Un Paese inginocchiato che ora, con una svolta dura, reagisce e propone azioni concrete all’Ue

Siamo bersagliati su tutti i media, social compresi, sulle possibili soluzioni del fenomeno migratorio, legittime e più o meno rispettabili, con esperti, grafici e statistiche “ballerine” che comunque ne evidenziano  l’abnorme dimensione spesso declinata e amplificata da una opportunistica semantica elettoralistica; resta il fatto che finora, a meno dell’intervento del Ministro Minniti che ha consentito di ridurre gli arrivi dei migranti sulle nostre coste di quasi l’80%, l’Italia secondo logiche di assistenza totale ed accoglienza supina, ha rappresentato l’approdo più  facile e consueto per tutti quei disperati – legali o meno- provenienti dalle coste del Magreb, e non solo.  Soccorsi ed assistiti dalle Navi della Marina Militare, della Guardia di Finanza, da quelle che fanno parte delle diverse operazioni navali in Mediterraneo, da Mare Sicuro a Triton , ed anche dalle diverse navi mercantili in transito nel Canale di Sicilia secondo un concetto opinabile del soccorso nelle zone di competenza, divenuto ormai sistemico e pre-programmato, mentre dovrebbe trattarsi esclusivamente di situazioni reali di emergenza a seguito di incidenti aerei oppure navali: la situazione è andata aggravandosi anche per la presenza di Navi delle ONG, che, incuranti di ogni regola e spesso colluse con organizzazioni criminali, di fatto operano un soccorso surrettizio e trasbordano i migranti, prelevandoli dalle acque territoriali libiche, sempre e solo verso i nostri porti. Il soccorso, beninteso, dovrebbe essere prestato per quegli eventi reali ed estemporanei, e non pre-programmati, nelle zone SAR (Search and Rescue) di specifica responsabilità dei diversi Stati con il necessario coordinamento delle relative Guardie Costiere. Finora è stato fatto quasi esclusivamente dall’Italia, mentre la bizantina Malta glissa da sempre sia sul soccorso che sull’accoglienza, e l’Europa –dalla Francia alla Spagna, per tacere del resto- non li vuole, né vuole in qualche modo condividerne l’onere ed applica il NIMBY (Not in my back yard- non nel mio giardino) non mancando tuttavia di pontificare e perfino di bacchettarci quando qualcosa non funziona. Spesso si prescinde perfino dalle zone SAR di competenza, di responsabilità specifica; si disconosce lo Stato di Bandiera delle navi soccorritrici, invocando sentimenti umanitari, etici e morali-religiosi che, ancorché rispettabili, ma – pur senza voler essere ipercritici- esulano da una governance laica e pragmatica di gestione del fenomeno migratorio. Anzi, il messaggio che veniva diffuso a livello globale fra coloro che desideravano o erano costretti a migrare dai vari paesi africani, e non solo, era quello di tentare la via verso l’Italia, tanto c’erano le navi –in primis le ONG ma anche quelle della Guardia Costiera italiana –  sempre presenti in zona e soprattutto pronte a prestare soccorso, anche a seguito di una telefonata di chicchessia, per traghettarli in porti sicuri che inevitabilmente si individuavano solo e soltanto nel Belpaese. Un governo che voglia gestire il fenomeno dei migranti senza continuare a subirli bovinamente deve attuare una politica che tenti di risolverli o almeno limitarne gli effetti “terrestri” senza commistioni etiche o moralistiche che afferiscono problemi “celesti”: innanzitutto è necessario che si tuteli il popolo italiano e si tenti di alzare la testa da quell’inginocchiatoio e dalle suppliche improvvide verso l’Ue da un lato, e nei confronti di quella soffocante ed ambigua influenza dell’Oltretevere, mettendo in cima alla lista il Diritto delle genti, i loro bisogni ed il loro comune sentire, dimenticandosi della famigerata dottrina del “politically-correct” e tenendo in debito conto la dignità di un popolo continuamente e tristemente annichilita.    E’ superfluo enumerare i motivi e le ragioni che dovrebbero muovere un qualsiasi governo, purché scevro da lobby legate al business dell’accoglienza tout-court, a mobilitarsi per gestire quel flusso indiscriminato diretto nel nostro Paese; in un lustro abbiamo “accolto” 750.000 migranti da ogni dove, soprattutto africani ma anche pakistani, bangladesi ecc. senza esercitare un minimo controllo sulla loro identità, sull’eventuale diritto al loro ingresso legale quali veri profughi, scordandoci che tra loro c’erano parecchi delinquenti e perfino terroristi dello Stato islamico e “foreign fighters” di ritorno dall’ISIS siriano o iracheno. Ci siamo così abituati ad un degrado nei vari Centri di accoglienza assai più simili a lager ed a un suk nelle nostre città dove ogni nefandezza è tollerata; qualcuno ci raccontava che l’invasione è una risorsa preziosa e quindi un’opportunità per pagarci le pensioni, mentre ci costa circa 5 miliardi di euro l’anno; abbiamo lasciato imbarbarire la nostra società senza alcuna integrazione possibile e lasciando gli ospiti in una indigenza disumana; ci siamo arresi di fronte alle pretese europee che non hanno mai voluto ascoltare le nostre istanze, né condividere il problema, né spartire con noi gli oneri conseguenti; abbiamo “buttato il sangue” usurando oltremodo la nostra Marina non per difendere i confini ma per accogliere gli ospiti e trasferirli da noi; abbiamo assistito a sbarchi di ogni tipo, e riscontrato anche la scomparsa di decine di migliaia di naufraghi, mentre Malta, Tunisia ed altri li respingevano sistematicamente quando non si voltavano altrove quasi ridicolizzandoci; abbiamo assistito alla protervia delle Navi ONG, spesso cani sciolti senza regole, e via dicendo: sembrava ineluttabile e paradossale il nostro destino nonostante numerose voci, fra cui anche quella del Presidente della Repubblica, ci avvertivano che quei flussi non erano più sostenibili nel futuro. Non potevamo pensare di svuotare l’Africa di quelle masse di disgraziati ed ospitarli nel nostro stivale con costi “sociali” e di sicurezza insostenibili, e comunque sempre meno tollerati dal cittadino medio che si vede posto in seconda fila rispetto a questi nuovi venuti, portatori di miserie, di microcriminalità diffusa, insicurezza, malattie e paure; se le colpe da espiare fossero, come sostiene qualche solone, connesse al loro storico sfruttamento nel corso delle occupazioni coloniali dei Paesi europei l’Italia, rispetto ad altri come inglesi e francesi, dovrebbe farsi carico di “spiccioli”, e non certo dell’intero svuotamento del Continente Nero.  Sembra che, finalmente, di fronte a tutte queste ovvie anomalie, il nuovo governo abbia deciso di rialzarsi dal vetusto inginocchiatoio con specifiche prese di posizione nei confronti delle Navi ONG, divenute dei traghettatori di esseri umani dalle coste libiche, vietando loro l’attracco nei nostri porti, ad iniziare con l’Acquarius e proseguire con il Lifeline; in seconda istanza avvisandole che, in caso di SAR nella zona di competenza della Libia, non dovranno più segnalare i casi alla Guardia Costiera italiana, ma all’analoga libica per le azioni di competenza; in terzo luogo ribattendo alle aggressioni verbali di Macron che ci ha definito “cinici e perfino vomitevoli”, con la dovuta fermezza, mentre lui ci dà lezioni umanitarie bloccandoli a Ventimiglia, così come nei confronti delle posizioni levantine di Malta che addirittura ci taccia di infrangere il diritto internazionale, ed in ultimo con una serie di proposte tecniche “multilivello” nei confronti dell’Ue per modificare da un lato i comportamenti troppo auto-castranti dettati dal Trattato di Dublino, e da un punto di vista più strutturale dare attuazione ad una policy europea più equa e giusta per la gestione del flusso migratorio che non può essere assorbito solo, e a scapito, del nostro Paese. Si tratta di una serie di cambiamenti operativi, a cui ne seguiranno altri che renderanno assai più difficile, in primo luogo, l’azione delle ONG in contrasto con l’attività della Guardia Costiera libica competente nella loro zona SAR; cioè costoro forse potranno ancora svolgere quella funzione di pseudo-traghettatori, ma avranno serie difficoltà per il loro trasferimento almeno nei sorg
itori italiani, mentre molto più probabilmente gli scafisti dovranno tornare all’uso dei barconi per coprire la tratta Libia-Lampedusa col rischio di essere intercettati dalla loro Guardia Costiera, oppure dalle varie Unità Navali militari operanti nei vari task Group di fronte alla costa libica.  Qui non si tratta di fare critica o polemizzare con Parigi o La Valletta, ma alzare la voce e rispondere con fermezza a storture gestionali appare sacrosanto perché, a scanso di equivoci e di strumentali semplificazioni, la migrazione è un fenomeno geopolitico e perfino geo-religioso che coinvolge e sconvolge in qualche misura “il villaggio globale” e non solo l’Italia. Ci vuole una strategia collettiva dell’Occidente, e una politica comunitaria in particolare, con una seria “solidarietà ed unità di intenti” che consenta una gestione con forme corrette di governance, avulse da influenze clerico-religiose, nel pieno rispetto delle norme internazionali e dei diritti umani ma scevre da qualsivoglia forma di business, quale derivato da compromessi  di natura politica, o ancor peggio da associazioni che lucrano con approcci criminali su quel traffico di esseri umani: non servono muri materiali e neppure quelli immateriali per la loro gestione, e neppure apparentarsi con forme moderne di populismo, ma la forza ed il coraggio di dare piena ospitalità a chi ne ha diritto e non ad altri. Non siamo nello stato di salute economico, del benessere, e soprattutto della tenuta sociale – che sono fin dall’antichità i presupposti atti ad ospitare senza ostilità locali le migrazioni – per sobbarcarci un’invasione da un Continente che attraverso il Mediterraneo riempie e fa debordare un piccolo Stivale, considerato ipocritamente solo di transito, ma tappato al Nord da Austriaci, Francesi e Svizzeri e che non trova travasi al Sud, dalla Grecia a Malta, fino alla Spagna. Nessuno li vuole e nessuno vuole sentir parlare di ricollocamenti; non c’è che dire: siamo sicuramente in un club di Paesi che sbandierano la fratellanza, l’uguaglianza e la solidarietà, ma appena si passa dal pontificare al fare, a metterli in pratica, si razzola male e quei principi si sciolgono come neve al sole.

Ma allora è giusto che il cerino resti solo e soltanto nelle mani italiche? E noi, non siamo stati troppo ingenui ed euro-entusiasti confidando in un’Europa rivelatasi poi matrigna, concedendo troppo a Macron, dimenticandoci che certe responsabilità istituzionali nella sacra Difesa dei confini, sono prioritarie e sovrane, pur nell’ esigenza di salvare vite umane che spesso surrettiziamente e strumentalmente si dichiarano in emergenza? Se, comunque, fino a ieri la competenza del SAR nell’area libica era devoluta ad altri per ovvie ragioni, oggi con il rafforzamento della Guardia Costiera libica ed il loro consolidamento nell’area SAR, spetta in modo esclusivo ai libici gestire eventuali situazioni di “distress”, avvalendosi dei mezzi e delle procedure che l’Italia ha contribuito ad accrescere, e solo su richiesta specifica le altre Nazioni SAR possono contribuire al soccorso. D’altronde sarebbe paradossale quanto improprio che altre Guardie Costiere che, per definizione, debbono badare agli eventi occorsi in prossimità della costa e non certo nell’Alto Mare, andassero ad invadere zone di responsabilità altrui: bene ha fatto quindi sia il Comando della G.C. italiana, sia ancora più formalmente la Ministra Trenta, a ribadire il concetto che i natanti in “distress” nella zona SAR libica debbono contattare la rispettiva G.C. evitando  di allertare impropriamente quella italiana. Fine, quindi, della commistione fra soluzioni pasticciate del passato nel rispetto del diritto internazionale con una chiarezza di idee e una sufficiente fermezza che travalica quell’accoglienza senza limiti e foriera di tante morti nel nostro mare.   Aver sollevato il caso delle Navi ONG, dall’Acquarius finita poi a Valencia, fino alla Lifeline ancora per mare, nel solco di quanto già iniziato  dal Ministro Minniti, è quanto meno doveroso atteso il fatto che quelle navi soccorrono i migranti senza regole ed in modo illegale, muovendosi in totale anarchia senza riguardo per le norme internazionali, pretendendo anzi di scaricare soltanto nei nostri porti il loro carico umano: ogni Stato ha piena sovranità sui suoi porti ed è nelle sue piene facoltà determinarne la chiusura  e non accogliere un’imbarcazione, soprattutto laddove  sussistano dubbi circa il suo status in merito alle norme del Codice della Navigazione, e sul carico trasportato o traghettato illecitamente.  La decisione di respingere le ONG ha avuto il merito di scatenare un tsunami politico in Europa, ponendo finalmente al centro dell’agenda il problema migratorio, ma solleticando Macron a dure dichiarazioni – proprio il “cugino” francese che continua a bloccare i migranti ovunque, ma con l’occhio attento alla Libia ed al suo petrolio- definendo  ”ciniche ed irresponsabili” le azioni del governo italiano; inoltre quella mossa è servita a chiarire l’inettitudine di Malta sia nel soccorso nella propria, smisurata, area di competenza SAR, sia nell’accogliere i migranti quale “porto più vicino e sicuro” creando situazioni di stallo e indignitose, spesso adducendo a motivi puerili, dettati invece da interessi di bottega (finanziamenti a piene mani dall’Ue per quella smisurata zona SAR).  Non c’è alcun dubbio che quelle energiche iniziative sul fronte dell’immigrazione illegale hanno avuto dei positivi riflessi su diversi fronti; in primis sono riuscite a smuovere le acque ormai divenute “stantie e maleodoranti” accendendo i riflettori sulle Navi ONG, obbligando Malta ad uscire dal proprio guscio, e soprattutto la Ue ad affrontare l’emergenza sbarchi, con le sue contraddizioni ed egoismi non essendo disposti ad accogliere migranti illegali sul loro territorio.  Anche le proposte italiane, finalmente ascoltate, portate sui tavoli di Bruxelles dal premier Conte configurano misure strutturali, a diversi livelli, con un coinvolgimento diretto della Ue, andando altresì a modificare lo stesso Trattato di Dublino, atteso che anche il primo porto di approdo, ancorché in Italia, venga considerato in Europa: una proposta articolata basata sui respingimenti assistiti, aiutando la GC libica nei mezzi e nell’addestramento, in modo che i gommoni ed i barconi siano riportati a Tripoli e controllati dal Centro di assistenza gestito dall’ONU.

Una soluzione auspicata da tempo che ripristinerebbe legalità e controllo lungo le frontiere della Ue, dando una sorta di lasciapassare ai veri profughi per l’ospitalità in Europa, con il rinvio nei Paesi di provenienza di chi non ha alcun titolo legale, né scappa dalla guerra: cioè meno morti per mare, maggior difesa dei confini marittimi, grande rispetto delle norme del diritto marittimo col ripristino dello Stato di Bandiera e recuperata credibilità dell’Italia, ma anche dell’Europa. Di più; esiste un notevole problema di sicurezza connesso con i migranti, il loro mancato controllo, ed i mancati respingimenti: il Parlamento tunisino sostiene che quasi il 70% dei loro compaesani diretti in Italia sono delinquenti cui si mischiano probabili terroristi, e analoga dichiarazione è quella del Presidente della Nigeria che addirittura sostiene che, a suo avviso, il 100% dei nigeriani fuoriusciti sono mariuoli.  Il blocco dei porti alle navi ONG si valuta, quindi, una mossa tattica assai opportuna per sollevare il problema migratorio in generale e a livello geopolitico, ma anche per alzare un giusto polverone nei confronti di quelle navi che spesso vanno a prendersi i migranti nelle acque territoriali libiche, se li travasano, sono foraggiati da elementi “oscuri” e spesso sono “pirate”nel senso che non hanno neppure quelle dotazioni di sicurezza previste dalle norme Solas o IMO, o addirittura battono “bandiere fantasma”: peccati da purgare, quelle navi, ne hanno parecchi e sicuramente vanno riportate alla normalità, anche perché i  loro salvataggi e i trasferimenti dei migranti in Italia raggiungono e superano il 30% del totale.  L’applicazione di quel cd. “Codice di condotta” che ne vietava lo sconfinamento in acque libiche, il travaso dei migranti, lo spegnimento dei transponder e prevedeva la trasparenza nei loro finanziatori e la piena aderenza alle norme delle sistemazioni di bordo, sono misure obiettive difficilmente opinabili, che in prima istanza sono state approvate dall’UE ma rigettate dalle stesse ONG che hanno continuato a fare “i cani sciolti”.   La “trovata” del blocco dei porti per le ONG è stata quindi oculata ed ardita al tempo stesso, comunque necessaria per dare un segnale di insofferenza e per alzare i toni verso la nostra beneamata UE; il messaggio forte e chiaro del Mininterno è stato: l’Italia ha raggiunto il limite, la misura è colma e siamo pronti a respingimenti ed espulsioni; cari Paesi membri è arrivato il momento di rivedere l’assetto delle navi ONG e soprattutto le norme che regolano Dublino, il trasferimento nel cd. “primo porto” ed il ricollocamento dei migranti, e nel contempo le procedure e le finalità di Frontex e della missione Triton, per cui le Navi militari di diversa nazionalità che partecipano a quell’ Operazione, dovrebbero trasferire i migranti nel “porto della bandiera” ovvero nei “porti più vicini e sicuri” che potrebbe essere La Valletta-Malta, Tunisi, Sfax, perfino Tripoli o altri sorgitori, e non sempre e soltanto l’Italia.  Loro, gli europei saranno pure egoisti, ma noi paghiamo gli errori fatti con gli accordi firmati nel 2014 dal nostro Governo pro-tempore all’atto dell’allargamento di Frontex con l’apporto di Navi europee: in quel frangente abbiamo accettato –inginocchiati- il trasferimento in Italia di TUTTI i migranti recuperati nel Mediterraneo: davvero un bel colpo! Quindi nessun ricollocamento nei diversi Paesi, ma una mossa errata, un paradossale accordo o meglio un baratto che poneva su un piatto l’invasione italica dei migranti in cambio di una illusoria flessibilità dello 0,3% dei nostri conti da parte di Bruxelles: un mix esplosivo di “Profughi & PIL” architettato sulla pelle dei migranti e sulle spalle dei poveri italiani, sostenitori ignari della bandiera utopica dell’accoglienza totale. Come potevamo illuderci, anche senza “il senno di poi”, che Paesi mediterranei come la Francia, la Spagna ed altri condividessero in qualche misura le nostre necessità, ed aprissero Shengen anche a migranti incontrollati e illegali? e come potevamo sperare che dai Paesi nordici, dalla Germania e soprattutto dai Paesi dell’ex blocco- sovietico che hanno alzato muri dovunque- e che notoriamente ce l’hanno con gli immigrati- dopo che hanno sviluppato un euroscetticismo contagioso, a partire dalla Polonia, prima Nazione prezzolata dalla UE, potessero venirci incontro?  Potevamo mai aspettarci una qualche condivisione dei nostri sforzi in tema di migrazione restando in ginocchio e solo con le suppliche?    Dopo tante illusioni e tanti pasticci fatti, finalmente qualcosa comunque si muove nella direzione auspicata; d’altronde siamo stati noi italiani ad aprire l’autostrada dei migranti che porta dalla Libia in Italia, addirittura con uno sforzo incredibile della nostra Marina Militare che l’ha svolto con grande professionalità ed abnegazione, e con un flusso che contiene il 95% di migranti non provenienti da zone di guerra e quindi sine-titulo in termini di diritto allo status di rifugiati (dai nigeriani ai bangladesi, agli etiopi…): a conferma dell’appetibilità cresciuta nel tempo, visto che tutti sono salvati ed assistiti dalle navi in zona, risulta che oltre a chi attraversa il deserto per arrivare in Libia, molti –in particolare i bangladesi- raggiungono Tripoli via aerea e poi vengono portati nei centri gestiti dai trafficanti per fare la traversata verso i porti italiani.  Va ricordato che, nonostante la presenza di numerose navi per un improprio, in quanto pre-pianificato, Search and Rescue (SAR) ormai sistemico, negli ultimi tre anni si registrano circa 12.000 morti nelle acque mediterranee: forse fermando prima quei criminali scafisti si potrebbero evitare quelle stragi e, in termini di costi, con un filtro più adeguato fatto a monte, si risparmierebbero molti di quei quasi 5 miliardi di euro, meglio utilizzabili per la situazione dei poveri e dei servizi carenti del nostro Paese.  Pragmaticamente, a fronte della situazione attuale, sono state ipotizzate a suo tempo e ancor oggi si possono proporre diverse soluzioni a seconda della volontà dei nostri governanti, tenuto conto di due fattori essenziali: la possibilità concreta di fare accordi affidabili con il governo libico e, non di minor rilevanza, anche della reale solidarietà a livello UE.

Ipotesi di Costituzione di un Distacco Navale misto Italiano-libico a Tripoli.  Stante l’addestramento congiunto sviluppato nell’ultimo anno fra le due Marine italo-libiche con esercitazioni e specificamente nel SAR, (evitando forze di polizia, GdF, ecc. che irriterebbero l’orgoglio libico..) e tenuto conto degli accordi  stabiliti con Serraj anche in vista del rafforzamento del Centro di coordinamento e soccorso a Tripoli con la formalizzazione della zona SAR di loro competenza in linea con l’applicazione della Convenzione di Amburgo del 1979, è auspicabile che la loro GC eserciti il proprio ruolo, d’ora in poi in modo sufficiente riportando i migranti salvati  in Libia, senza interferenze delle navi ONG come avvenuto finora.  Tuttavia nelle more di un consolidamento dei loro organici, del loro addestramento specifico e dell’arrivo di numerose MM/VV promesse di recente dal Mininterno, si ravvisa – anche per il tradizionale ottimo rapporto di stima esistente da anni fra le Marine stesse- l’opportunità che almeno nel breve-medio termine si attui un pattugliamento congiunto nelle loro TTW al fine di monitorare le eventuali partenze ( da Tripoli, Zuwara e Misurata..) e scongiurare l’innesco di missioni SAR, assistendo i barconi al meglio possibile, ma consegnando i migranti alla GC libica per riportarli, assistendoli, nei porti di partenza. Quindi la consegna al Centro di accoglienza di Tripoli sotto egida ONU o UNHCR, per il controllo della globalità dei migranti, avviando coloro che non hanno titolo all’asilo attraverso l’OMI, organismo internazionale per la migrazione, nei Paesi di origine, mentre i veri rifugiati saranno successivamente inviati in Europa attraverso una specie di “corridoio umanitario”.     Pur consci delle difficoltà nella ricerca di tali accordi, l’ONU dovrebbe farsi carico della questione sia sotto il profilo programmatico che budgettario; con quelle procedure di controllo e riporto si eviterebbero le stragi occorse nelle traversate e, comunque, di abbandonare la totalità dei migranti in balia di organizzazioni criminali, o nei Cara italiani o disperderli nel territorio, dando un messaggio importante che l’autostrada dei barconi verso l’Italia è stata chiusa!  Il modulo proposto, a cui si annette una elevata probabilità di successo, è assai simile a quello sperimentato fin dai primi anni 90, in Albania, quando a seguito della disgregazione balcanica e della guerra kosovara, l’Italia ha dovuto sobbarcarsi l’onere di gestire il flusso in Adriatico: con un distacco a Valona e Durazzo di un Gruppo Navale italiano, costituito da Unità navali MM più il supporto del San Marco, e con la cooperazione della Marina albanese, sotto il Controllo operativo della Squadra Navale italiana, si è costituito il cd. “Comando 28° Gruppo Navale” che ha consentito nell’arco di quasi 10 anni di ridurre il flusso da 50-60000 all’anno, praticamente a zero.  Presupposti fondamentali e fattori pertinenti per questa soluzione: disponibilità del Governo libico ed affidabilità degli accordi, ma anche un supporto delle NU per il Centro di accoglienza. Triton potrebbe anche sciogliersi e le Nazioni potrebbero supportare le esigenze migratorie nell’ambito della cooperazione internazionale, con i conseguenti risparmi. Tuttavia se motivi di ordine politico impongono la continuazione di Frontex, vanno assolutamente modificati gli accordi pregressi che ora prevedono il trasporto dei migranti in Italia soltanto, correggendoli a favore dello Stato di bandiera delle Unità navali militari che soccorrono i migranti, con la corretta previsione del loro trasporto nella Nazione della Bandiera o, al limite, qualora prevalga la soluzione di trasporto “nel porto più vicino e sicuro” bisogna pretendere con fermezza che i migranti soccorsi nelle zone SAR di competenza di Tripoli, Malta, Tunisi, Algeri, ecc, vengano trasportati nei loro porti. Va in ogni caso mantenuta la misura del blocco dei porti italiani nei confronti delle Navi ONG.

E’ giunto, in sostanza, il momento di cambiare rotta, uscire dall’immobilismo e governare il fenomeno diversamente. L’Europa, da cui si attende una risposta decente alle recenti proposte italiane, può fare meglio e molto di più, con una politica coerente e solidale che si esplicita, come ipotizzato, in correttivi strutturali a lungo termine, ma anche con la modifica ai diversi Trattati per renderli più equi nella gestione quotidiana dei flussi migratori.  Senza falsi moralismi bisogna governare il flusso secondo legge, buon senso e solidarietà: quindi sì al soccorso della vita umana in mare, sì all’asilo, ma la gestione degli altri migranti deve soggiacere, quanto meno, a criteri oggettivi e anche soggettivi in base alla sovranità di uno Stato, in termini di sostenibilità, di assimilazione sociale e d’integrazione. Restano ora da attuare le misure di controllo, di contenimento dei flussi migratori, e quindi di un loro giusto governo e gestione, anche a livello europeo, mirando in particolare agli “hot-spot” che, se non sarà possibile crearli in Libia, potrebbero trovare posto nei punti nodali dei Paesi di transito a Sud e ad Ovest della Libia, oppure negli stessi Paesi di origine, con una forte scrematura del numero dei migranti attraverso l’identificazione dei veri profughi. Oppure in alternativa ultima, come proposto dal nostro Premier, con mirati “hot spot” in ogni Nazione europea che potrebbe assolvere agli stessi compiti. Resta il fatto, in definitiva che, essendo la problematica soggetta all’approvazione e condivisione dell’UE, l’intera procedura strutturale è strettamente legata alla solidarietà europea, finora assai latitante, ma che, qualora ancora avversata, potrebbe porre la stessa Unione Europea di fronte ad uno stallo comunitario difficilmente recuperabile: una Nazione, o degli Stati che non riescono a controllare e difendere i propri confini, di fatto, sotto il profilo geopolitico, non esistono.

Giuseppe Lertora