo”.
Gli occidentali, europei in particolare, hanno tutto l’interesse nel rifiutare gli ammiccamenti di Erdogan e dirgli con chiarezza e fermezza che la smetta di fare il dittatorello: non dobbiamo avere alcun dubbio nel sostenere i curdi, sedotti e abbandonati, contro i turchi, poiché sono l’unico vero baluardo per evitare il ritorno di quei tagliagole dello Stato islamico.

Giuseppe Lertora