È  stata la crisi politico-istituzionale più lunga in 72 anni di storia  repubblicana: 89 giorni di passione. Altro particolare inedito: i due incarichi  al prof. Giuseppe Conte a 97 ore di distanza tra il primo e quello definitivo. Non solo: “parallelo incaricato” premier di un eventuale governo  tecnico  preelettorale era intanto Carlo Cottarelli, il quale,  per il suo inusitato spirito di servizio, al momento del suo congedo  ha strappato l’unico,  insolito applauso alla platea dei giornalisti in attesa davanti alla porta della Sala della Vetrata del Quirinale sorvegliata dai Corazzieri del Presidente  della Repubblica  Sergio  Mattarella.
Ed è lui, il nostro Presidente formatosi alla famosa e semifamigerata “scuola cattolica”, resa famosa dal lunghissimo romanzo di Edoardo Albinati, vincitore del Premio  Strega  2016, il vero vincitore  e signore di questa bruttissima situazione che sembrava senza via di sbocco, come, gentile Prof. Pinelli, sottolineavamo la settimana scorsa.
È  d’accordo?
“Si, sono d’accordo e posso aggiungere qualcosa a questo quadro dal punto di vista costituzionale. Intanto il carattere di assoluta novità della crisi si può cogliere già dal fatto che il Presidente ha conferito due mandati esplorativi (rispettivamente al Presidente del Senato e a quello della Camera) con indicazione dello schieramento politico su cui la maggioranza avrebbe dovuto reggersi: M5S e centrodestra e M5S e centrosinistra. Finora i mandati esplorativi non avevano mai avuto indicazioni di questo tipo. Evidentemente il Presidente ha ritenuto che fosse opportuno affidare ad altri l’accertamento della sussistenza di maggioranze di quel segno.”
Ma la formazione del governo ha registrato ben altre anomalie.
“Ci arrivo. La maggiore non è nemmeno però quella, da lei prima notata dell’incarico a Cottarelli di fatto risoltosi in una parentesi fra l’incarico a Conte, con successiva rinuncia dello stesso, e la nomina di Conte e dei ministri. L’anomalia maggiore mi sembra rappresentata dalla pretesa della costituenda maggioranza di imporre al Presidente la nomina del Ministro dell’economia (“O Savona o morte”), col risultato, di fronte al diniego del Presidente, di imbastire un’incredibile gazzarra dei suoi due interlocutori politici, fino alla minaccia di Di Maio di messa in stato d’accusa del Presidente. Finora, i dissensi fra Capo dello Stato e Presidente del Consiglio sulla nomina dei ministri si erano sempre risolti a porte chiuse. Ma il fatto che dissensi ci siano stati più volte, e che si siano spesso risolti con l’accettazione della soluzione offerta dal Presidente della Repubblica non cessa per questo di essere molto importante per comprendere l’accaduto.”
In che senso?
“Nel senso che l’art. 92 della Costituzione, secondo cui «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e su proposta di questi i ministri», affida al primo un potere che è sì finalizzato al raggiungimento dell’obiettivo di ottenere un governo in grado di riscuotere la fiducia delle Camere, ma che può tenere conto di altre circostanze che chiamano pur sempre in causa l’apprezzamento del Presidente della Repubblica.”
E questo è appunto il caso Savona…
“E già. Non per una ma per due ragioni. La prima, più nota, riguarda il fatto che il solo annuncio della nomina dell’autore di un piano B di uscita dall’euro aveva fatto salire lo spread di 80 punti: era ragionevole pensare che la nomina dello stesso avrebbe aumentato ancora di molto quel differenziale. Il che chiamava direttamente in causa l’esigenza di tutela del risparmio degli Italiani intestata alla Repubblica dall’art. 47 Cost., cui il Presidente non può certo ritenersi estraneo. Aggiungo una seconda ragione che finora non è emersa. Ammettiamo che le elezioni si fossero svolte intorno alla questione dell’uscita dall’euro, e che esse avessero premiato le forze politiche favorevoli a tale soluzione. In questo caso il Presidente non avrebbe avuto scelta: avrebbe dovuto nominare un governo e un ministro dell’economia conforme a questo orientamento. Le cose però non sono andate assolutamente cosi. Anzi, per tutta la campagna elettorale, Di Maio si è sbracciato a sostenere la piena adesione all’euro. Salvini, pur con toni aggressivi verso i  mercati e la guida tedesca dell’UE, si è guardato dal sostenere l’uscita dall’euro. Gli elettori di questi due partiti, che i loro capi continuano a definire “popolo”, come se il restante 49% fosse costituito da élites, non si erano dunque minimamente pronunciati sulla questione. Che si è posta solo a distanza di circa tre giorni dal previsto incontro al Quirinale per la nomina dei ministri, con l’improvviso lancio della candidatura di Paolo Savona. Queste erano le condizioni effettive in cui si è trovato Mattarella. Altro che dittatura dello spread. Il fatto è che il famoso popolo non era stato proprio sentito. E quando, nei giorni successivi, si è fatto sentire, anche chi aveva più insistito su Savona all’economia ha dovuto fare marcia indietro.”
Non pensa che il Prof. Giuseppe Conte, stretto fra Di Maio e, soprattutto, Salvini, sia come un vaso di coccio in mezzo a due vasi di ferro?
“Vedremo. Certe volte l’istituzione ricoperta trasforma gli uomini. Ma ammettiamo che ciò non avverrà. Allora sicuramente avremo grossi problemi soprattutto sul piano internazionale ed europeo tutte le volte in cui il Presidente del Consiglio si trovi a decidere da pari a pari coi suoi omologhi. 
Che succederà in questo caso? É pensabile un Presidente del Consiglio che chiede una pausa ai colleghi per telefonare a Roma? Speriamo bene.”
Giancarlo De Palo