Le infelici affermazioni del Capo dell’Aeronautica al primo convegno sull’argomento.
Se è vero che ormai nulla succede che non venga diramato sui social di tutto il mondo con commenti spesso fuori dalle righe e anche di cattivo gusto, a prescindere dai fatti, è altrettanto vero che certe notizie non “fake”, perché riportano video e audio incontestabili, viaggiano nel web con la velocità della luce, lasciando spesso di stucco l’opinione pubblica, ma servono a qualificare l’autore o il mittente in generale, in particolare se si tratta di una figura istituzionale a capo di una grande organizzazione.
Con mugugni palesi e incredulità degli astanti, innanzitutto fra la compagine militare dirigenziale presente all’evento, ma anche con amplificazione sui media e su alcuni blog, il Capo di Stato Maggiore dell’AMI, Top o Key speaker della giornata dedicata alla “Formazione alla leadership” nonché promotore del convegno, prima di affrontare il tema specifico della leadership, è stato l’artefice di una balzana “uscita” o meglio di uno sproloquio incredibile fuori tema per cui, quasi in risposta a precedenti interventi di Capi d’industria, arrivava a dichiarare che “io non posso licenziare, ma se potessi saremmo molti meno in questa stanza”, con effetti disastrosi sulla leadership e sul morale del personale del tutto ingiustificati e comunque fuori luogo. Non c’è che dire; un intervento che definire “fuori dal vaso” è un mero eufemismo! Al di là, poi, della opportunità e del buon senso nel denunciare certe situazioni che dovrebbero essere note e correggibili – se del caso – proprio dall’autore stesso, appare quasi paradossale e incredibile che quelle deteriori considerazioni, fatte non da un “giovine ufficiale” ma da uno con la “greca”, abbiano fatto parte della prima conferenza nazionale sulla leadership, argomento centrale del relativo convegno tenuto a Firenze, alle scuole dell’AMI: i dirigenti ed i Comandanti presenti, increduli ed amareggiati si aspettavano ben altro. Eppure c’era lo spazio e il contesto per motivare al meglio i dirigenti presenti, per “caricarli” postulando concettualmente i valori da perseguire e indicando almeno la formazione per acquisire una specifica e definita tipologia di leadership, fra le molteplici esistenti, ma anche evidenziando con precisione, sulla base dei vissuti e della notevole esperienza, le caratteristiche ed i momenti nodali che il Capo di una FA pretende di riscontrare nei suoi Comandanti, nel management prima e, successivamente, nella leadership. Personalmente sono dell’avviso che, oggi, per integrare la figura di un vero e moderno leader, certe doti carismatiche insite e connaturate con l’individuo, nel proprio DNA e le esperienze operative e professionali, se non finalizzate, siano comunque condizioni necessarie ma non del tutto sufficienti. Ciò è tanto più vero quando si tratta di individui appartenenti ad organizzazioni ed aziende particolarmente ampie ed articolate, nella fattispecie le FFAA, in cui è necessario spalmare nel tempo e capitalizzare le occasioni formative, soprattutto i momenti di Comando e direzione, tipici ed emblematici di una concreta leadership, valutando accuratamente le capacità espresse e i risultati, giudicandone con rigore ed obiettività i meriti acquisiti per svolgere al meglio incarichi superiori in modo da costruire, così, il giusto profilo dei futuri dirigenti. Specificamente il processo formativo dei leader non può prescindere da quel mix essenziale e di base, di stampo mazziniano, fatto di Istruzione e di Educazione intese nel senso etico più ampio, né di quella continuità nel tempo e coerenza, per migliorarne le skills professionali, di carattere ed umane che gli consentono di crescere nelle capacità dirigenziali in termini di comando e controllo delle attività proprie, e di conseguire i risultati attesi e gli obiettivi connessi con il proprio ruolo: oltre alle capacità di manager, tipiche del Capo di un’azienda civile e valutato sostanzialmente in base al profit, il leader deve poter altresì esprimere un’etica solida del tutto emulabile ed il conseguimento di risultati, magari meno tangibili e quasi immateriali, ma che debbono servire a motivare e trascinare i dipendenti, guadagnarne la stima incondizionata, del tutto indispensabile se, nel futuro, quel Capo si trovasse a dar ordini e guidare la sua gente in guerra. In altri termini il vero leader deve poter esprimere insieme alle indiscusse capacità manageriali, risultati e obiettivi riconosciuti in alto, ma soprattutto dal basso, per i contenuti di etica, di personalità esemplare, di capacità eminenti di “problem solving” integrate da una acclarata dote ideativa e creativa, senza mai venir meno a quelle qualità di buon senso, di equilibrio e di stile che lo devono sempre accompagnare e, in sostanza, tipizzare. Il Capo militare arrivato comunque al Vertice, a prescindere dai meriti, capacità e leadership posseduti, deve essere inoltre estremamente accorto nel comunicare con la propria gente; la sua parola è il “verbo” atteso dai suoi dipendenti ed in certi casi ha più valore della “spada” nel senso che è uno strumento prezioso per comunicare il proprio pensiero e la propria vision e per rafforzare la leadership dei singoli astanti, ma può essere anche un’arma a doppio taglio, uno strumento demolitore se viene detta o percepita malamente in quanto può soffocare la motivazione e la spinta ideale del singolo, con una drammatica cesura nella coesione e nel morale del gruppo. Bisogna essere chiari; qui non si vuole statuire che il leader possa crescere e formarsi solo con gli apprezzamenti ed i toni mielosi, ma piuttosto con il criterio sempre valido della “carota e del bastone” che prevede anche sane arronzate fatte e date però con stile e grande rispetto, e con richiami personali che non debbono ledere mai la personalità individuale; quei richiami corali fatti pubblicamente – specialmente alla presenza di civili, come in un convegno- servono invece a creare acrimonia e sfiducia nei presenti, e non certo costituiscono un qualche valore aggiunto alla formazione della leadership.
Significa, in buona sostanza, una mancanza di tratto e di tatto, di buon senso e etica che dequalificano irrimediabilmente la figura di un Capo. Aveva certo ragione Einstein quando, a proposito del buon senso, sosteneva di avere ancora dubbi sull’infinito – che tuttavia aveva brillantemente risolto con le sue scoperte sulla relatività- ma soprattutto sulla stupidità umana che restava, anche per un genio come lui, un’incognita incomprensibile assai più dell’infinito, dell’atomo e del creato : l’intervento del Capo dell’AMI, così atteso dai propri dipendenti e dai Comandanti, nel denotare una totale mancanza di leadership, sembra collocarsi piuttosto nell’incognita einsteniana. Quali le considerazioni nel merito di quelle dichiarazioni?
La prima, immediata, è quella che gran parte della gente dipendente non è meritevole; molti si grattano la pancia, con eccedenze ingiustificate di personale: un colpo ferale ai suoi ranghi ed alla formazione dei futuri leader che ne sono usciti col morale a pezzi, increduli ed offesi al tempo stesso nella loro dignità.
La seconda considerazione è che quel messaggio ardito e sconsiderato al tempo stesso, non aveva lo scopo di richiamare i limiti della sua capacità di licenziare la gente non meritevole (anche se trattandosi di una struttura gerarchico-militare molto si può fare in tal senso), quanto –presumibilmente- quello di lanciare un segnale surrettizio al politico che lui ha tutta l’intenzione di tagliare gli organici delle FFAA, anche a partire dalla propria, allineandosi ai contenuti del famigerato Libro Bianco: una sorta di anticipazione subliminale di tagli di personale e di budget che fanno piacere a qualunque politico e che postulano sotto sotto la sua nomina futura a Capo della Difesa. Che, per inciso, a prescindere dai vari rituali e manuali Cencelli, e senza vittimismi, dovrebbe andare appannaggio di chi, fra i vari Capi delle FFAA, dimostra maggiore talento, meriti, equilibrio e leadership.
La terza considerazione contenuta in quella frase infelice può scaturire da una vera realtà; in effetti è abbastanza noto agli addetti ai lavori che l’AMI ha una certa eccedenza negli organici per i compiti ed il ruolo svolto ed in rapporto ai velivoli disponibili; un confronto oggettivo fa rilevare che per la gestione di un velivolo – anche nei rischieramenti in teatro- vengono inviati dai 30 ai 40 militari, mentre per esempio, per i velivoli dell’Aviazione navale della Marina, sia aerei che elicotteri, tale rapporto si attesta ad un terzo, a parità di output operativo. In sostanza quelle dichiarazioni sembrano confermare, al di là di posizioni di parte, autoreferenziali quanto vittimistiche, di ipotesi di “complotti” supportate con stigma inusitata perfino da comunicati del corrispettivo COCER, che da un lato c’è stato un intervento del tutto errato e, dall’altro che gli organici degli aeronaviganti e specialisti dell’AMI sono esuberanti per i compiti istituzionali svolti (mentre quelli della Marina ad esempio, improntati da sempre alla sobrietà, al sacrificio ed al silenzio sono del tutto striminziti ed inadeguati per gli onerosi compiti che quotidianamente svolge) : tali aspetti, portati alla ribalta in modo incidentale, dovrebbero essere quindi oggetto di una approfondita ed onesta analisi, scevra da pregressi condizionamenti e senza scatenare la solita “lotta fra poveri”, per le determinazioni della neo-ministra Trenta e le necessarie valutazioni e decisioni sia per gli assetti organici delle diverse FFAA, sia per le eventuali future nomine di Vertice.
Sorvolando sugli eventi-incidenti occorsi, siccome il convegno era mirato alla Leadership ed alla sua formazione, il tema suscita e merita alcune riflessioni accademiche e esperienziali. Da noi il meccanismo di formazione della classe dirigente si è rivelato inceppato, in generale, fin dalla scuola sempre più liceizzata che tende a non sviluppare competenza, né responsabilità, né un sistema meritocratico che si possa contrapporre al modello dominante della “corte” la cui regola è l’ossequio, oppure a quello del clan la cui regola è la fedeltà: la realtà della nostra classe dirigente è questa, che piaccia o meno, sempre alla ricerca di una legittimazione basata sul consenso piuttosto che attraverso i meriti e la concreta espressione di una forte e riconosciuta leadership. Per fortuna nell’ambito militare le cose stanno un po’ diversamente; per accedere a ruoli istituzionali via via crescenti bisogna, un po’ come ai tempi dei Romani con quel “cursus honorum”, avere alle spalle un preciso percorso formativo, una carriera definita e in crescita sotto il profilo meritorio, ed aver quindi dimostrato di possedere quelle qualità di guida e di carattere adeguate per salire nei ruoli successivi apicali. Ma va anche riconosciuto che, spesso, alla meritocrazia in senso stretto ed alla leadership, il sistema valutativo finisce per premiare –soprattutto nelle posizioni di Vertice- l’anagrafe insieme con l’appartenenza ad un clan fideistico, piuttosto che basarsi sulle reali capacità e sul talento dell’individuo ( in tal senso la legge di avanzamento 490/97 è paradossalmente illuminante!). Tralasciando, per ora, i problemi normativi e valutativi attuali, la domanda è: “Come” formare allora i leader militari?
Nella formazione dedicata alla costruzione del leader devono essere prioritariamente valorizzati, fin dall’inizio, quei riferimenti sacri dell’ ’essere’ (figura dell’uomo e del Militare, poi del professionista), dell’etica ( o meglio, oggi, delle etiche) nell’intrinseco significato del ‘dover essere’, lo spirito di sacrificio che va oltre quello di servizio, e le doti espresse nella conduzione delle risorse umane. La meritocrazia non può basarsi sulle esteriorità, né sugli apparentamenti; a fare la differenza debbono essere, oltre gli atti particolari di alto rischio o di eroismo, i periodi di attribuzione di Comando, la leadership dimostrata in eventi non comuni, i reali risultati ‘straordinari’ conseguiti e non solo quelli che deontologicamente ci si aspetta da un Comandante nell’assolvimento di una missione operativa. Di più, oggi bisogna ben valutare in modo combinato oltre a quel fondamentale complesso di doti e valori, il comportamento etico e la capacità di leadership dell’individuo, ma anche le risultanze della missione , non solo in termini di professionalità e di successo militare dell’operazione, ma per i riflessi e le possibili conseguenze anche nel contesto più ampio socio-politico-diplomatico, cioè multilaterale, che la missione provoca. Il comportamento e le risultanze etiche a tutto campo, devono integrare cioè i risultati strettamente deontologici ; non basta più una professionalità altamente efficace, ma il Comandante deve essere ben conscio e porre la massima attenzione alle conseguenze ‘allargate’: la valutazione meritocratica deve tener conto della capacità di esprimere i valori complessivi attraverso tutti i risultati e gli effetti inerenti alla specifica missione. La formazione alla leadership del militare deve poter riscontrare sempre un giusto equilibrio fra l’istruzione e l’educazione, fra l’autorevolezza e la comprensione ponendo sempre la massima attenzione alla centralità della risorsa umana, ai suoi valori, al suo carattere, alla sua esperienza, alle sue capacità adattive ai nuovi ambienti e scenari operativi, alla sua motivazione e solidità psicologica.
E la leadership, quale peso reale ha nelle valutazioni in termini di meritocrazia nel nostro attuale sistema? Cioè la valutazione meritocratica, che nello specifico status di militare e ancor più di Comandante, dovrebbe derivare dalla capacità di leadership del soggetto a motivare e ben gestire i propri dipendenti, di farne condividere la ‘ vision’ e di assolvere poi, la ‘mission’, tiene effettivamente conto , comparando i valori di ogni sfaccettatura, della reale capacità di leadership? Ahimè spesso non esiste una reale correlazione ma una vera e propria mistificazione del concetto di leadership in rapporto alle valutazioni sull’avanzamento scordando anzi l’innegabile valenza che dovrebbe avere nel sistema premiante e meritocratico. L’esempio comportamentale è certamente un prerequisito per un buon leader che deve distinguersi per la sua motivazione, dedizione, convinzione e per la sua personalità ; sa prendere decisioni ed ha il coraggio di fare ciò che ritiene giusto e corretto e lo pretende dai sottoposti, creando la consapevolezza e l’ atmosfera più adeguata per generare idee e liberare la creatività dei collaboratori, pur nel rispetto delle gerarchie. Percepisce ed interiorizza il senso più profondo della lealtà, anche se talvolta ciò può significare esprimere pareri discordanti con i superiori; sa essere amico, giudice e tutore, ove necessario; coltiva ed accresce la sua motivazione e quella dei suoi colleghi ; è persona capace di affrontare e risolvere razionalmente i problemi, non solo teorici, ma è elemento trainante e di azione. Il buon leader militare deve intimamente poter risolvere, con equilibrio, buon senso, e positività il paradosso emblematico che caratterizza la stessa leadership di alto profilo: compiere fino in fondo la missione assegnata, curandosi con scrupolo della propria gente, tutelandola. A nulla servono le parole se non accompagnate dall’esempio, così pretendendo dagli altri ciò che il leader pretende autenticamente e senza demagogia da sé stesso; se no ci sarà -forse- obbedienza supina, ma non ci sarà rispetto, ne’ ci sarà seguito spontaneo, ma ‘spintaneo’. Ma, più di tutto, il leader deve possedere carattere e grande onestà; chi non rispetta il superiore è a sua volta non rispettato dagli inferiori, poiché se l’onestà può essere contagiosa e diffondersi, a maggior ragione la disonestà e la slealtà, spesso più facile da applicarsi e con ritorni personali. I tratti salienti del carattere devono essere ben individuabili e apprezzati, e debbono essere sostanziati con particolare enfasi nella specifica valutazione del coraggio morale e fisico, da cui deriva come conseguenza naturale, rispetto e stima autentica. Non si può essere un vero leader se non si coltiva l’etica, il senso autentico di responsabilità, il gusto, oltreché il coraggio, della decisione , se non ci si impegna pienamente per costruire e sviluppare quei valori orientati a far capire il senso e lo scopo delle missioni richieste, nell’ ottica di migliorare la qualità di vita del proprio personale ed il rendimento dell’ organizzazione. Non è più sufficiente avere doti innate di grande personalità e carisma, ma più recentemente è emersa una nuova concezione di leadership ove, invece di imporre una autorità assoluta, un buon leader deve sforzarsi di comprendere i valori del team e le opinioni dei propri sostenitori, comprese le frustrazioni, stabilendo con essi un dialogo produttivo per una maggiore consapevolezza dei ruoli e delle azioni da porre in essere per il migliore risultato. Quindi la leadership è la capacità di dare forma a ciò che i sostenitori vogliono realmente fare, non con la conquista della loro chiusa obbedienza – punendoli o premiandoli- , ma invece con la collaborazione ed il sostegno dei sottoposti : cioè , in altri termini, il leader deve essere riconosciuto e rispettato come capo carismatico, tanto più se riesce a collocarsi non al di sopra , in modo aprioristico, ma all’interno del gruppo, realizzando una identità sociale condivisa. Se è vero che l’ origine del potere di un leader sta in larga misura nell’ autorità gerarchica conferitagli dall’ organizzazione – tipico esempio è il campo militare- e da parte sua il leader deve possedere capacità professionali, qualità intellettuali, attitudine a incentivare relazioni interpersonali, oltre ad altre caratteristiche quali fascino personale, senso dell’ umorismo e determinazione , è essenziale altresì che abbia una specifica qualità di equilibrio quale “ la coscienza del proprio potere” per ben gestire la propria ‘vision’, creare dei sistemi efficienti e calibrati e condurre , senza narcisismi, i dipendenti alla conquista dei comuni obiettivi. Riferimenti a codici etici ben definiti e poco mutevoli o trattabili, volontà nel discriminare i valori autentici da quelli apparenti, individuazione dei veri leader con sane competizioni in un sistema trasparente e cooperativo, sistemi formativi e valutativi coerenti ed adattati alle nuove realtà operative ed alle situazioni incerte, importanza dell’ etica vs l’estetica, valenza della valutazione psicologica con ascolto ed osservazione dei soggetti e degli eventi, sono aspetti e ricerche meritevoli di ulteriori approfondimenti , così come una diversa e più concreta attribuzione e graduazione del sistema premiante : essi possono costituire , in modo integrato, un nuovo modello di governance e di leadership. La leadership esercitata, dunque, da un Comandante, è decisamente diversa da quella ‘civile’, poiché si basa quasi esclusivamente sulla motivazione del personale e solo marginalmente sulla gratificazione, sostanziandosi in sistemi premianti immateriali ( non ci sono profit ,ne’ ritorni economici se la mission ha successo), e pertanto più complessi e meno tangibili, fulcrati sulla azione persuasiva del personale. Proprio per questo le attribuzioni di Comando e di responsabilità diretta devono avere un peso valutativo più elevato di altri meno impegnativi e meno rischiosi, compresi quelli di staff; la disponibilità ad assumere Comandi operativi, ove sussistano criteri di non mandatorietà per la carriera, deve trovare una risposta coerente in termini di riconoscimento meritocratico, rispetto a coloro che, talvolta per convenienza o per indisponibilità di vario genere, fanno di tutto per eludere tali carichi di responsabilità, di superiore sacrificio e di impegno. Incarichi molteplici e diversificati, qualora svolti in modo efficace, compresi quelli internazionali, devono costituire specifico motivo di merito, al di là di eventuali riconoscimenti formali o ricompense (encomi ed elogi ) che, soprattutto negli ultimi tempi hanno subito una inaccettabile inflazione, che comunque alla fine contano
. A livello medio –alto, quando impiegati in ruoli dirigenziali, deve essere primariamente considerato il contributo dato all’ organizzazione in termini di ‘cose fatte’ o ‘ non fatte’, valutando con coscienza prima di tutto l’impegno, l’ingegno, la creatività ed il coraggio di ‘fare’ e la disponibilità; si verifica talvolta che alcuni, soprattutto in periodi di Comando o Direzione, anziché mostrare la loro capacità di fare, di essere pro-attivi, adottino comportamenti di basso profilo, facendo il minimo essenziale , vivendo di rendita magari dalla loro posizione in graduatoria, o addirittura da quella dell’Accademia, che troppo spesso è monolitica e pressoché immutabile nel corso degli anni , con incidenza diretta sulla motivazione del personale. Tali Ufficiali che difettano nell’etica della assunzione di responsabilità, preoccupandosi solo di galleggiare ed evitando accuratamente le situazioni di rischio, vanno severamente valutati perché deleteri per l’ intera organizzazione: bisogna che le loro carriere subiscano una decisa inversione, rispetto a quei Comandanti che con onestà intellettuale e concreto impegno, invece, fanno il loro dovere ‘senza fare fumo.
Certo è che in questo periodo di cambiamenti e trasformazioni tutte le organizzazioni hanno sempre più bisogno di veri leader per rafforzarne l’identità, motivare le persone, sviluppare il senso di appartenenza e migliorare le capacità di fare sistema: si può ben affermare che maggiori sono le incertezze e le crisi, più forte è la domanda di leadership.
Allora, e anche per evitare eventuali derive, dobbiamo annettere un grande valore alla leadership dei nostri Ufficiali e riconoscerne con concretezza i meriti (o i demeriti), capire chi ha una ‘vision’ e chi non ce l’ha, chi assolve bene la ‘mission’ motivando i dipendenti e chi invece ‘galleggia’ , chi pensa agli interessi personali e chi opera invece identificandosi con il sistema per il bene collettivo, chi fa teatro e fumo da quelli che fanno i fatti, chi ha coraggio delle proprie convinzioni da chi invece è capace di vendere solo le idee degli altri, chi svolge incarichi opzionali di Comando e chi invece cerca le nicchie di comodo o fa il consigliere senza mai rimetterci nulla di suo, chi dà sempre la propria disponibilità anche per incarichi pesanti e chi si defila elegantemente , chi lavora avendo a mente il mero risultato della missione da chi tiene conto degli effetti omnicomprensivi, e via dicendo.
In conclusione, se abbiamo ancora qualche dubbio sulla esistente corrispondenza funzionale fra leadership e meritocrazia e, quindi, sull’incidenza nella carriera di un Ufficiale, dobbiamo consapevolmente mettere in atto quelle modifiche e quegli accorgimenti affinché sussista – ed in maniera forte- quel legame, essendo autenticamente convinti che il sistema valutativo si debba incentrare sulla leadership e che la stessa debba essere ben “formata” per avere un valore determinante sul sistema premiante.
Per identificare e qualificare il vero leader non ci sarebbe bisogno di scomodare le Sacre Scritture, né andare a riscontrare l’uso o l’abuso dei “talenti”; basterebbe soddisfare una domanda che spesso sale dalla propria gente: con quel Comandante andresti in guerra? La risposta corale potrebbe essere la più corretta e pragmatica valutazione di merito della sua, posseduta o meno, leadership.
Giuseppe Ligure