Le infelici affermazioni del Capo dell’Aeronautica al primo convegno sull’argomento.

Se è vero che ormai nulla succede che non venga diramato sui social di tutto il mondo con commenti spesso fuori dalle righe e anche di cattivo gusto, a prescindere dai fatti, è altrettanto vero che certe notizie non “fake”, perché riportano video e audio incontestabili, viaggiano nel web con la velocità della luce, lasciando spesso di stucco l’opinione pubblica, ma servono a qualificare l’autore o il mittente in generale, in particolare se si tratta di una figura istituzionale a capo di una grande organizzazione.
Con mugugni palesi e incredulità degli astanti, innanzitutto fra la compagine militare dirigenziale presente all’evento, ma anche con amplificazione sui media e su alcuni blog, il Capo di Stato Maggiore dell’AMI, Top o Key speaker della giornata dedicata alla “Formazione alla leadership” nonché promotore del convegno, prima di affrontare il tema specifico della leadership, è stato l’artefice di una balzana “uscita” o meglio di uno sproloquio incredibile fuori tema per cui, quasi in risposta a precedenti interventi di Capi d’industria, arrivava a dichiarare che “io non posso licenziare, ma se potessi saremmo molti meno in questa stanza”, con effetti disastrosi sulla leadership e sul morale del personale del tutto ingiustificati e comunque fuori luogo.  Non c’è che dire; un intervento che definire “fuori dal vaso” è un mero eufemismo! Al di là, poi, della opportunità e del buon senso nel denunciare certe situazioni che dovrebbero essere note e correggibili – se del caso – proprio dall’autore stesso, appare quasi paradossale e incredibile che quelle deteriori considerazioni, fatte non da un “giovine ufficiale” ma da uno con la “greca”, abbiano fatto parte della prima conferenza nazionale sulla leadership, argomento centrale del relativo convegno tenuto a Firenze, alle scuole dell’AMI: i dirigenti ed i Comandanti presenti, increduli ed amareggiati si aspettavano ben altro. Eppure c’era lo spazio e il contesto per motivare al meglio i dirigenti presenti, per “caricarli” postulando concettualmente i valori da perseguire e indicando almeno la formazione per acquisire una specifica e definita tipologia di leadership, fra le molteplici esistenti, ma anche evidenziando con precisione, sulla base dei vissuti e della notevole esperienza, le caratteristiche ed i momenti nodali che il Capo di una FA pretende di riscontrare nei suoi Comandanti, nel management prima e, successivamente, nella leadership. Personalmente sono dell’avviso che, oggi, per integrare la figura di un vero e moderno leader, certe doti carismatiche insite e connaturate con l’individuo, nel proprio DNA e le esperienze operative e professionali, se non finalizzate, siano comunque condizioni necessarie ma non del tutto sufficienti. Ciò è tanto più vero quando si tratta di individui appartenenti ad organizzazioni ed aziende particolarmente ampie ed articolate, nella fattispecie le FFAA, in cui è necessario spalmare nel tempo e capitalizzare le occasioni formative, soprattutto i momenti di Comando e direzione, tipici ed emblematici di una concreta leadership, valutando accuratamente le capacità espresse e i risultati, giudicandone con rigore ed obiettività i meriti acquisiti per svolgere al meglio incarichi superiori in modo da costruire, così, il giusto profilo dei futuri dirigenti.   Specificamente il processo formativo dei leader non può prescindere da quel mix essenziale e di base, di stampo mazziniano, fatto di Istruzione e di Educazione intese nel senso etico più ampio, né di quella continuità nel tempo e coerenza, per migliorarne le skills professionali, di carattere ed umane che gli consentono di crescere nelle capacità dirigenziali in termini di comando e controllo delle attività proprie, e di conseguire i risultati attesi e gli obiettivi connessi con il proprio ruolo: oltre alle capacità di manager, tipiche del Capo di un’azienda civile e valutato sostanzialmente in base al profit, il leader deve poter altresì esprimere un’etica solida del tutto emulabile ed il conseguimento di risultati, magari meno tangibili e quasi immateriali, ma che debbono servire a motivare e trascinare i dipendenti, guadagnarne la stima incondizionata, del tutto indispensabile se, nel futuro, quel Capo si trovasse a dar ordini e guidare la sua gente in guerra.  In altri termini il vero leader deve poter esprimere insieme alle indiscusse capacità manageriali, risultati e obiettivi riconosciuti in alto, ma soprattutto dal basso, per i contenuti di etica, di personalità esemplare, di capacità eminenti di “problem solving” integrate da una acclarata dote ideativa e creativa, senza mai venir meno a quelle qualità di buon senso, di equilibrio e di stile che lo devono sempre accompagnare e, in sostanza, tipizzare. Il Capo militare arrivato comunque al Vertice, a prescindere dai meriti, capacità e leadership posseduti, deve essere inoltre estremamente accorto nel comunicare con la propria gente; la sua parola è il “verbo” atteso dai suoi dipendenti ed in certi casi ha più valore della “spada” nel senso che è uno strumento prezioso per comunicare il proprio pensiero e la propria vision e  per rafforzare la leadership dei singoli astanti, ma può essere anche un’arma a doppio taglio, uno strumento demolitore se viene detta o percepita malamente in quanto può soffocare la motivazione e la spinta ideale del singolo, con una drammatica cesura nella coesione e nel morale del gruppo.  Bisogna essere chiari; qui non si vuole statuire che il leader possa crescere e formarsi solo con gli apprezzamenti ed i toni mielosi, ma piuttosto con il criterio sempre valido della “carota e del bastone” che prevede anche sane arronzate fatte e date però con stile e grande rispetto, e con richiami personali che non debbono ledere mai la personalità individuale; quei richiami corali fatti pubblicamente – specialmente alla presenza di civili, come in un convegno- servono invece a creare acrimonia e sfiducia nei presenti, e non certo costituiscono un qualche valore aggiunto alla formazione della leadership.
Significa, in buona sostanza, una mancanza di tratto e di tatto, di buon senso e etica che dequalificano irrimediabilmente la figura di un Capo.  Aveva certo ragione Einstein quando, a proposito del buon senso, sosteneva di avere ancora dubbi sull’infinito – che tuttavia aveva brillantemente risolto con le sue scoperte sulla relatività- ma soprattutto sulla stupidità umana che restava, anche per un genio come lui, un’incognita incomprensibile assai più dell’infinito, dell’atomo e del creato : l’intervento del Capo  dell’AMI, così atteso dai propri dipendenti e dai Comandanti, nel denotare una totale mancanza di leadership, sembra collocarsi piuttosto nell’incognita einsteniana. Quali le considerazioni nel merito di quelle dichiarazioni?
La prima, immediata, è quella che gran parte della gente dipendente non è meritevole; molti si grattano la pancia, con eccedenze ingiustificate di personale: un colpo ferale ai suoi ranghi ed alla formazione dei futuri leader che ne sono usciti col morale a pezzi, increduli ed offesi al tempo stesso nella loro dignità.
La seconda considerazione è che quel messaggio ardito e sconsiderato al tempo stesso, non aveva lo scopo di richiamare i limiti della sua capacità di licenziare la gente non meritevole (anche se trattandosi di una struttura gerarchico-militare molto si può fare in tal senso), quanto –presumibilmente- quello di lanciare un segnale surrettizio al politico che lui ha tutta l’intenzione di tagliare gli organici delle FFAA, anche a partire dalla propria, allineandosi ai contenuti del famigerato Libro Bianco: una sorta di  anticipazione subliminale di tagli di personale e di budget che fanno piacere a qualunque politico e che postulano sotto sotto la sua nomina futura  a Capo della Difesa. Che, per inciso, a prescindere dai vari rituali e manuali Cencelli, e senza vittimismi, dovrebbe andare appannaggio di chi, fra i vari Capi delle FFAA, dimostra maggiore talento, meriti, equilibrio e leadership.
La terza considerazione contenuta in quella frase infelice può scaturire da una vera realtà; in effetti è abbastanza noto agli addetti ai lavori che l’AMI ha una certa eccedenza negli organici per i compiti ed il ruolo svolto ed in rapporto ai velivoli disponibili; un confronto oggettivo fa rilevare che per la gestione di un velivolo – anche nei rischieramenti in teatro- vengono inviati dai 30 ai 40 militari, mentre per esempio, per i velivoli dell’Aviazione navale della Marina, sia aerei che elicotteri, tale rapporto si attesta ad un terzo, a parità di output operativo.   In sostanza quelle dichiarazioni sembrano confermare, al di là di posizioni di parte, autoreferenziali quanto vittimistiche, di ipotesi di “complotti” supportate con stigma inusitata perfino da comunicati del corrispettivo COCER, che da un lato c’è stato un intervento del tutto errato e, dall’altro che gli organici degli aeronaviganti e specialisti dell’AMI sono esuberanti per i compiti istituzionali svolti  (mentre quelli della Marina ad esempio, improntati da sempre alla sobrietà, al sacrificio ed al silenzio sono del tutto striminziti ed inadeguati per gli onerosi compiti che quotidianamente svolge) :  tali aspetti, portati alla ribalta in modo incidentale, dovrebbero essere quindi oggetto di una approfondita ed onesta analisi, scevra da pregressi condizionamenti e senza scatenare la solita “lotta fra poveri”, per le determinazioni della neo-ministra Trenta e le necessarie valutazioni e  decisioni sia per gli assetti organici delle diverse FFAA, sia per le eventuali future nomine di Vertice.
Sorvolando sugli eventi-incidenti occorsi, siccome il convegno era mirato alla Leadership ed alla sua formazione, il tema suscita e merita alcune riflessioni accademiche e esperienziali.  Da noi il meccanismo di formazione della classe dirigente si è rivelato inceppato, in generale, fin dalla scuola sempre più liceizzata che tende a non sviluppare competenza, né responsabilità, né un sistema meritocratico che si possa contrapporre al modello dominante della “corte” la cui regola è l’ossequio, oppure a quello del clan la cui regola è la fedeltà: la realtà della nostra classe dirigente è questa, che piaccia o meno, sempre alla ricerca di una legittimazione basata sul consenso piuttosto che attraverso i meriti e la concreta espressione di una forte e riconosciuta leadership.   Per fortuna nell’ambito militare le cose stanno un po’ diversamente; per accedere a ruoli istituzionali via via crescenti bisogna, un po’ come ai tempi dei Romani con quel “cursus honorum”, avere alle spalle un preciso percorso formativo, una carriera definita e in crescita sotto il profilo meritorio, ed aver quindi dimostrato di possedere quelle qualità di guida e di carattere adeguate per salire nei ruoli successivi apicali. Ma va anche riconosciuto che, spesso, alla meritocrazia in senso stretto ed alla leadership, il sistema valutativo finisce per premiare –soprattutto nelle posizioni di Vertice- l’anagrafe insieme con l’appartenenza ad un clan fideistico, piuttosto che basarsi sulle reali capacità e sul talento dell’individuo ( in tal senso la legge di avanzamento 490/97 è paradossalmente illuminante!). Tralasciando, per ora, i problemi normativi e valutativi attuali, la domanda è: “Come” formare allora i leader militari? 
Nella formazione dedicata alla costruzione del leader devono essere prioritariamente valorizzati, fin dall’inizio, quei  riferimenti  sacri  dell’ ’essere’ (figura  dell’uomo  e del Militare, poi  del  professionista),  dell’etica ( o meglio, oggi, delle  etiche) nell’intrinseco  significato  del  ‘dover  essere’, lo  spirito  di  sacrificio che  va oltre quello  di  servizio, e  le  doti espresse nella  conduzione  delle  risorse  umane. La meritocrazia non può   basarsi sulle esteriorità, né sugli apparentamenti; a fare la differenza debbono essere, oltre gli atti particolari di alto rischio o di eroismo, i  periodi  di  attribuzione  di  Comando,  la  leadership  dimostrata  in  eventi  non  comuni,  i reali  risultati  ‘straordinari’   conseguiti  e  non  solo  quelli  che  deontologicamente  ci  si  aspetta  da  un  Comandante   nell’assolvimento  di una  missione  operativa. Di più, oggi bisogna ben valutare in modo combinato oltre a quel fondamentale complesso di  doti  e  valori,  il comportamento  etico  e  la  capacità  di  leadership  dell’individuo,  ma  anche  le  risultanze  della  missione , non solo  in  termini  di  professionalità e di  successo  militare dell’operazione, ma  per  i  riflessi  e  le  possibili  conseguenze  anche nel  contesto  più  ampio  socio-politico-diplomatico,  cioè  multilaterale, che  la  missione provoca.  Il  comportamento  e  le  risultanze  etiche  a tutto  campo, devono integrare  cioè  i  risultati   strettamente  deontologici ;  non  basta  più  una  professionalità  altamente  efficace,  ma  il  Comandante  deve  essere ben  conscio  e  porre  la  massima  attenzione  alle  conseguenze  ‘allargate’: la  valutazione  meritocratica  deve  tener  conto  della  capacità  di  esprimere  i  valori  complessivi  attraverso  tutti  i  risultati e  gli  effetti  inerenti  alla  specifica  missione.   La formazione alla leadership del militare deve poter riscontrare sempre un giusto equilibrio fra l’istruzione e l’educazione, fra l’autorevolezza e la comprensione ponendo sempre la massima attenzione alla centralità della risorsa umana, ai suoi valori, al suo carattere, alla sua esperienza, alle sue capacità adattive ai  nuovi  ambienti  e  scenari  operativi,  alla  sua  motivazione  e  solidità psicologica.
E la leadership, quale peso reale ha nelle valutazioni in termini di meritocrazia nel nostro attuale sistema?  Cioè la valutazione meritocratica, che nello specifico status di militare e ancor più di Comandante, dovrebbe derivare dalla capacità di leadership del soggetto a motivare e ben gestire i propri dipendenti, di farne condividere la ‘ vision’ e di assolvere poi, la ‘mission’,  tiene  effettivamente  conto , comparando  i  valori  di  ogni  sfaccettatura, della  reale  capacità di leadership?  Ahimè spesso non esiste una reale correlazione ma una vera e propria mistificazione del concetto di leadership in rapporto alle valutazioni sull’avanzamento scordando anzi l’innegabile valenza che dovrebbe avere nel sistema premiante e meritocratico.           L’esempio  comportamentale è certamente  un  prerequisito  per  un  buon  leader  che  deve  distinguersi  per la  sua  motivazione, dedizione, convinzione  e  per la  sua  personalità ; sa prendere decisioni  ed  ha  il  coraggio  di  fare  ciò  che  ritiene  giusto  e  corretto  e  lo  pretende  dai  sottoposti,  creando  la  consapevolezza  e  l’ atmosfera  più  adeguata  per  generare  idee  e  liberare la  creatività  dei  collaboratori,  pur  nel  rispetto  delle  gerarchie. Percepisce ed interiorizza il senso più profondo della lealtà, anche se talvolta ciò può significare esprimere pareri discordanti con i superiori; sa essere amico, giudice e tutore, ove necessario; coltiva ed accresce la sua motivazione e quella dei suoi  colleghi ; è  persona  capace di  affrontare  e  risolvere  razionalmente  i  problemi,  non solo  teorici, ma  è  elemento  trainante  e  di  azione.  Il buon leader militare deve intimamente poter risolvere, con equilibrio, buon senso, e positività il paradosso emblematico che caratterizza la stessa leadership di alto profilo: compiere fino in fondo la missione assegnata, curandosi con scrupolo della propria gente, tutelandola.  A nulla servono le parole se non accompagnate dall’esempio, così pretendendo dagli altri ciò che il leader pretende autenticamente e senza demagogia da sé stesso; se no ci  sarà  -forse-  obbedienza  supina,  ma  non  ci  sarà  rispetto, ne’ ci  sarà  seguito  spontaneo, ma  ‘spintaneo’.  Ma, più di tutto, il leader deve possedere carattere e grande onestà; chi non rispetta il superiore è a sua volta non rispettato dagli inferiori, poiché se l’onestà può essere contagiosa  e  diffondersi, a maggior ragione la disonestà e la slealtà, spesso più facile da applicarsi  e  con  ritorni  personali.  I tratti salienti del carattere devono essere ben individuabili  e  apprezzati, e  debbono  essere sostanziati   con particolare  enfasi  nella  specifica  valutazione  del  coraggio  morale  e  fisico, da  cui  deriva  come  conseguenza  naturale, rispetto  e  stima  autentica.   Non  si  può  essere  un  vero   leader  se  non  si   coltiva  l’etica, il  senso  autentico  di  responsabilità,  il  gusto,  oltreché  il  coraggio,  della  decisione , se  non  ci  si  impegna  pienamente   per  costruire  e  sviluppare  quei  valori  orientati  a  far   capire  il  senso  e  lo  scopo  delle  missioni  richieste,  nell’ ottica  di   migliorare  la  qualità  di  vita  del  proprio  personale  ed  il  rendimento  dell’ organizzazione.  Non è più sufficiente  avere  doti  innate  di  grande  personalità  e  carisma,  ma  più   recentemente  è  emersa  una  nuova  concezione  di  leadership  ove,  invece  di  imporre  una  autorità  assoluta,  un  buon  leader  deve  sforzarsi  di  comprendere  i   valori del  team  e  le  opinioni  dei  propri  sostenitori, comprese le frustrazioni, stabilendo  con  essi  un  dialogo  produttivo  per  una  maggiore  consapevolezza  dei  ruoli  e  delle  azioni  da  porre  in essere  per  il  migliore  risultato.  Quindi  la  leadership  è  la  capacità  di  dare  forma  a  ciò  che  i  sostenitori  vogliono  realmente  fare,  non  con  la  conquista  della  loro   chiusa  obbedienza  –  punendoli  o  premiandoli- , ma  invece  con  la  collaborazione  ed  il  sostegno  dei  sottoposti :  cioè , in  altri  termini,  il  leader  deve  essere  riconosciuto  e  rispettato  come  capo  carismatico,  tanto  più  se  riesce  a  collocarsi  non  al di  sopra , in  modo  aprioristico,  ma  all’interno  del  gruppo,  realizzando  una  identità  sociale  condivisa.   Se  è  vero che  l’ origine  del  potere  di  un  leader  sta  in  larga  misura  nell’  autorità  gerarchica   conferitagli  dall’ organizzazione  –  tipico  esempio  è  il  campo  militare- e  da  parte  sua  il  leader  deve  possedere   capacità  professionali,  qualità  intellettuali,  attitudine  a  incentivare  relazioni  interpersonali,  oltre  ad  altre  caratteristiche  quali  fascino  personale,  senso  dell’  umorismo e   determinazione ,  è  essenziale  altresì  che  abbia  una  specifica  qualità di  equilibrio  quale  “ la  coscienza  del  proprio  potere”  per   ben  gestire   la  propria  ‘vision’,  creare  dei  sistemi  efficienti  e  calibrati  e  condurre ,  senza  narcisismi,  i  dipendenti  alla  conquista  dei  comuni  obiettivi.  Riferimenti  a  codici  etici  ben  definiti  e  poco  mutevoli  o  trattabili, volontà  nel  discriminare  i  valori  autentici  da  quelli  apparenti,  individuazione  dei  veri  leader  con  sane  competizioni  in  un  sistema  trasparente  e  cooperativo,  sistemi  formativi  e  valutativi  coerenti  ed  adattati  alle  nuove  realtà  operative  ed  alle  situazioni  incerte,  importanza  dell’  etica  vs  l’estetica,  valenza  della  valutazione  psicologica con  ascolto  ed  osservazione   dei  soggetti  e  degli  eventi,  sono  aspetti  e  ricerche  meritevoli  di   ulteriori  approfondimenti ,  così  come  una  diversa  e  più  concreta  attribuzione  e  graduazione  del  sistema  premiante :  essi  possono  costituire , in  modo  integrato,  un  nuovo  modello  di  governance  e  di leadership. La leadership esercitata, dunque, da un Comandante, è decisamente diversa da  quella ‘civile’, poiché  si  basa quasi  esclusivamente  sulla  motivazione  del  personale  e  solo  marginalmente  sulla  gratificazione, sostanziandosi  in  sistemi  premianti  immateriali ( non  ci  sono  profit ,ne’  ritorni  economici  se  la  mission  ha  successo),   e  pertanto  più complessi   e  meno  tangibili,  fulcrati  sulla  azione  persuasiva  del  personale.  Proprio  per  questo le  attribuzioni  di  Comando  e  di  responsabilità  diretta  devono  avere  un  peso  valutativo  più  elevato  di  altri  meno  impegnativi  e  meno  rischiosi,  compresi  quelli  di  staff;  la  disponibilità  ad  assumere  Comandi  operativi,  ove  sussistano  criteri  di  non  mandatorietà  per  la  carriera,  deve  trovare  una  risposta  coerente   in  termini  di  riconoscimento  meritocratico,  rispetto  a  coloro  che,  talvolta  per  convenienza  o  per  indisponibilità  di  vario  genere, fanno  di  tutto  per  eludere  tali  carichi  di  responsabilità,  di  superiore  sacrificio e  di  impegno.  Incarichi molteplici e diversificati, qualora svolti in modo efficace, compresi quelli internazionali, devono  costituire specifico motivo di  merito, al di là  di  eventuali  riconoscimenti  formali o  ricompense (encomi  ed  elogi ) che, soprattutto  negli ultimi tempi hanno subito una inaccettabile inflazione, che comunque alla fine contano
.  A  livello  medio –alto,  quando  impiegati   in  ruoli  dirigenziali,  deve essere  primariamente  considerato  il  contributo  dato  all’ organizzazione  in termini di  ‘cose  fatte’ o  ‘ non  fatte’, valutando con coscienza  prima di  tutto  l’impegno, l’ingegno,  la  creatività ed il  coraggio  di  ‘fare’ e la disponibilità; si verifica  talvolta  che  alcuni, soprattutto in periodi di Comando o Direzione,  anziché mostrare la loro capacità  di  fare,  di  essere  pro-attivi, adottino comportamenti  di  basso  profilo,  facendo  il  minimo  essenziale ,  vivendo  di  rendita  magari  dalla  loro  posizione  in  graduatoria, o  addirittura  da  quella  dell’Accademia,  che  troppo  spesso  è  monolitica  e pressoché  immutabile  nel  corso  degli  anni ,  con  incidenza  diretta  sulla  motivazione  del  personale. Tali  Ufficiali che difettano nell’etica della assunzione di responsabilità,  preoccupandosi solo di galleggiare ed evitando accuratamente le situazioni di rischio, vanno severamente  valutati perché deleteri per l’ intera  organizzazione:  bisogna  che le loro carriere subiscano una decisa  inversione, rispetto a quei Comandanti che con onestà intellettuale e concreto impegno, invece, fanno  il  loro dovere ‘senza fare fumo.
Certo è che in  questo  periodo di cambiamenti e trasformazioni  tutte le organizzazioni hanno sempre più  bisogno di veri leader per rafforzarne  l’identità, motivare  le  persone, sviluppare  il  senso  di  appartenenza  e  migliorare  le  capacità  di  fare  sistema:  si  può  ben  affermare  che  maggiori  sono  le  incertezze  e  le  crisi,  più  forte  è  la domanda  di  leadership.
Allora, e  anche  per  evitare  eventuali  derive,  dobbiamo    annettere  un  grande  valore  alla  leadership  dei  nostri  Ufficiali  e riconoscerne  con  concretezza  i  meriti  (o  i  demeriti),  capire  chi  ha  una  ‘vision’ e  chi  non  ce  l’ha,  chi assolve  bene  la  ‘mission’  motivando  i  dipendenti  e  chi  invece  ‘galleggia’ , chi  pensa  agli  interessi  personali  e  chi  opera  invece  identificandosi  con  il  sistema  per  il  bene  collettivo,  chi  fa  teatro  e  fumo  da  quelli  che  fanno  i  fatti,  chi  ha  coraggio  delle  proprie  convinzioni  da  chi  invece  è capace  di  vendere   solo  le  idee  degli  altri, chi  svolge  incarichi  opzionali  di  Comando  e  chi  invece  cerca  le  nicchie  di  comodo   o  fa  il  consigliere  senza  mai  rimetterci  nulla  di  suo,  chi  dà  sempre  la  propria  disponibilità  anche  per  incarichi  pesanti  e  chi  si  defila  elegantemente , chi  lavora  avendo  a  mente  il  mero  risultato  della  missione  da  chi  tiene  conto  degli  effetti  omnicomprensivi, e  via  dicendo.
In  conclusione, se  abbiamo  ancora  qualche  dubbio  sulla  esistente  corrispondenza  funzionale  fra  leadership  e  meritocrazia  e, quindi,  sull’incidenza  nella  carriera  di  un  Ufficiale,  dobbiamo  consapevolmente  mettere  in  atto  quelle  modifiche  e  quegli  accorgimenti  affinché  sussista –  ed  in  maniera  forte-  quel  legame,  essendo  autenticamente  convinti  che  il  sistema  valutativo  si  debba  incentrare  sulla  leadership  e  che  la  stessa  debba  essere ben “formata” per avere  un  valore  determinante sul  sistema premiante.
Per identificare e qualificare il vero leader non ci sarebbe bisogno di scomodare le Sacre Scritture, né andare a riscontrare l’uso o l’abuso dei “talenti”; basterebbe soddisfare una domanda che spesso sale dalla propria gente: con quel  Comandante andresti in guerra? La risposta corale potrebbe essere la più corretta e pragmatica valutazione di merito della sua, posseduta o meno, leadership.

Giuseppe Ligure