Aggiornamento 2 dic. 2019 ore 23 – La Cina ha deciso che gli Stati Uniti dovranno pagare per l’ingerenza politica nella questione Hong Kong. Gli Usa sono colpevoli per aver approvato dei provvedimenti legislativi a sostegno dei diritti dei manifestanti pro-democrazia a Hong Kong. Niente più scali ai porti di Hong Kong per le navi militari americani e sanzioni per Ong a stelle e strisce, fino a quando non correggeranno i propri errori e cesseranno di interferire negli affari interni di Hong Kong.

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Roma 1 dicembre – L’imperatore comunista Xi Jinping pretende che l’adesione italiana alla sua iniziativa commerciale che va sotto il nome di Via della Seta comporti anche la sudditanza politica dell’Italia nei confronti della Cina.

Nei mesi scorsi, l’Italia e tutta l’Unione Europea si erano distinte per il loro silenzio di fronte all’avanzare della Rivoluzione degli ombrelli portata avanti dagli studenti universitari di Hong Kong, che domenica scorsa aveva messo al proprio attivo la vittoria schiacciante, alle elezioni distrettuali, dei candidati democratici rispetto a quelli che sostengono la governatrice filocinese Carrie Lam.

Trump e le leggi ad hoc  per Hong Kong

Negli Stati Uniti, invece, mercoledì scorso, alla vigilia della festa del Ringraziamento, che lo ha visto in Afghanistan a condividere una fetta di tacchino con i marines, il Presidente Donald Trump ha firmato due leggi ad hoc nell’intento di arginare le violenze perpetrate dalla Polizia contro il movimento degli studenti.

Hong Kong Human Rights and Democracy Act of 2019

L’”Hong Kong Human Rights and Democracy Act of 2019″ e la minaccia di sanzioni in caso di violazione dei diritti umani, con il blocco delle esportazione in Cina di prodotti come i gas lacrimogeni o le pallottole di gomma, erano passati praticamente all’unanimità al Congresso e Trump, dopo essersi vantato di aver evitato la cancellazione di Hong Kong in 14 minuti da parte di Xi, lo ha firmato volutamente in sordina per non pregiudicare ulteriormente le già precarie relazioni economiche con la Cina.

La Cina convoca per due volte ambasciatore USA

Pechino, che già la settimana scorsa, dopo l’approvazione dei due provvedimenti da parte del Congresso, aveva condannato questa interferenza nei suoi affari interni, ha convocato per la seconda volta in tre giorni l’ambasciatore Terry Branstad, minacciando severe ritorsioni. Inoltre, in una nota, il ministero degli Esteri cinese ricorda che “Hong Kong è parte della Cina” ed è governata con la politica di “un Paese, due sistemi”: tutti i problemi di Hong Kong sono perciò un “affare interno” cinese.

Anche il governo di Hong Kong afferma polemicamente che i provvedimenti americani “non servono a migliorare la situazione”.

Comunque lo scontro, lo ripetiamo, si è svolto in tono minore rispetto all’intensità di quello commerciale in atto tra i due Stati.

E in Italia?

Ma veniamo a noi. L’altro ieri parlamentari in prevalenza Radicali e di Fratelli d’Italia hanno ospitato in videoconferenza uno degli eroi di questa protesta, Joshua Wong. Il leader degli studenti di Hong Kong – al quale le autorità del protettorato cinese avevano negato il visto per l’Italia, dove inizialmente gli stessi parlamentari lo avevano invitato – non ha mancato di attaccare il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio per il suo considerare la vicenda un fatto interno della politica cinese nel quale non è lecito interferire. Apriti cielo. La reazione dell’ambasciata cinese non si è fatta attendere e in un tweet ha parlato di errore irresponsabile commesso da questi parlamentari, specificando che “l’Italia non ha alcun diritto d’intromettersi nei nostri affari”.

Ora sappiamo che il MoVimento che è magna pars del Governo è molto compromesso nella politica d’amicizia con la Cina, come hanno dimostrato la cena della sera del 22 Novembre e l’incontro di due ore e mezza del giorno dopo del garante dei 5Stelle, Beppe Grillo, con l’ambasciatore Li Junhua.

Direttamente chiamato in causa dallo studente di Hong Kong e istituzionalmente deputato a rispondere, il Ministro Di Maio si è limitato a dire che “abbiamo sempre avuto ottimi rapporti con il governo cinese, ma i nostri legami e i rapporti commerciali non possono mettere in discussione il rispetto delle nostre istituzioni, del nostro Parlamento e del nostro Governo”. Dichiarazione questa, nella quale, però, tutto c’è, fuorché il sostantivo e l’aggettivo “diritti umani”, che sono quelli sistematicamente e “scientificamente” calpestati da Pechino, o un preciso riferimento alla violenta repressione in atto delle manifestazioni degli studenti di Hong Kong.

Anche l’altro esponente grillino di spicco, il Presidente della Camera, Roberto Fico, che è stato il primo a ribattere, si è mantenuto nel generico.

La polemica s’infiamma tra ieri e stamattina sui tre fronti: Hong Kong, Italia e Cina

Dopo l’assurda presa di posizione cinese contro i parlamentari italiani, il leader Joshua Wong, in un lungo tweet, rincara in modo abile ed ineccepibile la dose: “La frase di Pechino sul mio intervento al Parlamento è una minaccia sprezzante e irragionevole alla libertà di parola. Rivela l’ambizione della Cina di esportare il suo regime autoritario e la sua censura in Italia e nelle altre democrazie occidentali”. “È tempo per i politici italiani di prendere precauzioni, la minaccia cinese ora è nel loro cortile di casa”. “Chiedo al Parlamento italiano di approvare la risoluzione a supporto delle aspirazioni democratiche di Hong Kong”.

Giuseppe Conte “Il tiepido”

Sempre sul nostro fronte, c’è da registrare la presa di posizione, altrettanto timida, del premier Giuseppe Conte: “Ho visto le dichiarazioni dell’ambasciatore, però non le possiamo accettare nel modo in cui sono state formulate: si è trattato di un’iniziativa di alcuni parlamentari ed è giusto che vengano rispettati”. Ci mancherebbe altro!

Intanto però proprio i 5Stelle stanno preparando una risoluzione, da votare martedì alla Camera in commissione Esteri, che impegni finalmente il Governo a prendere posizione sulle proteste studentesche, appoggiando la richiesta di una commissione d’inchiesta sull’operato della Polizia di Hong Kong.

Il pensiero e la mano pesante di Xi

Ma la polemica è destinata ad infiammarsi: lungi dall’ammorbidire le posizioni di Xi, una lunga e cortese lettera pubblicata stamattina da La Repubblica mette un altro carico da novanta con le seguenti, inaccettabili dichiarazioni: “La missione più impellente per Hong Kong è fermare la violenza e ripristinare l’ordine”; “gli affari di Hong Kong appartengono soltanto alla politica interna cinese e non è tollerabile l’intromissione da parte di forze straniere”. Fanno tremare l’accenno ad “una situazione molto pericolosa” e alla non tollerabilità dei “crimini commessi dai rivoltosi”.
E la conclusione: “Come ha affermato il presidente Xi Jinping, la risolutezza del governo cinese nel tutelare la sovranità, la sicurezza e lo sviluppo della Cina è incrollabile, così come lo è la volontà di portare avanti “un paese e due sistemi” e di opporsi all’ingerenza di qualsiasi forza straniera negli affari di Hong Kong”. Dove l’unica apertura, se non si tratta di una svista, è nell’accenno al fatto che ormai non si tratti più dell’”ondata di manifestazioni per la legge sull’estradizione”, quasi che, limitatamente a questa, il Governo cinese sia disposto a cedere.

In definitiva…

Purtroppo noi Italiani, per ora, siamo ben lontani dal far capire all’Imperatore Xi che, se vuole esportare merci in Occidente, deve anche cominciare ad importare il rispetto, del quale finora si è fatto soltanto beffe, per i diritti umani.

Giancarlo De Palo