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Chi non ricorda il mitico Compagno G ? Primo Greganti, proprio lui: il roccioso comunista che, per un’accusa di finanziamenti occulti al partito, scontò in tutto tre anni di carcere, tra detenzione preventiva e pena patteggiata, senza peraltro mai riconoscere alcuna colpa, comunque prosciolto da accuse specifiche di tangenti e corruzione. Greganti fu arrestato nel 1993, quando già da un anno imperversava in tutta Italia la tempesta giudiziaria sull’intreccio tra economia e sistema politico. I partiti tradizionali sarebbero presto caduti come birilli, uno dopo l’altro, nei tribunali e nelle urne. Tranne uno: perché sul conto del PCI nemmeno il travolgente inquisitore Antonio Di Pietro sarebbe riuscito a venirne a capo con elementi sostanziali e risolutivi.

Dopo oltre vent’anni, eccolo lì, sempre sanguigno e tosto. E’ loquace: “Io sarei quello che non parla? Ma se faticano a farmi tacere!” In effetti parla. Di più: parla e scrive bene, con efficacia. Un po’ invecchiato, certo: qualche capello bianco e un serio problema cardiaco. Frutto, chiedo, del noto calvario? Ma no, è la risposta: e lascia correre. Si capisce che detesta il vittimismo. Da tempo, dopo varie iniziative imprenditoriali in Cina e a Cuba, è tornato alle sue radici agricole: fa il contadino e coltiva il suo orto vicino a Torino. L’impressione è di un uomo che non si è mai arreso né ha mai accettato il ruolo di capro espiatorio Tuttora buon cultore dei sacri testi dell’ortodossia ideologica,per quanto un po’ mitigata dalla vulgata berlingueriana, occasionalmente si improvvisa muratore, elettricista e idraulico.

Ma veniamo subito al punto, ovvero i finanziamenti al partito comunista. Come avvenivano? “Il PCI ha sempre fatto della questione morale il suo caposaldo centrale. Quella famosa ‘diversità’ ci veniva riconosciuta da tutti, avversari compresi. I comportamenti erano conseguenti. Qualunque atto amministrativo con sentore di illegalità anche minimo era bloccato in partenza. C’è poi da considerare che non eravamo al potere, e chi cercava favori non si rivolgeva certo a noi, com’è ampiamente risultato dalle inchieste”. Lei, Greganti, faceva parte della segreteria torinese e dell’amministrazione nazionale… “Certo, e posso confermare che i nostri fondi provenivano dalle libere sottoscrizioni, dal tesseramento, dal volontariato e dalle feste dell’Unità.”… e dalla Russia, vogliamo aggiungere? Ride: “Macché! Non che io sappia. Anzi, le dirò di più: quando arrivava la delegazione dei compagni sovietici toccava a noi aiutarli a rendersi un po’ presentabili, magari con qualche paio di scarpe decenti. Piuttosto era l’America che, attraverso la CIA, finanziava gli altri partiti. Com’è poi risultato”.

In generale, comunque, i costi della politica non erano leggeri. Lo stesso PCI si era dato una struttura efficientissima, molto articolata. Greganti risponde rivendicando ancora l’integrità propria e del partito: “Certo. Con bilanci sempre trasparenti e veritieri. Nell’81, solo con la Festa dell’Unità di Torino, realizzammo un miliardo di utile”. Tutto perfetto, dunque, tutto impeccabile? “Ripeto: eravamo i più attenti, i più pignoli. Se un iscritto sbagliava era subito allontanato”.

Ma allora perché se la sono presa con voi? “Dovevano ‘fare cappotto’, nel senso di colpire tutti indistintamente”. E lei, Greganti, come ha vissuto le sue prigioni? “Il carcere è duro. Ognuno lo affronta con i suoi strumenti di difesa. Mi hanno aiutato le mie antiche esperienze di ragazzo povero, quando dormivo sui marciapiedi e mi nutrivo con gli avanzi o i rifiuti del mercato.”

Di Pietro che tipo era? “Ambizioso, presuntuoso e prevenuto. Mi piaceva la sua franchezza”. Per esempio? “Per esempio quando mi diceva: se vuoi tornartene a casa devi dirmi qualcosa che non so…”. Per la verità, obietto, l’ex magistrato recentemente ha avuto parole di autocritica, ammettendo di aver usato spesso le manette a fini politici.: “Infatti. La corruzione era ovunque, e lui ha saputo cavalcarla con abilità.” E qui Greganti butta lì un dubbio: “ln proprio o magari per conto terzi”. Per conto terzi?! Come sarebbe? Che vuole dire? “In Italia tutto stava crollando: proprio l’autodistruzione del capitalismo prevista da Marx.” Cerco di capire, e gli chiedo se il collasso di tutto un sistema potesse dare spazio a qualche “aiutino” dall’estero al pool di Milano, magari per qualche conto in sospeso con l’Italia. Risposta: “Verrebbe in mente il noto episodio di Sigonella, la base americana in Sicilia dove Craxi rifiutò di consegnare all’America di Reagan il terrorista palestinese Abu Abbas”. In questa logica, allora, potremmo considerare le stesse rivelazioni di Andreotti sulla struttura segreta di Gladio, pronta a contrastare un’eventuale presa del potere dei comunisti in qualunque Paese Nato… Congetture? Dietrologie? O qualcosa d’altro? Chissà. Greganti non dice di più. Per chiudere: cos’è stata Tangentopoli per tutti noi? “Un’ondata di furore collettivo che ha stravolto la società, alimentata da una certa comunicazione compiacente. Da quel momento per alcuni il giornalismo è diventato un affare”. Prende congedo: “Vado a curarmi”. E se ne va, con tutto il peso di una vicenda personale e storica che si porterà sempre dentro, ma con la fierezza del buon comunista.

Gian Luca Caffarena